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La questione scolastica in Croazia

12/10/2001 -  Anonymous User

Questioni generali

Nel periodo di governo dell'HDZ (1990-2000), il sistema della pubblica istruzione in Croazia è stato caratterizzato dai seguenti processi:
- rafforzamento del controllo statale sulle istituzioni scolastiche, incluso il regolamento per la statalizzazione delle scuole (che lascia spazi molto ampi di ingerenza al ministro dell'educazione);- politicizzazione e uso ideologico delle scuole in chiave nazionalista, intesa come ideologia statale combinata con il rafforzamento del ruolo della Chiesa cattolica;
- peggioramento sul piano delle infrastrutture educative, con conseguente progressiva delegittimazione del sistema educativo e degli insegnanti.
La resistenza di una parte significativa degli insegnanti e delle insegnanti è stata visibile durante l'intero periodo. Il Forum per la libertà di educazione, fondato nel 1992, ha coordinato ad esempio alcune azioni di resistenza attiva, comprese esperienze di insegnamento autonomo in semi-clandestinità. Ma ciononostante il sistema scolastico croato ha subito gravissimi danni, quasi una devastazione. Come risultato delle analisi svoltesi nell'ambito del Forum nel 1999, si e' avviata un'iniziativa chiamata "La scuola del XXI secolo", orientata al rinnovamento profondo del sistema educativo dopo l'atteso cambiamento di potere politico. Questa iniziativa ha raccolto un centinaio di docenti universitari ed insegnanti delle scuole primarie, secondarie e superiori. Dopo le elezioni nel gennaio 2000 alcuni collaboratori del progetto hanno assunto funzioni importanti nel sistema scolastico (vice-ministro dell'educazione, presidente e vicepresidente della commissione parlamentare apposita, ecc...).

L'avvio del rinnovamento è stato caratterizzato da molti elementi di difficoltà: lo spirito inerte di gran parte degli insegnanti e specialmente dei dirigenti scolastici; la politica di compromesso del nuovo governo democratico, segnata dal rifiuto del cosiddetto revanscismo e dalla volontà di procedere solo a riforme che mantengano la continuità con il regime precedente; il mancato aumento del bilancio statale a favore dell'istruzione. Nonostante tutto ciò si possono comunque evidenziare alcuni passi positivi: non si vive più la paura del controllo statale, si sono aperti spazi di creatività per tutti gli attori del processo educativo, a favore dell'introduzione di metodi partecipativi nell'insegnamento.
Un problema molto grave è rappresentato dai libri di testo, redatti in gran parte sulla base di una pedagogia ultra-tradizionalista e fondati su una quantità insopportabile di fatti. In particolare i libri di storia e di lingua croata sono contaminati dall'ideologia nazionalista etnocentrica, con una forte enfatizzazione dei valori patriottici e militaristi.
Una commissione di esperti all'interno del Forum, guidata della sociologa Branka Baranovic e composta da letterati e storici di prima grandezza (tra cui anche il nuovo preside della Facoltà di lettere e filosofia di Zagabria, lo storico Neven Budak), ha presentato nel giugno 2000 un'analisi minuziosa dei libri scolastici di queste due materie. Secondo lo studio alcuni testi storici (in verità quasi tutti) contengono:
- elementi di revisionismo storico, compresa la rivalutazione dello stato croato ustascia e la relativizzazione dei crimini di guerra da questi commessi nella Seconda guerra mondiale, attraverso l'esagerazione dei crimini commessi dal Movimento partigiano antifascista;
- un'esaltazione della 'Guerra patriottica' nei confronti delle Krajine serbe, con alcuni elementi di odio etnico verso i serbi ma anche verso i bosniaci;
- una falsificazione di alcuni fatti della storia recente, orientati ad una glorificazione di Tudjman e dell'HDZ come chiave storica interpretativa del passato e punto di riferimento per ogni futuro;
- un'emarginazione non soltanto della storia degli altri popoli slavi, ma di tutta la storia europea e mondiale in favore della centralità assoluta della storia nazionale croata;
- una metodologia inadeguata in rapporto ai criteri della scienza storica contemporanea.
Ugualmente i libri scolastici di lingua croata sono caratterizzati da etnocentrismo, alcuni contengono elementi di disprezzo o di odio verso altre nazionalità (in particolare verso i serbi), ne sono esclusi scrittori e poeti croati difformi dalla linea ideologica dominante fino al 2000.

Dopo la presentazione di questo studio, il Ministero dell'istruzione ha costituito una commissione statale con il compito di rivedere i libri scolastici alla luce dei valori democratici di tolleranza e convivenza. Finora però l'unico risultato di questa commissione è l'approvazione per uso scolastico data ad alcuni libri storici alternativi, scritti sulla base di valori civici e di una metodologia didattica scientifica. Nessun libro è stato ancora proibito all'uso scolastico: la scelta finale dei testi è lasciata al singolo docente. Già questo è un progresso rispetto al periodo precedente, ma resta il fatto che ancor oggi si usano libri che esprimono odio e appoggio al fascismo, e perciò inadeguati. Al momento sono in fase di preparazione alcuni testi scolastici nuovi, che possano cambiare questa situazione.

L'istruzione per le comunita' minoritarie

Dopo la costituzione dello stato croato indipendente le scuole (dalle elementari alle superiori) in lingua italiana, ungherese e ceca hanno continuato a lavorare nelle condizioni generali appena descritte. Nonostante i tentativi del partito governativo di emarginare l'insegnamento nelle lingue minoritarie, queste scuole sono sopravvissute fino ai cambiamenti democratici senza troppi danni, in primo luogo grazie al sostegno concreto dei paesi originari delle minoranze.
Un problema molto grave però è sorto nei cofronti dei cittadini di nazionalità serba, che da componente costitutiva del paese sono diventati minoranza. Soltanto sotto la pressione della comunità internazionale il governo dell'HDZ ha introdotto dopo il 1997, anno della reintegrazione della Slavonia orientale, l'insegnamento aggiuntivo di lingua, letteratura, cultura e storia serbe. Questo per le scuole che registrano una percentuale significativa di allievi serbi, ma finora sono stati pubblicati solo pochi libri scolastici dedicati all'insegnamento aggiuntivo. Per i principali esponenti della comunita' serba in Croazia, la responsabilità di questa mancanza è dell'ex governo. Altri pesonaggi di spicco della comunità, però, denunciano in maniera riservata anche l'inerzia degli stessi intellettuali serbi.
L'unico vero passo in avanti si è avuto con l'introduzione del diploma di laurea (quattro anni di corso) per insegnanti di lingua e storia serba, presso la Facoltà universitaria di magistero a Zagabria. Attualmente è in corso il quarto semestre della prima generazione di studenti ed il secondo semestre della seconda. Con questo percorso di formazione si dovrebbe risolvere il problema di avere personale adeguatamente preparato per questo tipo di insegnamento. Altre comunità hanno già avviato da anni simili percorsi, e a Pola esiste anche una Facoltà di magistero dedicata esclusivamente alla formazione degli insegnanti in lingua italiana per tutti i livelli d'istruzione. Lingua e letteratura italiana si studiano anche a Zagabria e Zara, mentre lingua e letteratura ungherese sono presenti a Zagabria e Osijek, e quella ceca a Zagabria.

C'è invece un problema ancora irrisolto e anzi quasi invisibile. Le comunità bosniache, macedoni, albanesi e rom non hanno alcuno spazio d'insegnamento pubblico in lingua materna, neanche come insegnamento aggiuntivo. La comunità bosniaca rivendica per il momento senza successo questo diritto all'insegnamento pubblico, mentre gli attivisti delle organizzazioni rom hanno organizzato alcune scuole materne ed elementari private chiedendo un appoggio pubblico, con esiti alterni anche per via delle divisioni profonde che tormentano questa comunità dall'interno.

Integrazione e scuola: il caso della Croazia

12/10/2001 -  Anonymous User

Il Croazia il termine integrazione scolastica può essere inteso in due differenti maniere. La prima, in parte comune alla situazione del sistema scolastico in tutte le ex repubbliche Jugoslave, riguarda l'integrazione nelle scuole di bambini e ragazzi con difficoltà nello sviluppo fisico e mentale ed è legata all'esistenza delle "scuole speciali" che si trascinano come pesante eredità del passato jugoslavo. La seconda riguarda invece l'integrazione nelle scuole degli appartenenti alle minoranze etniche che significa, per quanto riguarda la Croazia, in modo specifico integrazione della comunità serba (e questo vale in particolar modo per le zone dove si sta verificando il ritorno dei profughi).
L'integrazione a scuola dei bambini portatori di handicap, fisico o mentale, è regolata da una legge sulle scuole elementari approvata dal Sabor, parlamento, negli ultimi anni settanta. La legge aveva tentato di attenuare la segregazione dei ragazzini portatori di handicap favorendo una loro parziale integrazione in scuole normali. Chi si trovava ad affrontare le difficoltà più gravi che impedivano, a detta degli esperti, una vita normale ed educazione standardizzata, avrebbe continuato a frequentare scuole ed istituti speciali, gli altri invece sarebbero stati integrati in scuole normali. Questo ha avuto solo un parziale successo. Il limite più grosso è stato la mancanza di una formazione psico-pedagogica adeguata degli insegnanti, necessaria per lavorare con questa parte della popolazione scolastica che può essere integrata solo tramite molta pazienza e molto lavoro.
La situazione attuale sta però migliorando ed evolvendo al meglio (grazie soprattutto all'aggiornamento delle competenze degli insegnanti delle scuole materne ed elementari su queste tematiche). Questo avviene più nelle città più grandi della Croazia, ad esempio Zagabria, Fiume, Spalato ed in alcune città di medie dimensioni come Cakovec, che non in altre zone del Paese.
Anche per quanto riguarda i bambini affetti dalle difficoltà più gravi vi è una campagna di "inclusione". A partire dalla loro stessa famiglia. Sempre più spesso infatti risiedono presso le proprie famiglie e frequentano scuole ed istituti speciali solo durante la giornata.
La questione riguardante l'integrazione della popolazione scolastica appartenente alla comunità serba è ancora più complessa. Vi sono attualmente due programmi in corso per favorirla.
Il primo riguarda esclusivamente le zone della Slavonia orientale ed occidentale che appartenevano durante gli anni del conflitto all'autoproclamata Repubblica Serba delle Kraijne.
Qui è possibile seguire scuole dove l'insegnamento viene fatto in lingua serba utilizzando l'alfabeto cirillico. Quello in caratteri latini viene inserito solo al terzo anno e come alfabeto secondario. Circa 5.000 ragazzi frequentano questo tipo di programmi (cioè circa la metà dei bambini e ragazzi serbi che abitano quelle zone) che sono previsti per le scuole elementari (otto anni) e le scuole medie superiori (ginnasio/liceo, scuole tecniche, scuole professionali).
I genitori possono scegliere se partecipare a questo programma o fare seguire ai figli corsi di tipo tradizionale. Le scuole o le classi con questi programmi speciali possono essere frequentate da tutti coloro che risiedono sul territorio, a prescindere dalla loro appartenenza etnica.
I programmi scolastici particolari e la preparazione dei libri di testo è competenza di un dipartimento speciale presso il Ministero dell'educazione croato, guidato da un rappresentante della comunità serba nominato dal Partito Democratico Indipendente Serbo, SDSS, che raccoglie la maggior parte dei consensi tra i serbi di Croazia. Questo incarico è rientrato tra le competenze dell'SDSS fin dall'integrazione pacifica della Slavonia orientale. In questo lavoro il dipartimento è affiancato dall'associazione culturale serba Prosvjeta (Illuminazione/Educazione) con sede a Zagabria.
Il secondo programma riguardante l'integrazione della minoranza serba nelle scuole viene realizzato nel resto del Paese includendo soprattutto le zone principali per il ritorno delle minoranze quali quelle di Banija, Kordun, Lika, la Dalmazia settentrionale e le città dove più alta è la percentuale dei cittadini appartenenti alla comunità serba (Zagabria, Fiume, Pola).
Questo programma si basa su una formazione addizionale a quella tradizionale: l'orario scolastico viene incrementato di cinque ore durante le quali vengono insegnate materie quali lingua e letteratura serba, storia, geografia, arte e musica.
Attualmente solo 1000 bambini stanno seguendo il programma che si svolge esclusivamente a livello delle scuole elementari essendo le scuole medie superiori state scartate per via dell'assenza di interesse degli studenti in questo tipo di iniziativa. Anche il numero delle scuole dove il programma viene implementato, solo dieci, è significativo del poco successo che ha avuto ed altresì implica che la maggioranza dei bambini ritornati nelle zone menzionate non hanno la possibilita' di frequentare nessun tipo di educazione che valorizzi la cultura e le specificità della minoranza serba.
Per rivitalizzare questo programma l'associazione Prosvjeta ha promosso, a partire dal 1 settembre di quest'anno, una scuola per corrispondenza. Ma i risultati riguardanti il primo mese di attività non sono ancora disponibili. Vi è in ongi caso un certo ottimismo: secondo le prime impressioni sembra che gli scolari partecipanti a questa scuola "integrativa" per corrispondenza siano raddoppiati rispetto a quelli che nell'anno precedente la frequentavano presso gli istituti scolastici.
Tra l'altro, già da tre anni, è attivo un corso presso l'Università di Zagabria specifico per insegnanti nelle scuole e corsi integrativi frequentati dalla comunità serba e questo crea naturalmenete nuove competenze.Ma una riflessione va fatta anche sulla composizione demografica di chi ha scelto di ritornare in Croazia. Il numero di famiglie giovani con figli è relativamente basso essendo la maggior parte di quelli che sono ritornati anziani. Spesso inoltre queste famiglie abitano in zone remote ed isolate ed i bambini per raggiungere la scuola più vicina sono obbligati a percorrere a piedi diversi chilometri. "Per questo spesso hanno perso uno o più anni scolastici" ha dichiarato il Presidente di Prosvijeta, Slobodan Uzelac, professore di pedagogia sociale presso l'Università di Zagabria e Presidente del Consiglio nazionale per l'educazione supplementare della comunità serba in Croazia. Parzialmente migliore è la situazione nelle città dove il ritorno si è verificato su scala maggiore ad esempio a Knin o Petrinja.
Alcune organizzazioni nongovernative vicine alla destra radicale croata del "Blocco croato" hanno pubblicamente protestato contro "l'introduzione dell'alfabeto cirillico nelle scuole croate" ma non si sono registrati incidenti all'interno delle scuole tra giovani delle diverse comunità o problemi nei rapporti tra serbi che ritornavano e la popolazione croata locale.
Anche Slobodan Uzelac e Ivan Magdalenic, quest'ultimo impegnato sulle tematiche dei diritti delle minoranze ed autore di rilevanti ricerche in merito, confermano che negli ambienti scolastici non si sono mai verificati incidenti rilevanti.
Sulla base di una ricerca ancora non pubblicata Magdalenic risolutamente dichiara: "Non esiste nessun problema nei rapporti tra figli di chi effettua il ritorno e figli dei profughi croati originari della Bosnia, che spesso vivono nelle zone di ritorno, in particolar modo per quanto riguarda le aree urbane".
Dunque l'integrazione dei bambini serbi nelle scuole croate e' un processo che va avanti pur incontrando moltissime difficolta' e venendo attuato in modo ancora parziale. L'integrazione è in parte riuscita sul piano psicologico mentre è fallita su quello organizzativo, con molti bambini costretti a fare i pendolari, con molti villaggi senza una scuola elementare e scuole dove non è stato attivato alcun programma specifico per la comunità serba. Anche se è da notare come spesso sono gli stessi genitori a rivelarsi poco interessati in questi stessi programmi.
Queste considerazioni ci portano al cuore del problema. Alla comunità serba in Croazia si pone un dilemma descritto nell'alternativa tra l'integrazione/assimilazione e la segregazione. Quale la scelta tra l'integrarsi nel sistema educativo croato e rischiare di dover abbandonare la propria identità etnica o l'isolarsi nelle peculiarità della propria comunità etnica?
E' chiaro, almeno al livello di teorie astratte, che questa è un'alternativa forzata e falsa. Ma la vita è spesso più complessa delle teorie. Afferma Magdalenic:"Combatto decisamente per il diritto di ogni minoranza etnica di conservare la propria identita'. Allo stesso tempo pero' appoggio il diritto di ogni persona appartenente a qualsiasi comunita' minoritaria di assimilarsi alla maggioranza e di decidere autonomamante di perdere l'appartenenza alla comunita' nativa e non scelta".
E' evidente che le scuole serbe rischiano di portare all'isolamento della comunità, ma, d'altro canto, l'integrazione tout court potrebbe portare alla sparizione di questa minoranza.
Se non si procede con il ragionamento quest'ultima potrebbe sembrare una contraddizione indissolubile. La questione chiave è invece la seguente: in quale misura vive nella societa' croata e specialmente nel sistema educativo croato l'idea della interculturalita' e la comprensione delle differenze quale valore di per sè? In quale misura invece l'etnocentrismo?
L'analisi dei libri scolastici ed in particolare di quelli di storia e letteratura può dare una risposta parziale ma senz'altro significativa alla questione. Il Forum per la liberta' nell' educazione ha organizzato una serie dei dibattiti sull'argomento e si è fatto promotore anche di alcune ricerche in merito. Risultato è stata la scelta governativa, supportata da molti intellettuali attivi nel campo della ricerca umanistica e sociale, di riformare radicalmente i libri di testo ed eliminare tutti i contenuti che non siano adeguati ad una società che si vuole multiculturale e democratica.
Si è immediatamente inserita la libertà del singolo insegnante, supportato dal dirigente scolastico, di adottare in modo autonomo il libro di testo. Diversamente dal passato si hanno ad esempio ora quattro diversi libri di storia a disposizione per l'ultima classe delle medie superiori. Quattro libri di testo differenti che trattano la storia del ventesimo secolo. Di questi quello meno legato al mito nazionalista è sicuramente quello scritto recentemente da Suzana Lecek, segue poi quello ad opera di H. Matkovic e F. Mirosevic, corretto rispetto alle edizioni precedenti. Non è però proibito l'uso del libro di testo a cura di Ivan Vujcic che appoggia posizioni filo-naziste per quanto riguarda la seconda guerra mondiale ed è impreganto di nazionalismo.
Dipende quindi dal singolo insegnante quale sarà la storia imparata durante l'ultimo anno di liceo. E dipenderà anche dall'influenza dei libri scolastici e dall'impostazione degli stessi se i giovani serbi sceglieranno per l'integrazione in una società che finalmente si pone come multiculturale o nel rifiuto della stessa che si trasforma poi in isolamento/segregazione.
Proprio nella settimana in corso sono stati pubblicati, da parte del Forum sopra menzionato, cinque nuovi libri scolastici dedicati all'insegnamento delle nouve materie introdotte a partire da quest'anno nella scuola croata.
Ma purtroppo l'introduzione di lezioni sulla "cittadinanza democratica" (quest'anno ancora nella fase sperimentale) e sui "diritti umani" non sono sufficienti a sradicare gli effetti negativi di un etnocentrismo che ancora in parte caratterizza il sistema scolastico croato.

Education for peace - a conflict resolution initiative for post-war Bosnia

12/10/2001 -  Anonymous User

The research was performed in the period from 1997 to 1999 on a sample of the primary and secondary school history and literature textbooks which were in use in Bosnia and Herzegovina in 1996/97, that is in the period immediately after the Dayton Peace Agreement. (They are still in use). Within secondary school textbooks, the grammar school (high school) textbooks were chosen for the analysis, because they are the most comprehensive, and therefore the most representative example of the history and literature subject content in school education. (The textbooks in other types of secondary schools are their reduced version.) The analysis covered a total of 48 textbooks: 24 history and 24 literary textbooks. Specifically, four each for both primary (from fifth to eight grade) and grammar schools (from first to fourth grade) of each production (Bosnian, Croatian and Serbian). According to the findings, the analysis covered 9,933 textbook-pages. Out of the total of 9,933 pages, to history textbooks belong 4,245 pages and to literary textbooks 5,688 pages. Within the aforementioned textbooks, altogether 2,654 units were analyzed: 749 in history textbooks and 1,905 in literature textbooks.
From the total of 749 units in history textbooks, 185 (24.7%) are from Bosnian textbooks, 275 (36.7%) from Croatian textbooks and 289 (38.6%) from Serbian textbooks. With regard to the literature textbooks, the data show the following: the total of their units amounts to 1, 905 units. Out of this 534 or 28% of them belong to Bosnian textbooks, 899 or 47.2% to Croatian textbooks and 472 or 24.8% to Serbian textbooks. The unit was defined as a textual part of a textbook which represents a meaningful whole with a clearly marked beginning and end that is, which is placed between two titles and ends with instructions, assignments or questions for students. In the report it is also called "basic text". Since the units (basic texts) are usually furnished with different kinds of supplements (charts, illustrations, photos, historical document, etc.), the supplements were also analyzed.
The entire space of the analyzed units with supplements amounts to 2, 248 762 cm2 (224876.2 m2) and without supplements 1,210,000 cm2 (12100.0 m2). Out of the entire space of the units with supplements, 880,153 cm2 belong to history textbooks, and 1,368,609 cm2 to literature textbooks.
In the conducted content and discourse analysis of the Bosnian, Croatian and Serbian history and literature textbooks a fundamental similarity has been indicated as well as some significant differences.
In the formal view (volume, supplements, and special surface equipment) the Croatian textbooks are singled out. What sets them apart is their didactical equipment. Compared to the Serbian, and especially, to the Bosnian textbooks they are significantly richer in number and variety of the supplements in both types of textbooks history and literature. So far, they are the best didactically and methodically equipped textbooks.
Considering the content of the textbooks, all of them demonstrate a basic resemblance to each other which is manifested in an exclusive foundation of the textbooks in their own ethnic groups (national history and of national literature) as a core of the organizing of the content and didactical procedures of the textbooks.
Consequently, although Bosnia and Herzegovina is an integral country, within its territory three different kinds of primary and secondary school history as well as literary textbooks are being used: Bosnian, Croatian and Serbian. Therefore, in the territory of Bosnia and Herzegovina which is under the control of the Croatian army (HVO) the textbooks are identical to those in Croatia, in Republika Srpska to those in Serbia. And in the part of Bosnia and Herzegovina which is under the control of the Bosnian Army the textbooks issued by Federal Ministry of Education, Science, Sport and Culture in Sarajevo are being used.
As far as the history textbooks are considered, the data show that each group of the textbooks devotes a significant amount of its space to the national history of its own people (the most the Croatian textbooks with 57% of their entire space; then the Serbian textbooks with 44%, and finally, the Bosnian textbooks with 38% of their entire space). A difference in the approach to the national history and national history definition in the textbooks was also indicated. Namely, in contrast with the Bosnian textbooks, in the Croatian and Serbian textbooks the national history is presented through history of their state, territory and the people, including the Croatian and Serbian people out of the present Croatia and Serbia. Consequently, the Bosnian history is presented in the Croatian textbooks within chapters on the Croatian history, as a part of the Croatian national history. In the Serbian textbooks medieval Serbian history is presented as a part of the Bosnian history. The Serbian textbooks also have a different approach to the history of the former Yugoslav states. Contrary to the Croatian and Bosnian textbooks which discuss the Croatian and Bosnian histories within Yugoslavia, the Serbian textbooks do not exclude or separate Serbian history from Yugoslav history. They speak about Serbian history as a part of Yugoslav history.
The data also show that the textbooks do not pay enough attention to each other's national histories. Neither of them write about each other's history in more than 20% of the units. This exclusivity is more obvious by the presentation of particular aspects of the national history, i.g.: sufferings of the peoples, their victories, great historical events, famous historical persons, etc. In contrast with their allotment within their own national histories, in other peoples' national histories they received only several percent of the space. For instance, sufferings of the people were mentioned in approximately 3% to 8% of units, while within one's own national history in 42% of Croatian units, in 21% of Serbian units, and in 14% of Bosnian units, etc. The ethnocentric approach is characteristic of all the analyzed textbooks. Yet, some differences with regard to the share of the ethnically colored content in their national histories occurred within them. According to the data, it could be said that the Croatian textbooks are ethnically colored to the greatest extent, then the Serbian textbooks. The Bosnian textbooks have the least number of the units mentioning the ethnic aspects of the national history.
Do the textbooks speak about similarities of Bosniacs (Moslems), Croats and Serbs, who have lived together for centuries and who should live together in one country in the time to come? In what way do they perceive each other in the textbooks? How do the textbooks portray the others in comparison to their own people? These questions are of great importance to the socialization of the young for the common life and participation in the process of the post-war reconciliation. For that very reason, they were also raised by our project. Although they cannot be fully answered, the data do indicate some answers. With regard to the question on the ethnic, cultural, religious and historical similarity of Bosniacs, Croats and Serbs, the data are not encouraging. Namely, the allotment of the units speaking about their similarities is low in all the textbooks (3% units in the Croatian textbooks, 4% in the Bosnian and 11% in the Serbian textbooks). It is disturbing that at the same time, in the presentation national history, more attention was given to their mutual ethnic conflicts. Such a content of the textbooks contributes to the creation by students of negative images about other people they live with, especially to the Serbs who are most often mentioned as the people who were in the conflict with Croats and Bosniacs, who more often lead conquering, than defensive wars, etc.
Compared to the other nations, in all the textbooks their own nations are predominantly portrayed positively, e. g. as the peoples who lead defensive wars, mostly were victims of the aggression by other nations, they suffered through the whole history, etc.
The theme structure of the textbooks shows that in all of them the two prevailing themes are the themes related to the diplomacy and politics, and war issues. To clarify this finding it is necessary to mention that within the theme of diplomacy and politics the units which predominantly cover the state related issues (its creation, loss, relationships toward other states, allies, etc.) were recorded. Therefore, it is not surprising that in a political context where there was a war for new nation states, these themes received the most attention in all the analyzed textbooks. These two themes were also most often a theme framework within which particular aspects of the national histories (victories, important historical events, famous historical persons, etc.) of Bosniacs, Croats, and Serbs were presented.
In Bosnia and Herzegovina children are supposed to learn significantly less from the cultural history, economy and social issues. However, compared to other's countries history textbooks in Europe (i.g. the German textbooks), there are a number of themes about which the children learn nothing. For instance, there is no a single chapter on why they study history at all. They also do not learn about Europe as a community (in the textbooks there are no particular chapters on the history of the European political, economic or cultural institutions which integrate Europe). Nor they learn about peace and war as particular themes (although Bosnia and Herzegovina has just come out of a war, in the textbooks there are no chapters on peace or wars, their notions, different understandings, consequences, etc.). Finally, what is most important, there is no chapter on how to use the history of Serbs, Croats and Bosniacs to build peace and trust among people in Bosnia and Herzegovina in the post-war period. Not a single Bosnian, Croatian or Serbian textbooks has a line on the trans-national nature of the current societal life and decline of the nation state in the age of post-industrial society. The nation state, i.e. ethnically based state with one ethnically homogeneous nationality constituting the core of the nation state, is still in the center of their interest.
The analysis of the supplements addresses the problem of dominance of a mono-perspective approach of the textbooks to the historical material. Namely, all the textbooks are dominated by a single point of view. None of the Bosnian, Croatian or Serbian textbooks have documents which present different viewpoints on the historical events, including the points of views of those who took part in the events. This indicates that the textbooks do not provide students the content necessary for the development of their critical thinking, especially with regard to their own national history.
The rhetorical analysis, which was aimed toward a de-construction of ideological activity of speech/language of the school history textbooks, reveals the same value orientation of the textbooks on the rhetorical level of their discourse. Precisely, it indicates that ethnocentric focusing of the perspective, which is suggested to the students in a rhetorical layer of the analyzed texts, establishes values such as collectivism,"imprisonment", limitation by a group, patriarchal morals, hard, intolerant relationship to those who do not belong to the community or US and "epic soul", whose irrationality is proved by inclination to oscillating between the extremes of suffering pathos (suffering, victim) and warlike absence of compromise (triumphant elevation). In a word, the textbook discourse establishes those values, which in the project were regarded as non-democratic and contrary to the proclaimed liberal-democratic value framework.

The analysis of the literature textbooks also points to their ethnically-oriented content structure, even though a few discrepancies among them have been established. These refer, first of all, to the relationship between national and other literature: national literature and world literature, national literature of each of the three groups of textbooks (Bosnian, Croatian and Serbian), and literature from all of the other Yugoslavian nations. If we consider all these aspects, the data show that the Bosnian textbooks are the least nationalistic and the most open toward world and other, that is , literature of Yugoslavian nations. The Croatian and Serbian textbooks, nonetheless, differ with the inclusion/exclusion of their national literature, and in regards to the inclusion/exclusion of other Yugoslavian literature. In this respect, the Croatian textbooks are substantionally more exclusive than the Serbian textbooks, they do not contain a single text from Serbian literature. What is evident here is a radical diversion from an already century-old school-literary practice. In this context it is also significant that like the history textbooks, students cannot learn about their mutual similarities and contrasts from literature textbooks either. Actually, from all three groups of literature textbooks the units that discuss similiarities and differences are excluded, or rather, not included, as if other nations and people do not even exist.

Not going into further detail, it is possible to conclude shortly, that literary textbooks as well as history textbooks divide rather than connect students in Bosnian and Herzegovinian schools, that they count on "our" strict national reader and not on a citizen of Bosnia and Herzegovina. The problem is that this calculation is actually the producing pupiles who are Croats, Bosniacs and Serbs but not citizens of Bosnia and Herzegovina as an integral country.

By contributing more to the creation of the closed, ethnocentric identity of children, than to an identity open to diversity, bouth history and literature textbooks appear more as a disintegrative than integrative factor in the post-war reconstruction of the social life in Bosnia and Herzegovina.

Therefore, radical changes are needed. First of all, there is a need for the curricula harmonization. Instead of three kinds of the textbooks, different by approach and content structure, new textbooks should be based on more uniform methodological and content construction principles valid in the entire territory of Bosnia and Herzegovina. Secondly, in contrast with the recent textbooks, the content of the new textbooks should satisfy the need of preparing the children for building a new democratic and pluralistic society. This means the creation of an open identity for students, open toward diversities and integration processes within Bosnia and Herzegovina.
Finally, if Bosnia and Herzegovina wants to meet all the mentioned needs, the textbooks should be written in Bosnia and Herzegovina, by the Bosnian and Herzegovian experts and practitioners themselves, but not imported or overtaken from Croatia and Serbia.
The changes in education, especially in the area of social sciences and humanities which convey basic social and political values to the future citizens, are not only educational question. They are deeply connected with and dependent upon politics. Therefore, it is not possible to put into effect necessary changes in history and literary teaching and to overcome their ethnocentric nature, while political actors who advocate the ideology of ethnic nationalism as an ideal basis of the program of the social reconstruction in Bosnia and Herzegovina are in power.

Branislava Baranovic

Institute for Social Research Zagreb

IDPs nel sud della Serbia

11/10/2001 -  Anonymous User

The outcome of the conflict over Kosovo reversed the flood of refugees in the opposite direction. The horror the international public felt over the scale of the exodus of Kosovo Albanians and the relief generally felt upon the return of most of them to Kosovo left little room for sympathy for those who had to leave Kosovo after the Albanians returned. These people, generally termed non-Albanians, in practice mostly Serbs and Romany started leaving Kosovo as soon as the war ended. Although they have been advised to stay and promised protection by KFOR and UNMIK, the fact that (apart from some places in northern Kosovo such as the town of Mitrovica), they had to live in virtual ghettos, made many choose departure. The statistics justify this decision. Upon KFOR's arrival, in the period June 1999 - December 2000 at least 932 non-Albanians were found missing or proven kidnapped. In the year 2000 alone in Prizren 121 non-Albanians were missing; in Gnjilane 120 persons; in Pristina, the figure is 142.(1) Importantly, and unlike in the villages, Serbian violence against the Albanians was minimal in these bigger towns. Therefore the kidnappings do not seem to be the righteous revenge of the victims; rather, they are a part of a planned intimidating action with the single message: "Leave!"
Those Serbs who have left are not termed refugees but 'internally displaced persons'. But their fate is equal to or worse than the fate of those coming from Bosnia or Croatia. According to UNHCR there is a total of 211,300 registered IDPs (the Serbian authorities claim about 50% more, other humanitarian organizations mention the number of 230,000), out of which 60,000 are Roma(2), whereas the rest are mostly Serbs. This totals to more than 700,000 refugees and IDPs altogether, which makes Serbia a host to the most refugees in Europe. The urgent requirements for IDPs for this year only are over $20 million.

The city of Nis, which hosted a moderate number of refugees from Bosnia and Croatia (much fewer than Belgrade or Novi Sad) is now virtually flooded with people from Kosovo. A casual look at licence plates on cars during the rush hours shows a substantial presence of vehicles from Kosovo. The cars with plates from Pristina, Gnjilane, or Prizren themselves differ - from new Audis to battered old Yugos. And here the story of the different conditions of the IDPs begins.
The total figures for IDPs show that around 50% of the refugees have their own accommodation or live in rented flats (96,801 of the registered IDPs)(3) . In more precise numbers, according to a recent survey "most of IDP families in Serbia (37%) live in rented accommodation, 31,5% in collective centres, 24% with friends and relatives and 6,4% at home" (4). Among them, a minor proportion is very rich. The richer ones had fewer problems accommodating. These people have sold their property in Kosovo at very high prices to the Albanians, and now they live in Serbia as members of the upper class. A glance through the window as this text is being written reveals a Golf 4 and an Audi A8 with the licence plates 'Pristina'. The family also owns a comfortable five-room flat. Such examples, though relatively rare, breed contempt in many locals. This is especially so given that most of the richer newcomers were avid supporters of Milosevic's policy and senior officials of his party in Kosovo. The same policy and the same party that initially caused all the trouble. Once the trouble began - they fled, with the money. And, to make the situation worse, they retained the excessive pride of being Milosevic supporters and they still boast about it on the street.

The rest of the group living on their own are the former Kosovo Serb middle class. These people live in rented flats, and try to make ends meet every month. Their situation is not desperate - since most younger ones have found jobs here and they at least have something to eat: about 61% of Serbian IDPs work in state firms and they are on a payroll: the explanation is easy - most of them used to work in state firms in Kosovo, and upon their arrival to Serbia proper they remained officially employed. But they hardly get any pay cheques in reality, so they try to manage themselves. Nobody knows their exact number since they are reluctant to register as IDPs. But their real problem is how to fit in the new environment. They stick together, as if in clans, and they seldom mix up with the locals. The locals, on the other hand, are also reluctant to remain friends with their compatriots from the south. In downtown Nis, the once immensely popular café known as 'The Pyramid' is now rented by Serbs from Kosovo. Hardly any local ever visits the place anymore. Even more so after a recent shooting incident involving gangs formerly based at Pristina, now stationed in Nis. Distrust at the Kosovo Serbs is all-present, as they are widely (and often unfairly) seen as stern Milosevic supporters who thus contributed to the entire poverty that befell the country. Nobody seems to care - neither the international community nor their own people.
The worst is, naturally, in the camps. Most of them are located on the ends of the roads, in deserted hostels, schools and gyms, far away from the eyes of the local population. Even those nearer big cities are still quite distant from the eyes of the locals. On the outskirts of Avala mountain, near Belgrade, there is an old mountaineers' rest home turned into a camp. Its capacity is 40, but 150 people with 57 children from the Kosovo village of Suva Reka use it as a shelter. In the beginning, they were often visited by members of the Serbian Orthodox Church, Serbian Refugee Committee, even by politicians. Now, hardly anyone comes. Each of them gets a quarter of a loaf of bread and a cooked meal for lunch. For anything more, such as social aid and employment opportunity, they have to manage themselves.(5) Near Kraljevo, about 300 people were put up in an elementary school last summer, only to be literally thrown out in September, since they angered the local parents who wanted the building to be used for its intended purpose.(6) Some good ideas come from international organizations. In Kragujevac, for example, ACT (Action by Churches Together) put up greenhouses near a collective centre. They have been tilled by IDPs, and the deal was that those who worked could retain 50% of the income (about $50 a month, which is close to the average monthly salary in Serbia), whereas 50% was used to provide food to the rest of the IDPs in the camp.

In south Serbia, IDPs are sometimes settled in the places already occupied by Bosnia and Croatia refugees, provided there is some room left. Such is the case in Nis, where some are put up in old hotels 'Park' and 'Serbia'. There are also new facilities, occupied exclusively by IDPs, such as 'Sport centre' Vranje, motel 'Atina' Leskovac, motel 'Spring' Bujanovac, The New Kindergarten Bujanovac, Collective Council Zitoradja etc. When these were filled up, the newcomers were put up even in some battered roadside barracks, which had once been temporary facilities for the workers on the roads.
The condition of these people is a bit different from those from Croatia or Bosnia. On one hand, they are not technically refugees, and their original and present locations are formally in the same country. Therefore, for purely political reasons, they are treated as if they were just about to get back to Kosovo any moment, so they are denied even the right to another employment, the right 'real' refugees have.(7) As for social aid, it is practically nonexistent. Those in collective centres get poor meals daily (provided by Serbian Refugee Committee, financed by foreign NGOs), whereas those living in private arrangements get humanitarian packages monthly. The criteria for getting these have been drastically changed lately, so that today only those younger than 18 or older than 60, as well as those with the proof of disability may continue receiving those packages. The brighter side of the story of IDPs from Kosovo, especially ethnic Serbs, is their overall vitality and ability to self-organize. Contrary to, for example, many Croatia refugees in collective centres, some of whom have not stepped on the urban territory for 5 years, ex-Kosovo Serbs are well organized, loud and determined to fight for their rights. They have many associations, and they organize joint actions, especially when negotiating with the Government or foreign NGOs. Such is the Association for the Search for Missing and Kidnapped Persons from Kosovo, based in Nis.

There are many NGOs dealing with IDPs in south Serbia. The programmes are usually those of integration, such as the current ICS project (52% of ICS' funds are aimed at refugees, and 48% at IDPs). These projects are further divided into psychosocial ones, and 'economic' ones. The former deal with mental recuperation and workshop-based activities for young people, whereas the latter offer small loans for starting up business (some pilot programs currently offer small loans amounting to 1.000 DEM)(8). The Danish Refugee Council (DRC) is currently offering the 'quick impact' programme. IDPs are offered 10 chickens per family so that they could start up small poultry farms. There are too many interested, so this offer is limited to families with more than 6 members. For those intending to stay, COOPI (Cooperazione Internazionale) is offering building material. The deal is as follows: the host gets free material to finish his or her house, on condition he or she is willing to host an IDP family in the house for the next two years. This is similar to what International Rescue Committee from USA has been doing all these years. Many are apparently interested.
As for repatriation programmes, there are virtually none as yet. The rumour is that from September onwards, International Relief and Development (IRD) from USA will start 'go and see visits' similar to what UNHCR has done in Croatia lately. The idea is that IDPs should be allowed free trips to their places of origin, where they will be able to see for themselves what condition their homes are in. Some might decide to stay. However, having the overall situation in Kosovo in mind, this is still more fiction than reality.

Obviously, the condition of internally displaced persons in Serbia is not pleasant. They are neglected by their Government for political reasons, they are often scorned by their compatriots for their defiance and excessive pride, they are hated to death by Kosovo Albanians, and they seem to be at the end of UNMIK's and KFOR's priorities. For the time being, all they have is their own wit and some help of international relief organizations. We can only hope this will change soon.


Note:

1 The figures are given courtesy of Fund for Humanitarian Law, Belgrade. Complete listings with personal information are available on request.
2 According to Mr. Dejan Markovic, the Union of Roma Students, for the year 2000.
3 Figures courtesy of ICS Nis.
4 Source: International Federation of Red Cross and Red Crescent, Serbia section.
5 Data taken from the authoritative weekly "Nin".
6 Data from CNN, September 2000.
7 Swiss Agency for Development and Cooperation has recently published a booklet advising refugees and IDPs of their rights, with specific reference to the right to employment. Available on request.
8 Courtesy of Tamara, ICS Nis.

Il ritorno dei profughi in Croazia

11/10/2001 -  Anonymous User

I dati

I dati sui profughi rientrati in Croazia forniti da UNHCR e ODPR (rispettivamente, l'ufficio dell'Alto Commissariato per i Rifugiati e il Dipartimento governativo per i rifugiati e gli sfollati) parlano di circa 125 mila persone in totale. Sulla base di un'indagine compiuta tra i rappresentanti della comunità serba e tra le organizzazioni nongovernative che si occupano dei profughi rientranti o ritornati (Milorad Pupovac, Presidente del Consiglio nazionale serbo di Croazia, Jovica Vejnovic, segretario generale del Consiglio nazionale serbo - SNV e Ljubo Manojlovic, segretario generale del Forum democratico serbo) le cifre riportate sono abbastanza corrispondenti al dato formale, ma vanno prese con riserva: infatti un quarto circa dei profughi - in massima parte cittadini croati di nazionalità serba - torna soltanto per ottenere i documenti croati, vendere la proprietà e partire per altri paesi o sistemarsi nella parte serba della Bosnia ed Erzegovina o talvolta nella stessa Serbia. Dunque, rispetto alle cifre presentate, il ritorno effettivo riguarda il 75% dei casi.
La maggior parte dei rientrati proviene dalla Federazione Jugoslava, soprattutto dalla Serbia. Molto minore invece è il numero di quanti arrivano dalla Bosnia ed Erzegovina, dove i rifugiati possono ancora vivere praticamente indisturbati nelle case della popolazione di nazionalità musulmana o croata. Questo fatto si spiega con le differenti politiche attuate dal nuovo governo della federazione bosniaca e dal governo della Repubblica Serba di Bosnia, caratterizzata quest'ultima da inerzia ed indifferenza. Il governo centrale bosniaco - a composizione socialdemocratica e civica - favorisce una politica del ritorno molto attiva, come mi hanno confermato anche Jadranka Milicevic ed altri dirigenti del Centro per il ritorno dei profughi di nazionalità serba e musulmana in Bosnia orientale, durante una visita a Gorazde alla fine di giugno. Le garanzie di legge sono dunque diventate realtà nelle zone sotto il controllo delle autorità centrali di Sarajevo, mentre in quelle controllate dal governo di Banja Luka ancora non c'è un ritorno rilevante. Pochissimi sono poi i profughi fuggiti che ritornano dai paesi occidentali, a parte rari casi di persone che hanno perso lo status di rifugiati e non sono riusciti a trasferirsi in Canada o Australia.

Le difficoltà del rientro

Un primo problema di rilievo collegato al ritorno sono le procedure burocratiche molto complicate e lente richieste dalle ambasciate e dagli uffici consolari croati nei paesi di rifugio, specialmente a Belgrado. Un secondo problema che rallenta il ritorno è quello delle denunce contro molti rientrati di essere criminali di guerra, denuncia che fa scattare il procedimento abituale di arresto ed il conseguente processo penale che spesso si conclude con una condanna. E' molto difficile definire il grado di fondatezza delle accuse, ma pare che oltre il 50% si basino su denunce false.
I costi del ritorno sono pagati in gran parte dalle organizzazioni umanitarie internazionali. Il governo croato partecipa alla ricostruzione delle case distrutte della popolazione serba rientrante, specialmente in Slavonia orientale, ma con un finanziamento in percentuale insignificante. La ragione di questo atteggiamento è spiegata con le difficoltà finanziarie in cui si trova tutto il sistema statale. Un ulteriore problema molto grave è legato alla presenza dei profughi croati provenienti dalla Bosnia, e in misura minore anche da Vojvodina e Kosovo, che vivono nelle case dei serbi rientranti. Spesso le autorità tollerano questa occupazione delle case, e così molti profughi ritornati non possono riavere le loro proprietà e vivono in case di familiari o prese in affitto.

L'atteggiamento verso i profughi rientrati

Ci sono infine i problemi politici del contesto ambientale in cui si ritorna. Non sono stati raccolti dati precisi sull'atteggiamento della maggioranza croata verso i profughi rientranti di nazionalità serba. Ma secondo quelli disponibili si può dire che gli atteggiamenti prevalenti siano l'indifferenza, e in misura minore - ma molto più forte nelle zone del ritorno - l'avversione in quanto elemento di disturbo. Le opinioni raccolte su questo punto sono discordanti: Pupovac, durante un colloquio del 12 luglio, mi dice che il problema non sta nell'atteggiamento della popolazione croata che vive nelle zone di ritorno, ma nella passività e nella mancanza di azioni concrete da parte delle autorità statali. Al contrario per il sindaco di Vojnic Branko Eremic - membro del SDP, anch'egli profugo tra il 1995 e il 1997 - i problemi maggiori ai rientranti li creano una parte dei croati residenti nelle zone del ritorno, a loro volta spesso rifugiati da altre terre. Si tratta secondo Eremic di cittadini facilmente manipolati da parte della destra radicale croata, che credono nel HDZ e nel HSP e rifiutano la convivenza. Il futuro però sta solo nella ricostruzione della fiducia interetnica e della sicurezza, condizioni necessarie per il ritorno della vita nelle zone della ex-Krajina (Vjesnik, 6.7).
Un ragionamento simile lo fa anche il presidente del partito popolare serbo (SNS) e sindaco di Donji Lapac, Milan Djukic; per lui la convivenza è l'unica via d'uscita. I serbi hanno imparato la lezione della storia, specie di quella recente, e non c'è più spazio per l'esclusivismo nazionale e per una nuova omogeneizzazione etnica. Ma il problema più serio resta la politica del governo croato verso queste aree: non si fa niente per riattivarne l'economia e la vita sociale. E vittime di questa passività non sono soltanto i serbi, ma anche i cittadini croati del posto. Le autorità ad esempio non vogliono spiegare a questi croati che devono liberare le case serbe. Per via di tutti questi motivi non è possibile dire quanti profughi ci si può aspettare che tornino nel prossimo futuro: forse non tornerà più nessuno, conclude Djukic (sempre da Vjesnik, 6.7).

Vedi anche:

UNHCR Croazia

Gli impatti ambientali delle attività umanitarie: alcuni punti di riferimento

11/10/2001 -  Anonymous User

Per la prima volta nella storia di un conflitto bellico dopo la guerra del Kossovo è stato richiesto al Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) di realizzare una valutazione degli impatti ambientali delle azioni militari. A cura di Massimo De Marchi.

Documento delle associazioni, del volontariato, delle ONG italiane (Ancona, 16 marzo 2001)

11/10/2001 -  Anonymous User


Il 17 e il 18 maggio 2000 - nell'ambito della prima Conferenza sullo sviluppo e la sicurezza nell'Adriatico e nello Ionio - si tenne una Conferenza parallela della società civile per la pace, la democrazia e la cooperazione nei Balcani con lo scopo di avanzare proposte e programmi concreti di cooperazione e interventi specifici per la ricostruzione e la cooperazione dell'Europa sud orientale. In quell'incontro si segnalò l'esigenza di affiancare agli interventi e alle iniziative di ricostruzione materiale e di sostegno economico, un piano della ricostruzione sociale, civile e democratica per favorire e incoraggiare lo sviluppo umano, l'economia sociale, il radicamento di un tessuto comunitario e democratico.
In questo contesto la tutela dell'ambiente assume un'importanza strategica che investe i temi della salute e delle condizioni sanitarie delle popolazioni, le prospettive di uno sviluppo sostenibile ed equilibrato, la partecipazione attiva dei cittadini alla vita comunitaria, la socializzazione e il risanamento del territorio, la cooperazione regionale: l'ambiente può essere cioè la chiave di una visione della ricostruzione e della cooperazione fondata sull'integrazione europea e il recupero del territorio in una prospettiva di pace e di convivenza tra i popoli.
Sottolineiamo la necessità che i paesi partecipanti alla Conferenza sostengano la realizzazione degli obiettivi stabiliti nelle Convenzioni globali sulla biodiversità, i cambiamenti climatici, la desertificazione.
Auspichiamo pertanto la promozione di iniziative a favore della lotta alle siccità ricorrenti, alla desertificazione e al degrado delle terre nei paesi interessati, con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo e dell'area del Mediterraneo, contribuendo -anche grazie al ruolo del volontariato e delle ONG- al soddisfacimento dei fabbisogni primari e al risanamento e valorizzazione del territorio. Segnaliamo l'importanza di iniziative del volontariato, degli enti locali e dei governi -ricordiamo ad esempio la campagna di sensibilizzazione "Prima della pioggia" promossa dal governo italiano con la partecipazione delle istituzioni locali- volte a raggiungere questo obiettivo.
Ricordiamo inoltre -a livello nazionale- l'importanza della recente approvazione della legge "per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo dei Paesi dell'area balcanica", che prevede l'istituzione di un fondo per le attività di monitoraggio ambientale. E' necessaria una rapida attuazione della legge, nonché il pieno coinvolgimento dell'associazionismo e delle Ong nella programmazione e realizzazione degli interventi.
In occasione dell'incontro dei Ministri dell'Ambiente della Conferenza di Ancona, esprimiamo perciò queste richieste e aspettative:
- un intervento significativo e deciso a favore del risanamento e della bonifica di tutti i territori, dei fiumi e dell'Adriatico che hanno subito le conseguenze degli eventi bellici e dei conflitti degli anni '90 nei Balcani; in particolare auspichiamo: 1) un'azione immediata che preveda una informazione puntuale sulla presenza di ordigni inesplosi- in particolare le cosiddette "bombe a grappolo"- sganciati in Adriatico dagli aerei Nato di ritorno dalle missioni in Kossovo e Serbia, e una parola definitiva sull'attività di bonifica 2) un piano organico e specifico di bonifica dei territori colpiti e dei siti contaminati dall'uso dei proiettili ad Uranio Impoverito (accedendo a tutte le informazioni complete dei siti colpiti) o che hanno visto colpiti impianti industriali e chimici che hanno rilasciato sostanze inquinanti e tossiche (come a Novi Sad, Pancevo, Kragujevac) ; gli stanziamenti previsti dall'Unione Europea sono assolutamente insufficienti e- soprattutto- la progettazione degli interventi procede con gravi lentezze; non vi è nemmeno un'adeguato sostegno all'opera di informazione e di monitoraggio sanitario delle popolazioni delle aree interessate;
- l'avvio delle procedure internazionali necessarie alla dichiarazione che riconosca l'Adriatico e lo Ionio come "particularly sensitive sea areas"; questa esigenza, espressa anche nelle conclusioni finali della Dichiarazione di Ancona, è particolarmente pressante per il Medio e Alto-Adriatico, caratterizzati da una bassa profondità, da un lentissimo ricambio delle acque e da un intenso traffico marittimo di merci pericolose diretto verso i porti del Nord-Adriatico;
- la realizzazione di una strategia -attraverso interventi e investimenti mirati- di pianificazione e programmazione del territorio che integri iniziative sociali ed economiche, lo sviluppo delle
- aree urbane e rurali nel rispetto di una visione partecipata, equilibrata e sostenibile dello sviluppo del territorio;
- l'implementazione di programmi internazionali per la creazione e/o l'adeguamento di sistemi di monitoraggio costante delle acque costiere (e dei tratti finali dei principali fiumi), al fine di dotare tutti i paesi rivieraschi di un supporto scientifico per il controllo delle principali cause dell'inquinamento marino; tali programmi dovranno essere incentrati sull'interscambio di esperienze e di metodologie tra paesi e dovranno prevedere la partecipazione, oltre che degli organi istituzionali, anche di Istituti di ricerca qualificati e di associazioni ed Ong che abbiano maturato un'esperienza in proposito e che garantiscano l'accessibilità ai dati raccolti e la trasparenza delle procedure investigative;
- in questo contesto va ricordata la priorità di interventi decisi nei paesi interessati a favore della riduzione delle emissioni inquinanti generate da fonti fisse (impianti energetici, industriali, ecc.), anche con l'applicazione delle convenzioni ECE-ONU sull'inquinamento transfrontaliero e con standard minimi e omogenei (quelli previsti dalle linee guida dell'IPCC) da adeguare tenendo conto delle condizioni e delle tecnologie locali. Diventa dunque strategico investire nel sostegno deciso al rinnovamento dei vecchi impianti di produzione di energia, verso forme di energia pulita e non inquinante. Altri temi sono all'ordine del giorno che noi poniamo con forza e che riguardano il sistema del trattamento dei rifiuti, il controllo -dal punto di vista ambientale- dei processi di privatizzazione industriale, l'adeguamento delle infrastrutture fognarie e di depurazione delle grandi città;
- alla luce del piano di investimenti previsti e rivolti alle vie di comunicazione e al sistema dei trasporti nei paesi dell'Europa sud orientale chiediamo sia fatta una valutazione ambientale strategica dei piani e delle direttrici previsti dai progetti del Patto di Stabilità e dai Corridoi paneuropei che potrebbero impattare in modo preoccupante sull'ecosistema dell'area; ogni progetto promosso dovrà in ogni caso essere accompagnato da una valutazione di impatto ambientale;
- in considerazione anche del possibile sviluppo del turismo come risorsa economica per tutti i paesi dell'area chiediamo che si adottino standard di sostenibilità ambientale per l'espansione delle attività turistiche, in modo da salvaguardare l'integrità del patrimonio marino, delle coste, delle aree verdi; il turismo deve essere ecosostenibile dentro un quadro integrato di sviluppo economico e territoriale;
- è assolutamente prioritario un intervento significativo a favore del monitoraggio ambientale -e della necessaria bonifica- di un'area ambientale patrimonio europeo come quella del Danubio e del suo bacino; si auspica una forma di cooperazione regionale -come dichiarato anche dal Patto di Stabilità- che faccia della tutela ambientale del Danubio, anche l'occasione di integrazione e di comunicazione tra i paesi che ne sono attraversati; questo intervento deve essere rivolto anche a tutto il patrimonio fluviale che può essere oggetto di queste forme di cooperazione regionale e integrazione tra i paesi della Conferenza;
- i paesi che si affacciano sull'Adriatico hanno storicamente avviato esperienze iniziative di parchi e aree protette con significativi standard di protezione e di tutela; si auspica - anche raccordandosi ad iniziative italiane in atto come il progetto APE: "Appennino, Parco d'Europa", il programma "Via del Parco" e le iniziative promosse dal Parco dell'Aspromonte- la creazione di forme di cooperazione regionale tra i sistemi dei parchi a livello nazionale al fine di avviare scambi di esperienze, di operatori, di metodologie utilizzate;
- un iniziativa che favorisca, a livello universitario, di istituti di ricerca, di Ong e associazioni che si occupano di tutela ambientale un programma di scambi formativi e di esperienze che agevoli il confronto tra metodologie scientifiche, tecniche ed educative in modo da favorire -a partire dalla formazione dei formatori- la crescita di una cultura dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile; auspichiamo che rappresentanti di Ong, associazioni, comunità locali, istituti scientifici vengano coinvolti nelle strutture di confronto e di programmazione degli interventi previsti dall'Iniziativa Adriatico-Ionica sull'ambiente;
- la promozione di iniziative economiche rivolte alla tutela e alla valorizzazione dell'ambiente in una dimensione partecipativa, anche attraverso la sperimentazione di forme di impresa sociale e il microcredito: qualità dell'ecosistema urbano, aree protette, monitoraggio ambientale, sviluppo delle aree rurali -attraverso modelli a ridotto impatto ambientale- possono essere alcuni dei campi di intervento da sviluppare in questo contesto.
ARCS
CIPSI
COCIS
COMUNITA' DI CAPODARCO
COSPE
CVM
FOCSIV
ICS
LEGAMBIENTE
OSSERVATORIO PERMANENTE SUI BALCANI
PEACE GAMES
TAMAT
UISP

Bosnia-Ervegovina: Jelavic rieletto presidente dell'HDZ

10/10/2001 -  Anonymous User

Ante Jelavic è stato riconfermato presidente del HDZ, il partito nazionalista croato della Bosnia Erzegovina.

Quale turismo nei Balcani?

10/10/2001 -  Anonymous User

A dieci anni dalla sanguinosa disgregazione della ex-Jugoslavia e alle soglie di un nuovo conflitto - quello macedone - il sud-est Europa comincia ad essere nuovamente visitato da viaggiatori stranieri, più o meno coscienti della storia e dell'attuale situazione dei luoghi che attraversano. Questo pare essere l'anno del record di presenze turistiche in Croazia, dei turisti "di transito" in Bosnia Erzegovina, della ricomparsa di un timido "turismo autoctono" sulle coste montenegrine nella Repubblica Federale Jugoslava. Tutto fa credere che agli occhi degli stranieri, la ex-Jugoslavia sia finalmente tornata ad essere terreno fertile per vacanze di totale relax a prezzi stracciati. Ma la realtà possiede anche altre facce.
Dagli approfondimenti realizzati dai collaboratori dell'Osservatorio sul tema del turismo nei Balcani, che oramai vengono citati dai mass-media solo in caso di nuovi conflitti, di nuove liste di candidati al Tribunale de L'Aja oppure di storie eclatanti di corruzione, emerge un quadro più complesso e composito. E questo primo spaccato offre già materiale per una prima riflessione sugli effetti che le modalità con cui questi paesi si stanno aprendo all'arrivo dei visitatori stranieri, possono avere sulla popolazione locale. Un tipo di riflessione generale che qualcuno, nell'ambito dell'associazionismo italiano, si è posto da tempo avviando ora i primi viaggi sperimentali di "turismo responsabile" nell'area. Si tratta dell'Associazione Progetto Prijedor - Onlus e dell'Associazione Tremembé - Onlus, che grazie al loro programma "Vicino e comunque lontano...Alla scoperta del fiume degli smeraldi" nella settimana in corso stanno compiendo un primo viaggio guidato in Bosnia Erzegovina, con l'intento di coniugare turismo con cultura, crescita sociale, cooperazione decentrata e sviluppo umano.

Croazia: luci ed ombre dell'economia croata

09/10/2001 -  Anonymous User

Le autorità croate hanno iniziato a sfoltire i diritti sociali dei dipendenti dei servizi pubblici e delle istituzioni statali. Dal primo gennaio 2002 verrà parificata la situazione tra impiegati permanenti e temporanei ed il costo del lavoro sarà identico per entrambe le categorie. Verranno inoltre tagliati i rimborsi per lo spostamento verso il posto di lavoro ecc. (Vecernji list, 4.10). Dusanka Marinkovic, del sindacato indipendente dell'industria energetica e petrolchimica, ha dichiarato che ora inizieranno le lotte sindacali per preservare e non perdere diritti già acquisiti.
In questo clima il primo ministro Ivica Racan fa sapere che se non andasse in porto la vendita della ditta telefonica croata HT (il governo è in trattativa con la Deutsche Telekom) il bilancio statale si troverebbe in una situazione molto difficile (Jutarnji list, 2.10).
Ma dall'economia croata non arrivano solo segnali negativi. Il dato riguardante la crescita del prodotto nazionale lordo nel secondo trimestre dell'anno, un +4,7%, porta un pò d'ottimismo. Il rialzo è stato trainato soprattutto dalla crescita degli investmimenti che si è attestata al 7,7%.
Le banche croate invece non hanno aumentato, come era invece previsto, i tassi di interesse seguendo le tendenze del mercato finanziario mondiale. Alcune hanno addirittura diminuito quelli corrisposti ai piccoli risparmiatori.

Perugia - Assisi: la presenza dell'Osservatorio sui Balcani

09/10/2001 -  Anonymous User

Anche l'Osservatorio sui Balcani sarà presente alla Marcia della Pace Perugia - Assisi per "Cibo, acqua e lavoro per tutti" di domenica 14 ottobre prossimo.

Intervista con Tonino Perna. La guerra al terrorismo e le ripercussioni sui Balcani

09/10/2001 -  Anonymous User

Abbiamo chiesto a Tonino Perna, economista dell'Università di Reggio Calabria, di commentare per noi il recente inizio delle operazioni militari in Afganistan e le loro possibili ripercussioni sullo scenario balcanico.

Croazia: reazioni al filmato sui crimini dell''Operazione Tempesta'

08/10/2001 -  Anonymous User

I primi giorni di ottobre sono stati caratterizzati in Croazia da un evento televisivo senza precedenti. Il due ottobre, in prima serata, la prima rete nazionale croata ha trasmesso un film documentario di Bozo Knezevic sulle stragi subite dalla popolazione civile serba in seguito all'azione militare "Tempesta" del 1995 grazie alla quale Tudjman riprese possesso della regione delle Krajne.
Si sono subito alzate le proteste del Presidente dell'Associazione invalidi di guerra, Marinko Liovic, del Presidente del Comitato per la difesa della "guerra patriottica", Mirko Condic, che ha descritto l'attuale governo quale un "potere traditore", ed infine della Segreteria dell'HDZ che ha richiesto le dimissioni di Mirko Galic, direttore generale della Radiotelevisione croata, e del redattore Denis Latin (Slobodna Dalmacija, 3.10).
Su Novi List Jelena Lovric commenta queste reazioni insistendo su quanto sia difficile per persone che hanno agito senza onestà ed in modo poco chiaro accettare queste verità sui crimini di guerra. Reagiscono minacciando il governo e paradossalmente in parte si può dare loro ragione. Il nuovo corso croato avrebbe dovuto, secondo la giornalista, rendere note le verità sui crimini compiuti durante la guerra immediatamente dopo la svolta del 3 gennaio quando si sgretolò il potere dell'HDZ.
Nonostante queste considerazioni c'è spazio anche per l'ottimismo: secondo un'inchiesta effettuata dopo la trasmissione il 70% della popolazione della Croazia è favorevole a portare i responsabili per crimini di guerra commessi da parte croata davanti ad un tribunale.

Istria: tra Croazia ed Europa

08/10/2001 -  Anonymous User

La regione istriana rappresenta fin dall'inizio della storia della neonata Repubblica Croata, un caso politico, sociale e culturale molto particolare.

Kosovo: le elezioni dell''indipendenza'

08/10/2001 -  Anonymous User

E' iniziata la campagna elettorale per le elezioni generali in Kossovo , che dovrebbero tenersi il 17 novembre, senza che vi siano sostanziali divergenze tra i principali contendenti. Tutti vogliono che la loro provincia diventi uno Stato sovrano. Gli elettori dovranno solo decidere chi sarà a guidare i kossovari su questa strada.
A differenza del clima di violenza che ha caratterizzato le elezioni locali dello scorso anno, i partiti politici, in particolar modo i più militanti, hanno favorito un'apparenza più liberale e progressista, rendendosi conto di avere maggiori probabilità di raggiungere il potere dimostrandosi convinti sostenitori dei valori della democrazia.
Nonostante sia quasi scontata la vittoria dell'Alleanza Democratica di Ibrahim Rugova, LDK, sembra probabile che quest'ultimo sarà costretto a governare in coalizione.L'uomo che durante gli anni '90 e la lotta di resistenza passiva a Milosevic godeva praticamente del supporto della totalità della popolazione albanese, ora è appoggiato solo dalla metà di questi ultimi.
Ma i suoi principali rivali, Hashim Thaqi e Ramush Haradinaj, ritengono il suo tempo sia passato e il suo approccio ritenuto debole e troppo aperto al compromesso rischi di bloccare, se non impedire, l'indipendenza del Kossovo.
Molti consensi da Rugova sono passati ai due partiti nati dall'UCK, l'esercito di liberazione del Kossovo: il Partito Democratico del Kossovo di Thaqi, PDK, e l'Alleanza per il futuro del Kossovo di Haradinaj, AAK. I sondaggi prevedono che questi due partiti si attestino rispettivamente sul 30% ed il 10% dei consensi. I loro sostenitori sperano in una continua ed inesorabile erosione della popolarità ed influenza di Ibrahim Rugova.
L'LDK invece sosterrà con tutta probabilità durante questa campagna elettorale che è merito di Ibrahim Rugova, e della sua lunga opposizione al regime, se la questione kossovara è assurta a fondamentale nell'arena internazionale. Il suo carisma e la sua esperienza, ritengono i suoi sostenitori, garantiscono basi maggiori per la richiesta dell'indipendenza, che non le dichiarazioni di Thaci e Haradinaj, da loro visti come violenti, nervosi e soprattutto privi della necessaria esperienza politica.
Ma Thaqi e Haradinaj, entrambi famosi ex-comandanti dell'UCK, si stanno preoccupando di raffinare la loro immagine proponendosi come alternativa politica di valore piuttosto che opzione "militante" per l'elettorato.
Oltre a criticare Rugova per la sua tendenza al compromesso, il PDK ha sottolineato più volte come egli abbia fallito nel creare una piattaforma comune dei kossovaro-albanesi per l'autogoverno del Kossovo in seguito alla fine del conflitto nel 1999.
In questo processo di "make-up" l'AKK sta tentando invece di riformare la sua immagine di coalizione di sinistra composta da radicali e militanti. Per protesta molti sostenitori della linea dura hanno lasciato il partito.
La coalizione ha cercato di avvicinare i partiti liberali ed è riuscita addirittura a reclutare tra le proprie file Mahmut Bakali, ex-leader comunista, fuori dallo scenario politico negli ultimi due decenni ma stimato intellettuale il cui arrivo porterà all'AKK un significativo numero di voti.
Sia Bakali che Haradinaj sostengono che in questo specifico momento storico per il Kossovo, così vicino all'indipendenza, si dovrebbe proporre la formazione di una coalizione governativa che comprenda tutti i partiti sulla scena politica e non tanto permettere che le scelte in merito al futuro della provincia possano essere prese da un unico partito o dalla coalizione da esso guidata.
Ed è proprio la questione dell'indipendenza che sta causando molti dubbi sulla partecipazione dei circa 170.000 serbi-kossovari. Nonostante più della metà di questi ultimi si sia registrata per votare non è chiaro quanti effettivamente si recheranno al seggio. Visto che, per ragioni demografiche, il parlamento della provincia sarà dominato da kossovari-albanesi che spingeranno per ottenere un loro Stato sovrano, i leader della comunità serba ritengono ci sia il rischio di legittimare il processo di indipendenza recandosi alle urne il 17 novembre prossimo.
La comunità internazionale sta tentando di convincere i serbi a partecipare al voto argomentando che questo garantirà loro un'influenza sulle decisioni in merito all'indipendenza della Provincia. Dieci posti del parlamento kossovaro sono riservati alla comunità serba. Se prendessero parte alle elezioni potrebbero riuscire ad ottenere fino a 27 deputati.
Sembra che queste elezioni si terranno in condizioni molto migliori rispetto a quelle locali dello scorso ottobre, oscurate dalla violenza. Mentre i partiti albanesi tentano di migliorare la loro immagine si ha la percezione che la spigolosa rivalità tra moderati e militanti si sia attenuata. Sono diminuite le intimidazioni, le minacce ed i pestaggi.
I leader kossovari sembrano aver capito che devono essere pazienti ed adattarsi inizialmente ai poteri limitati che i vincitori acquisiranno con queste elezioni. Hanno compreso che il Paese continuerà ad essere governato dall'Alto Rappresentante delle Nazioni Unite e che, nel breve periodo, i poteri della nuova assemblea saranno limitati.
Detto questo, vi è anche la convinzione che chi sarà eletto giocherà un importante ruolo nelle negoziazioni sul futuro status del Kossovo e come conseguenza che la provincia ha bisogno di un'amministrazione efficiente ed una squadra politica forte in grado di condurre quelle stesse negoziazioni.


di Shkelzen Maliqi
IWPR (traduzione a cura dell'Osservatorio sui Balcani);

L'appello nelle mani di Prodi

06/10/2001 -  Anonymous User

Venerdì 5 ottobre 2001 a Trento è stato consegnato nelle mani di Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, l'appello "L'Europa oltre i confini", per un'integrazione certa e sostenibile dei Balcani nell'Unione Europea

Entro il 2001 un treno collegherà Sarajevo a Belgrado

05/10/2001 -  Anonymous User

Il direttore delle ferrovie bosniache, Faruk Curcic, ha dichiarato che entro la fine del 2001 sarà ristabilito il trasporto ferroviario tra Bosnia-Erzegovina e Repubblica Federale Jugoslava. Si tratta in particolare di due linee, la prima collegherà Sarajevo a Belgrado, la seconda collegherà invece la capitale serba con Banja Luka.
Non appena sarà terminata la ricostruzione del ponte presso Bosanski Samac, ha assicurato Curcic, verrà ristabilito pure il collegamento per treni merci via Zvornik.
A questi risultati si è arrivati dopo la trattativa ed i negoziati tra Dragan Mikerevic, ministro per l'integrazione in europa della BiH, e Miroljub Labus, vicepresidente della Federazione Jugoslava. Per la ricostruzione ed ammodernamento delle necessarie infrastutture ferroviarie la Banca Europea per lo Sviluppo ha già approvato lo stanziamento di 80.000 euro (Nezavisne Novine , 27.09.2001).

FRY: cala la popolarità di Kostunica, sale la paura del potere

04/10/2001 -  Anonymous User

Se oggi stesso tutti i partiti della Serbia andassero alle elezioni vincerebbe la DOS e Vojislav Kostunica sarebbe ancora il presidente, ma vincerebbe drasticamente meno rispetto al 24 settembre 2000, e i cittadini serbi voterebbero in questo momento con una grande paura del potere. Questi, in breve, sono i risultati della ricerca condotta dall'agenzia di Novi Sad "Scan"che sono stati presentati mercoledì, dalla sua direttrice Milka Puzigaca, all'Istituto per la filosofia e la teoria sociale. La ricerca comparativa sui cambiamenti dell'opinione pubblica nelle città di Nis e novi Sad è stata condotta nel periodo compreso tra agosto 2000 e la metà di settembre di quest'anno. Su un campione di 1.200 intervistati, l'agenzia "Scan" è giunta ai risultati che possono dare una risposta alla domanda circa il gradimento del nuovo potere un anno dopo i cambiamenti in Serbia, e alla luce delle divisioni all'interno della coalizione di governo.
Come sostiene Puzigaca "se il Partito democratico della Serbia (DSS) uscisse dal potere, la DOS prenderebbe il 39 percento, mentre il Partito Democratico della Serbia il 22 percento di voti. Dopo le elezioni, la popolarità di Kostunica è improvvisamente aumentata, a dicembre era praticamente senza concorrenti, ma in questo momento la sua caduta è piuttosto netta, a dicembre aveva il 58 percento, mentre oggi è caduto al 31 percento". Puzigaca richiama inoltre l'attenzione sul ritorno della paura del potere. "Per questi undici anni non ricordo che in un così breve periodo abbiamo riscontrato un improvviso aumento della paura, e non ci sono state guerre. Questa paura indica che i cittadini iniziano di nuovo a non sentirsi sicuri e i cittadini stessi riconoscono la divisone nella coalizione di governo". Secondo le sue parole, l'agenzia "Scan" ha notato anche l'aumento delle paure sociali, come lo sono le paure dell'inflazione, delle agitazioni sociali, dei licenziamenti dei lavoratori così come un aumento della paura delle privatizzazioni.

Veltroni sull'integrazione dei Balcani in Europa

04/10/2001 -  Anonymous User walter, veltroni, mio, tuo, suo, europa

Presidente della RS in visita alla comunità serba di Bocinja (FBiH)

04/10/2001 -  Anonymous User

Il Presidente della Republika Srpska, Mladen Ivanic, ha visitato il 21 settembre scorso la comunità serba residente nel villaggio di Bocinja, nella Federazione BiH. Prima della guerra vi vivevano circa 3000 serbi. Fuggiti durante le ostilità ne sono ritornati solo 300 che ora si trovano ad affrontare condizioni di vita difficili. "Solo 21 delle nostre case sono state ricostruite grazie a fondi del Governo olandese" hanno denunciato ad Ivanic. Le altre rimangono distrutte, come distrutta è la scuola elementare locale tant'è che i bambini nel villaggio non stanno frequentando alcuna lezione. Tutto questo con un tasso di disoccupazione molto alto e con pochi investimenti fatti sul settore agricolo, quello dal quale la maggior parte delle famiglie di Bocinja trae i pochi mezzi che garantiscono loro la sussistenza.
Anche la sicurezza di questa piccola comunità è spesso messa a repentaglio e la permanenza di sette famiglie di Mujahedins nel villaggio certo non aiuta ad abbassare le tensioni. Sono stati denunciati infatti più volte attacchi ed intimidazioni da parte di questi ultimi alla minoranza serba.
Ivanic ha però voluto rassicurare i cittadini di Bocinja. "il Governo della Republika Srpska provvederà a finanziare la ricostruzione di 10 case - ha assicurato - e ritornerò il prima possibile, questa volta accompagnato dal primo ministro della Federazione BiH Alija Behmen e da rappresentanti della Croce Rossa Internazionale, per vedere cosa si possa fare per garantirvi maggiori diritti e condizioni migliori di vita".
Il Presidente della RS ha inoltre concordato sulla necessità che, per evitare ulteriori incidenti, le famiglie dei Mujahedins lascino il villaggio (Glas Srpski, 22-23/09).