Scoglio Pettine di Mezzo - (foto F. Fiori)

Scoglio Pettine di Mezzo - (foto F. Fiori)

Siamo giunti alla cinquantesima puntata della serie dedicata agli Sguardi adriatici: per celebrare il traguardo, la 50sima puntata è dedicata all'insulomania e agli insulomani, come l'autore di questo testo e di questa serie

14/03/2025 -  Fabio Fiori

L’Adriatico è il mare prediletto dagli insulomani! Perché le isole sono tantissime e diversissime. “Ho provato molte volte a contare le isole dalmate, senza mai arrivare all’ultima, ed è praticamente impossibile visitarle tutte”, mi disse vent’anni fa il maestro e amico Predrag Matvejević. “Le isole dalmate sono le pietre del Sisifo adriatico”, gli risposi sorridendo.

Contare, ma soprattutto sbarcare su tutte le isole dalmate è la nostra “fatica di Sisifo”. Una fatica necessaria ed emozionante se si è affetti da insulomania, l’irrefrenabile passione per le isole. Un’insulomania che affliggeva di quando in quando Predrag, un’insulomania che m’accompagna da quando sono bambino. Il mio è un amore che soddisfo occasionalmente raggiungendo le isole a vela oppure su piccoli, affascinanti traghetti, primi tra tutti quelli della Jadrolinija. Ma il mio è innanzitutto amore platonico, perciò forse ancora più struggente.

Un amore vissuto l’estate scorsa per un paio di settimane, veleggiando tra le isole quarnerole e zaratine. Ho mollato gli ormeggi a Rimini nel pomeriggio, alzando le vele con prua per 70°. Bolina larga, con un felice Scirocco. Approdo al mattino dopo nella silenziosa e semideserta Ustrine Luka, costa occidentale dell’Isola di Cres, qualche miglio a nord del canale d’Ossero. Aperto in età romana, dividendo così in due la mitica Isola di Absirto, luogo del tragico assassinio di Absirto da parte della sorella Medea e del suo amante Giasone. Un’isola da allora sdoppiata in due: Cherso e Lussino.

Di lì, d’isola in isola fino a Zara, in una rotta decisa dal vento. Tappa a Sansego, isola di sabbie, canne e viti; all’Asinello, isola di pietre, oleandri e pini; a Premuda, la più ritrosa e selvaggia. Poi Selva, Olibo, Ist, Molat, Rava e tante altre. Senza dimenticare gli scogli Pettini, Silbanski grebeni, piccoli gioielli di selvatica bellezza e due scogli-faro di grande suggestione, due spartiacque: Gagliola del Golfo del Quarnero e, più a sud, Gruizza del Canale del Quarnerolo.

Un amore alimentato in queste settimane di gelo e Bora, dalla lettura di “Isola. Storie di un filosofo-chef dal cuore dell’Adriatico”, di Senko Karuza, tradotto con cura e passione da Ginevra Pugliese, edito qualche mese fa dai tipi di Bottega Errante Edizione (pp. 230, € 17). Una traduzione rimasta nel cassetto per anni, come scrive nella nota la traduttrice, che incontrò l’autore nel 2009 in occasione di un festival letterario organizzato dall’associazione Casa della Letteratura di Trieste.

Una traduzione che, sotto lo stimolo dell’editore, s’è arricchita di altri racconti che insieme compongono una mappa geografica ed etnografica dell’isola di Vis, la Lissa di veneziana memoria. Già l’indice restituisce l’idea di uno zibaldone, di una raccolta d’oggetti, personaggi, consuetudini e sentimenti che permettono di vivere insieme a Karuza sull’isola e per l’isola. Perché gli isolani per scelta come lui, l’isola la vivono con gioia e la custodiscono con gelosia.

Perché l’autore, in controtendenza rispetto a tanti croati che hanno lasciato le isole per vivere in città, ha lasciato Zagabria per vivere a Vis, dove gestisce una konoba in una piccola baia. Ed è proprio dalla cucina che parte il racconto, più precisamente da una griglia per cuocere il pesce innaffiato d’olio d’oliva, abbondante perché “tutti vedano che bella vita è la nostra”.

Karuza cucina con gioia per gli ospiti, ma qualche volta preferisce farlo solo per la familija, regalandosi un bicchiere in più di bevanda, preparandosi un brodetto a bordo. Tre parole iconiche di “un croato dalmata infarcito di italianismi”, testimoni di una lunga storia di fecondi scambi culturali, in doppia felice direzione.

Perché per me, come per tutti quelli che vanno per isole dalmate, diventano famigliari, tanto per restare a tavola: sarma, un involtino di cavolo acido ripieno di riso e carne, poverum, un peperone povero e saporito che cresce in ambienti aridi, kapula, la cipolla che è ingrediente del brodetto, insieme a pomodoro, vino e pesce. Freschissimo, pescato mentre “Uno metteva la kapula a soffocare e l’altro buttava giusto allora la lenza oltre la banda, e tutto quello che si pescava, subito in teća!”.

Per Karuza due sono le creature indispensabili al vivere sull’isola: la barca e l’asino. “La barca entra in noi come un rasoio affilato e ogni ferita diventa all’istante solo una cicatrice invisibile che infonde sicurezza”. L’asino a cui “vogliamo bene come se fosse, risulta imbarazzante dirlo, il nostro unico amico”.

Insulomani di fatto o di fantasia, accomunati da una vera e propria gioiosa ossessione, forse perché “discendenti diretti degli abitanti di Atlantide”, e la nostra passione altro non è che un inconscio anelare all'Atlantide perduta, riprendendo le parole di Lawrence Durrell che per primo la descrisse.