Un quadro sulla realtà istituzionale della Bosnia Erzegovina e sui diritti delle minoranze. Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

24/08/2016 -  Cristina Cilia

Le vicissitudini dei paesi balcanici degli ultimi decenni toccano il nervo scoperto dei nazionalismi e delle minoranze, ed evidenziano il paradosso della tutela dei diritti umani, teoricamente universali e inalienabili, ma nella pratica affidati alla tutela di ordinamenti nazionali particolari. Il caso bosniaco, a tal riguardo, è emblematico per la gravità e la complessità delle sue vicende.

Supportata da una breve ma significativa esperienza diretta nel paese (un viaggio di studio organizzato dal Center for Constitutional Studies and Democratic Development, istituzione fondata dalla John Hopkins School of Advanced International Studies e dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna), l’autrice indaga la storia e la realtà istituzionale della Bosnia Erzegovina, e produce una riflessione di carattere generale in materia di diritti umani e diritto internazionale.

Il 1° capitolo (“Attualità di un paese diviso”) presenta l'odierno assetto istituzionale del paese, segnato da anomalie (la più macroscopica è la presenza dell'Alto rappresentante, figura istituzionale inedita nel panorama costituzionale contemporaneo) e cronici malfunzionamenti, e tenta una ricognizione della presenza della comunità internazionale, che sotto varie forme condiziona ancora oggi la sua vita politica e istituzionale.

Il 2° capitolo (“Storia di un paese colonizzato”) propone una ricostruzione storica dei fatti che hanno portato a tale assetto, con un focus sulla nascita e sull'evoluzione delle identità nazionali, e propone una rilettura della storia della Bosnia come storia di una periferia: periferia di imperi (ottomano, austro-ungarico, e più di recente, la comunità internazionale, che, pur non essendo un impero nel senso stretto del termine, influenza e condiziona la vita del paese con ampi poteri di intervento) interessati a intervenire nell’area geografica in questione, ma solo marginalmente, in quanto il loro “centro” si trova altrove.

Il 3° capitolo (“Prospettive di convivenza”) propone una analisi teorica sulle possibili modalità di gestione di società segnate da profonde divisioni interne. La democrazia liberale in questo senso offre alcuni strumenti, ma altri sono ancora inesplorati o poco praticati, in quanto non ancora ammessi come legittimi dal diritto internazionale attualmente vigente. In particolare, l'autodeterminazione è oggi preclusa alle minoranze nazionali, che possono ambire ad ottenerla solo tramite l'uso della forza.

Le conclusioni suggeriscono, infine, la possibilità di superare, in prospettiva, l'“ordine nazionale delle cose”, per giungere ad un ordine internazionale retto da giurisdizioni multiple e sovrapposte.