
Fiume o morte! - locandina
Due film interessanti in uscita in questi giorni: “Fiume o morte” di Igor Bezinović, coproduzione tra Croazia, Italia e Slovenia, ricostruisce l’occupazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio. L’altro è “Cherry Juice” opera prima della regista bosniaca Mersiha Husagić
Un premio importante e un’uscita immediata nelle sale italiane. Farà sicuramente discutere “Fiume o morte”, il film di Igor Bezinović distribuito lunedì, martedì e mercoledì della prossima settimana come evento speciale da Wanted Cinema.
Questo pochi giorni dopo la vittoria del Tiger Award, il primo premio del 54° Film Festival di Rotterdam, che si aggiunge al premio Fipresci della stampa internazionale.
Farà discutere perché il regista, croato di Fiume, ricostruisce in maniera originale e irrituale l’occupazione della città del Quarnaro da parte di Gabriele D’Annunzio.
Il film, una coproduzione tra Croazia, Italia e Slovenia, parte dal cosa resta dei 16 mesi di quell’avventura militare e politica per poi ripercorrerli.
Nel prologo si vedono, tra vecchie fotografie e immagini di oggi, i ponti sulla Fiumara che il Vate fece saltare la vigilia di Natale 1920 per fermare l’esercito regolare del Regno d’Italia che stava per intervenire e chiudere la parentesi.
Bezinović interroga poi i passanti, incontrati nel Korzo e nelle altre vie cittadine, su chi fosse D’Annunzio: molti non lo sanno, per altri era semplicemente “un fascista”, pochi hanno un’immagine più articolata del poeta.
Alcuni degli intervistati sono successivamente coinvolti nell’idea del regista di rimettere in scena quegli eventi. A precederla c’è però una veloce ricostruzione documentaria dei primi due decenni del Novecento, tra il regno d’Austria-Ungheria, la breve visita di D’Annunzio nel 1907 e la guerra.
Mentre si discutevano i futuri Trattati di Versailles, i fiumani erano divisi tra l’adesione all’Italia, al nascente Regno di serbi, croati e sloveni oppure l’autonomia. Il poeta, che parlava di “vittoria mutilata” nel caso la costa adriatica orientale non fosse stata assegnata ai Savoia, approfittò del vuoto temporaneo, raggiunse a Ronchi (poi divenuto Ronchi dei legionari) i granatieri di Sardegna che lo aspettavano e da là organizzò il viaggio in camion.
Arrivati al confine il 12 settembre, il comandante della spedizione si impegnò in una trattativa con il generale Pittaluga, prima della cosiddetta “sacra entrata”. Armato più di retorica che di altro, D’Annunzio prese rocambolescamente il potere sulla città, che restò presto isolata da tutti i lati.
Bezinović, noto per i precedenti “Blokada” (2012) e “Kratki izlet – A Brief Excursion” (2017), gioca seriamente con la storia, con ironia e precisione, ricostruendo i fatti e rimettendoli in scena non con la finzione tradizionale, ma quasi come se accadesse oggi, visto che i mezzi impiegati, le auto o i camion, sono quelli di oggi e non di allora. Sono però dell’epoca le divise e questo fa un effetto strano, creando un corto circuito tra il passato e il presente, che può offrire spunti di riflessione.
Il regista non cavalca tesi, si limita a ripercorrere gli accadimenti (compreso l’incidente di Spalato del luglio 1920 che portò a vendette a Fiume e quindi all’incendio del Narodni Dom a Trieste) e prendere atto dello stato delle cose, cercando una distanza pur appartenendo a quella realtà.
Se c’è un sentimento di nostalgia è per la scomparsa della Fiume nella quale si parlava correntemente il dialetto fiumano, familiare anche a chi era di madrelingua croata.
Per il resto si osservano le trasformazioni (basti guardare il porto o i cantieri navali) della città, che in un secolo ha cambiato tanti vessilli.
Nel film si cerca di mettere in comunicazione i diversi punti di vista, spesso molto rigidi e parziali (specialmente da parte italiana) per andare al di là della vulgata corrente o di una conoscenza molto superficiale.
La domanda che percorre il film è “che cosa resta” oggi: dalle memorie dannunziane come le 10mila fotografie scattate durante l’occupazione, la Costituzione (la Carta del Carnaro) mai entrata in vigore e l’affresco che la celebrava, le insegne, le vie e le piazze e le scuole intitolate a D’Annunzio, fino ai ricordi e alle opinioni che hanno ora le persone.
Un modo di affrontare la Storia interessante e inusuale, soprattutto su una questione incancrenita come quella del confine orientale, uscendo dai soliti schemi e provando a mettere in discussione tante certezze forse poco basate sui fatti.
Cherry Juice
È in arrivo nelle sale, da giovedì 20, anche il bosniaco “Cherry Juice” di Mersiha Husagić, già presentato lo scorso anno al Trieste Film Festival e distribuito da Lo Scrittoio. In particolare, sabato 22 al Cinema Mexico di Milano è previsto un incontro con la regista e interprete e con l’attore protagonista Niklas Löffner.
Si tratta di un’opera prima ambientata a Sarajevo alla vigilia di Capodanno. Selma è una giovane sceneggiatrice e aiuto regista che lavora come cameriera al Kino Bosna, dove una foto di Tito spicca sul muro.
Tutto era pronto per iniziare le riprese del film scritto da lei - legato ai ricordi della guerra di Bosnia Erzegovina, alla fuga di una famiglia verso la Germania e all’incontro di una bambina con un mondo sconosciuto – quando il progetto è saltato all’improvviso.
La donna non si è occupata di avvisare tutta la troupe, così il protagonista maschile Niklas arriva in Bosnia da Amburgo senza sapere nulla e si ritrova con tutti i piani scombussolati.
Il “cosa resta” sarebbe anche il tema di “Cherry Juice”: Selma era piccola al tempo del conflitto, vive con un pesante senso di colpa e vive con il desiderio di andarsene.
“Sono sfortunata perché ho vissuto la guerra o sono fortunata perché sono sopravvissuta?” si chiede la protagonista, che conserva una vecchia pistola che non vuole riconsegnare alle forze dell’ordine.
L’impressione però è che sul cosa resta prevalga il restare legati al passato e all’immagine della città nel periodo dell’assedio, a partire dalle scelte musicali con brani di Plavi Orkestar, Indexi e il ballo sulle note di “Kalashnikov”.
La storia è inframmezzata da immagini d’archivio e lo stesso Niklas, dopo essere passato in taxi in tanti luoghi che ancora recano i segni di spari e granate, resta a lungo a guardare i filmati dell’assedio.
È interessante che del film ,che non vedrà mai la luce, si vedano dei frammenti di storyboard, ma la parte iniziale con l’attore che si prepara al ruolo insieme al trans Joe è abbastanza pleonastica.
Ne risulta un film un po’ stereotipato e acerbo, che dalla scena del furto prende una piega strampalata e avventurosa che si rivela presto scontata.
Su una sceneggiatura fragile, gli attori non sembrano diretti al meglio e Löffner appare troppo piacione. Peccato per un esordio interlocutorio, anche se si tratta di uno dei pochi film bosniaci che approdano da noi e potrebbe incuriosire chi degli anni ‘90 conosce poco.