
Yerevan, Armenia (© trabantos/Shutterstock)
Dopo l'interruzione di gran parte degli scambi commerciali tra l'Unione europea e la Russia, molti paesi del Caucaso e dell'Asia centrale hanno visto un boom del loro interscambio con Mosca: una triangolazione che rende possibile aggirare le sanzioni occidentali
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato dalla testata spagnola El Confidencial nell'ambito di PULSE)
Nell'ottobre 2024, i funzionari della Vigilanza doganale dell'Agenzia delle Entrate spagnola, in un'operazione congiunta con la Polizia nazionale e con il supporto dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), hanno sequestrato al porto di Barcellona tredici tonnellate di prodotti chimici pronti per essere contrabbandati verso la Russia, in violazione alle sanzioni imposte dai paesi occidentali a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina.
L'indagine, ancora in corso, ha portato lo scorso 10 febbraio alla perquisizione di tre aziende di Valencia e Barcellona e all'arresto di quattro persone, poi rilasciate in attesa di giudizio. Oltre alla dietilammina, una sostanza utilizzata per sintetizzare l'agente nervino VX, le autorità hanno scoperto spedizioni di acido nitrico – da cui si possono ricavare esplosivi come la nitroglicerina o il trinitrotoluene, meglio noto come TNT – ed esammina, essenziale per la produzione di propellenti per missili o detonatori di testate militari – spiegano fonti investigative.
Gli inquirenti mettono al centro della vicenda un'azienda spagnola gestita da cittadini di origine russa. Per aggirare le sanzioni, la destinazione finale – una filiale con sede a Mosca – veniva nascosta attraverso una rete di società di copertura in Armenia o Kirghizistan. Società che non hanno mai ricevuto la merce, deviata invece via terra verso la Russia. L’operazione, chiamata “Probirka” – “provetta” in russo – è ancora in corso, confermano le stesse fonti.
Stessi commerci, nuove strade
Questa triangolazione è lo schema più frequente per aggirare le sanzioni. L'esportazione di migliaia di prodotti è vietata verso la Russia, ma non verso i suoi partner commerciali o i paesi con cui intrattiene relazioni amichevoli, che diventano la porta di servizio attraverso la quale continuare a fare affari. Per facilitarli, in risposta alle sanzioni occidentali il Cremlino ha legalizzato le cosiddette importazioni parallele, cioè fatte senza il permesso del detentore del diritto di proprietà intellettuale attraverso canali di approvvigionamento alternativi.
Sulla carta, le misure occidentali contro il regime di Vladimir Putin hanno avuto un impatto immediato. Centinaia di aziende europee hanno abbandonato il mercato russo, sospeso la loro attività, ceduto il loro business a imprenditori locali, oppure sono state espropriate dal Cremlino. Le esportazioni dall'UE verso la Russia sono crollate a partire dal marzo 2022.
Un mese più tardi, Mosca ha secretato tutte le statistiche sul commercio estero per evitare “valutazioni inadeguate, operazioni speculative e interpretazioni errate”, rendendo così impossibile ogni confronto con Rosstat, l'agenzia statistica russa. Ma i dati resi disponibili da fonti internazionali come il Fondo monetario internazionale o le Nazioni unite concordano sul fatto che i paesi vicini hanno visto il loro commercio internazionale aumentare vertiginosamente.
L'Unione economica eurasiatica, promossa dal Cremlino dopo l'annessione della Crimea nel 2014, consente la libera circolazione delle merci tra i suoi cinque membri: Russia, Kazakistan, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan. A eccezione dei bielorussi, alleati di Putin nella sua offensiva in Ucraina, gli altri stati membri non sono stati colpiti dalle sanzioni occidentali.
Dopo l'invasione russa dell'Ucraina, in questi paesi sono così aumentate le importazioni dalla Germania e dall'Italia, principali fornitori della Federazione russa prima della guerra. Per esempio, Berlino ha visto aumentare il suo fatturato con il Kirghizistan del 1361%, passando da 48,8 milioni di euro nel 2021 a 713,4 milioni nel 2023, secondo l'Ufficio federale di statistica tedesco. A loro volta, le esportazioni dal Kirghizistan verso la Russia sono passate da un valore di 393,3 milioni di dollari a oltre 1,06 miliardi.
Solo fino alla fine del 2023 sono state importate in Russia merci occidentali per un valore di oltre 70 miliardi di dollari, secondo Andrei Belousov, allora vice primo ministro russo e oggi a capo del ministero della Difesa.
Che l'obiettivo sia aggirare le sanzioni imposte dagli alleati di Kyiv non sorprende gli analisti. Uno studio dell'Ufficio centrale di statistica dei Paesi Bassi e dell'Università di Groningen sottolinea che questo rischio è elevato quando il destinatario di un'esportazione dall'UE si trova in Turchia, Serbia, Mongolia, Kazakistan, Kirghizistan o Armenia.
L'UE e i suoi partner hanno imposto una serie di misure per frenare le riesportazioni, chiedendo per esempio alle controparti di certificare che le merci che acquistano non saranno reintrodotte in Russia o Bielorussia.
Un cavillo burocratico un po’ ingenuo: “I fornitori europei sanno perfettamente che le merci inviate in Armenia saranno riesportate in Russia. A volte gli importatori sono costretti a firmare che non esporteranno le merci in Russia, ma tutti sanno che lo faranno”, afferma da Yerevan, la capitale dell'Armenia, il manager di una società di contabilità che è coinvolta in questi affari dal 2022. In forma anonima, descrive come funzionano questi intrecci commerciali.
Il caso dell'Armenia
Gli imprenditori russi che tradizionalmente importavano merci dall'UE e dagli Stati Uniti e avevano già delle partnership consolidate, hanno deciso di aprire delle società in Armenia, a loro nome o a nome di soci armeni. Non solo una, ma due o più società ciascuno.
In Armenia ci sono diverse società che si scambiano le merci, quindi alcuni articoli finiscono per essere registrati come armeni, spiega il nostro interlocutore. In questo modo evitano problemi doganali alla frontiera quando li esportano in Russia tramite una terza società. “È interessante notare che sono stati esportati dall'Armenia alla Russia non solo prodotti occidentali, ma pure beni di origine ucraina”, aggiunge la nostra fonte.
Registrare una nuova società in questa repubblica del Caucaso meridionale è un’operazione relativamente rapida e semplice. I proprietari russi vi mettono a capo dei direttori armeni, e sono rigorosi con il pagamento delle tasse e degli stipendi, sottolinea il manager. “Lo stato e i servizi doganali non interferiscono perché non c'è nulla di illegale. Tuttavia, lavorare con le banche è piuttosto difficile. Poiché quasi tutti gli istituti sono capitalizzati da investitori europei o extraeuropei, sono molto cauti. La maggior parte delle banche fa più di una verifica per assicurarsi che i propri clienti non stiano aggirando sanzioni o trasferendo pagamenti per beni proibiti. Sono estremamente caute perché sono legate alle loro società madri e potrebbero finire esse stesse sotto sanzioni”, racconta.
Nonostante tutto, molte di queste società non hanno attività commerciali attive. Il motivo è che gli imprenditori russi spesso riesportano attraverso il Kazakistan o altri paesi che, a differenza dell'Armenia, hanno una frontiera terrestre con la Federazione russa. Le società armene sono il “piano B” che entra in gioco quando, per esempio, il Kazakistan vieta determinate transazioni e queste operazioni devono essere trasferite rapidamente in un altro territorio.
Il business delle riesportazioni non coinvolge solo aziende di nuova costituzione, ma anche aziende con una lunga storia. Secondo gli amministratori delle società contattate, non ci sono violazioni della legge: si tratta di merci che circolano liberamente e, nel caso di prodotti con duplice uso, civile e militare, non esistono restrizioni particolari.
Il vantaggio per i paesi intermedi può essere effimero. Le statistiche ufficiali mostrano una crescita senza precedenti delle esportazioni, ma la realtà è diversa, sottolinea l'economista e analista Aghasi Tavadyan. Dei 13,1 miliardi di dollari di esportazioni totali dell'Armenia nel 2024, circa 9,3 miliardi (71 per cento) sono riesportazioni. Se si escludono questi prodotti, le esportazioni reali ammontano a circa 3,7 miliardi di dollari, poco più dei 3 miliardi del 2021.
Cosa esportiamo verso la Russia
In tre anni di offensiva, si sospetta che le attività di contrabbando abbiano coinvolto decine di settori, soprattutto quelli in cui si concentrava il grosso delle importazioni russe prima dell'invasione su larga scala dell'Ucraina: macchinari, elettronica, veicoli, prodotti farmaceutici e chimici.
Nel 2023, agenti della Polizia nazionale spagnola hanno arrestato due donne, di nazionalità russa e ucraina, per contrabbando di materiale aeronautico militare. E l’operazione “Probirka”, oltre a confermare spedizioni di dietilammina, acido nitrico o esammina, ha sequestrato tonnellate di NMP, un solvente utilizzato nell'industria petrolchimica, farmaceutica ed elettronica, e in particolare per lo sviluppo di batterie agli ioni di litio.
Quando non si tratta di componenti, a essere esportati sono fucili provenienti dall'Unione europea o dagli Stati Uniti. Diverse indagini pubblicate da The Insider puntano il dito contro l’italiana Beretta, la sua filiale Russian Eagle e la ceca CZ tra le armerie i cui articoli continuano ad arrivare in Russia nonostante le sanzioni. E nemmeno gli articoli di lusso occidentali, anch'essi oggetto di embargo, sono spariti dalle boutique di Mosca.
Tra i paesi dell'UE spicca la Germania, che nel 2021 era la seconda potenza esportatrice in Russia dopo la Cina. Con il crollo delle transazioni dirette nel 2022, ha trovato spesso altre strade. I settori predominanti sono la produzione di dispositivi meccanici, prodotti farmaceutici, ottici e, soprattutto, veicoli a motore.
La Cechia è un altro paese che mostra un notevole aumento delle esportazioni verso i paesi del Caucaso e dell'Asia centrale negli ultimi anni. Secondo un'analisi della Banca nazionale ceca del giugno 2024, citata dall'emittente ČT24, prodotti strategici dal punto di vista militare ed economico continuano ad arrivare in Russia, nonostante le sanzioni. Una delle aziende coinvolte sarebbe Ferrit, che ha inviato attrezzature minerarie in territorio russo attraverso la Turchia e il Kazakistan.
Cosa importiamo dalla Russia
Sono stati rilevati anche ingressi di merci proibite nella direzione opposta. Al contrario della Russia, l'Armenia non produce diamanti. Eppure il fatturato di questa industria in Armenia ha raggiunto i 589 milioni di dollari nel 2023, con un aumento del 457% in due anni, secondo il database Comtrade delle Nazioni Unite. Ancora una volta, l'unione doganale con la Russia è essenziale.
Il petrolio, un altro elemento chiave per l'economia russa – nel 2021 rappresentava il 42% di tutte le sue esportazioni – ha smesso di arrivare nei Paesi dell'UE in grandi quantità. Tuttavia, sono stati rilevati ingressi illegali di idrocarburi: per esempio, nel 2023 in Spagna il servizio doganale ha registrato più di 65mila tonnellate di carburante scaricate nel porto di La Coruña. I contrabbandieri avevano falsificato i certificati di origine per farlo passare per turco. La documentazione falsa sulla provenienza dei prodotti o la classificazione errata delle merci sono le tattiche più comuni, ammette l'Agenzia delle entrate spagnola.
I contrabbandieri si sono inoltre serviti della “flotta fantasma” russa. Queste navi, spesso battenti bandiera di un paese terzo, sono state l'ultimo obiettivo del sedicesimo pacchetto di sanzioni approvato dall'Ue in occasione del terzo anniversario dell'invasione russa. Secondo un'inchiesta di Dnevnik, a 24 miglia dalla costa bulgara nel Mar Nero le petroliere russe Nikolay Veliki e Nikolay Gamayunov hanno trasferito carburante ad altre navi, che poi lo hanno fatto entrare nei porti bulgari di Varna e Burgas. Un'azione ripetuta più volte al largo delle coste dell'UE.
In Spagna tutte le dichiarazioni doganali, non solo di importazione ed esportazione, ma anche di transito, sono soggette a un sistema di filtri che indica quali devono essere ispezionate. La Direzione generale Fiscalità e unione doganale della Commissione europea gestisce una banca dati in cui centralizza, codifica e interpreta le numerose sanzioni che riguardano centinaia di prodotti. Un “team specializzato, indipendentemente dal luogo in cui si trovano le merci all'interno del territorio spagnolo” è responsabile del controllo delle dichiarazioni di esportazione, spiegano fonti dell'Agenzia delle entrate.
La risposta dell'UE
A partire dal marzo 2014, l'Unione europea ha imposto via via misure sempre più restrittive contro la Russia. Ha anche adottato sanzioni contro la Bielorussia, l'Iran e la Corea del Nord in risposta al loro sostegno economico o logistico all'aggressione militare contro l'Ucraina.
Gli obiettivi sono tre: “Primo: negare alla Russia l'accesso alla tecnologia occidentale necessaria per rendere le sue armi più intelligenti e quindi più letali; secondo: ridurre le entrate a disposizione del governo russo per finanziare la guerra; terzo: indebolire il complesso militare-industriale russo a medio e lungo termine”, riassumono fonti della Commissione europea.
“Aggirare le sanzioni è un reato e affrontarlo è una questione prioritaria”, affermano dalla Direzione generale per la fiscalità e l'unione doganale della Commissione europea (FISMA). “Monitoriamo da vicino i paesi terzi che vengono utilizzati come piattaforme per l’aggiramento delle sanzioni e, in particolare, gli operatori che vi prendono parte”, aggiungono. Per evitarlo, "i contatti diplomatici costanti con questi paesi sono una necessità al centro del mandato del rappresentante dell'Ue per le sanzioni, David O'Sullivan".
Bruxelles ha cercato di avvicinare alla propria sfera di influenza i paesi del Caucaso e dell'Asia centrale, nel tentativo di isolare Putin, ma dal FISMA riconoscono che “in alcuni casi, gli sforzi diplomatici potrebbero non essere sufficienti”.
Il Kirghizistan, in particolare, è nel mirino dei paesi occidentali. La scorsa estate, una delegazione del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti è andata a Bishkek, la capitale, con la minaccia di espellere le banche del Paese dal sistema SWIFT se non avessero posto fine alle transazioni con operatori russi. Parallelamente, l'UE minaccia di inserire aziende e individui nella sua lista nera – ma gli sforzi non sembrano sufficienti. Sono tre anni che i paesi occidentali giocano al gatto col topo e, secondo gli intermediari consultati per questo reportage, i fornitori europei chiudono un occhio.
Alla realizzazione di questo articolo hanno contribuito Tsvetelina Sokolova (Mediapool, Bulgaria), Petr Jedlička (Denik Referendum, Cechia), Emmy Sasipornkarn (Deutsche Welle, Germania).
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.