Il ponte di Mitrovica, Kosovo - Foto F. Baccini

Il ponte di Mitrovica, Kosovo - Foto F. Baccini

Schiacciata tra Belgrado e Pristina e col rischio che l'imprevedibile politica di Trump faccia naufragare il piano UE per la normalizzazione dei rapporti, la città nel nord del Kosovo vive nell'incertezza. Ne parliamo con Miodrag Marinković, del Centre for Affirmative Social Actions

27/02/2025 -  Federico Baccini Mitrovica

Se c'è un luogo dove si può tastare la vera temperatura dei rapporti tra Serbia e Kosovo, ma anche degli sviluppi della mediazione europea per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, quello è il nord del Kosovo. Più precisamente Mitrovica, già teatro negli ultimi due anni e mezzo di un'escalation di tensione tra la comunità locale e il governo di Pristina.

A Mitrovica il ponte sul fiume Ibar/Ibër spacca in due la città. A nord vive in stragrande maggioranza la comunità serba, mentre il sud è popolato prevalentemente da quella albanese. È qui che ogni decisione politica nazionale o internazionale si riverbera con maggiore forza sulla popolazione locale, costantemente in bilico tra una soluzione che non arriva e l'incertezza su cosa accadrà in futuro.

"L'Unione europea avrebbe dovuto compiere progressi molto maggiori con il suo piano di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, per garantire che il processo diventasse irreversibile, ma non è riuscita a farlo", è quanto mette in chiaro in un'intervista per OBCT Miodrag Marinković, direttore del Centre for Affirmative Social Actions (CASA), organizzazione della società civile che promuove il dialogo tra comunità etniche a Mitrovica.

Ora si apre uno scenario di difficili previsioni, ma che molto difficilmente potrà determinare un impatto positivo sulla città e sulla regione nel suo complesso. "È così che ha lasciato la porta aperta alle 'soluzioni creative' del presidente statunitense Donald Trump, che è molto vicino a Belgrado e noto sostenitore del piano di scambio di territori" tra Serbia e Kosovo, avverte Marinković.

Quali azioni promuove il Centre for Affirmative Social Actions per creare un ponte tra le comunità serba e albanese a Mitrovica?

Lavoriamo su due livelli. Il primo è la riconciliazione tra i serbi e gli albanesi del Kosovo. Il secondo è la creazione di una vera democrazia partecipativa, in cui i cittadini siano coinvolti nei processi decisionali, sia a livello locale sia nazionale.

Ci concentriamo sulla costruzione attiva di legami resilienti, riunendo diversi gruppi sociali, economici e demografici che hanno interesse nella cooperazione, perché in questo modo possono affrontare i loro problemi in modo più efficace.

Per esempio mettiamo in contatto le organizzazioni della società civile che lavorano a supporto delle persone con disabilità in entrambe le comunità, consentendo loro di influenzare in modo collettivo le politiche del governo centrale. Applichiamo lo stesso approccio alle imprese, ai giovani e agli artisti.

Attraverso la cooperazione possono migliorare la loro posizione nella comunità e allo stesso tempo creare forti legami quotidiani che contrastano la retorica divisiva. Quando le persone lavorano insieme su questioni di interesse comune sono più difficilmente manipolabili.

Che livello di riconoscimento state riscontrando nelle comunità di Mitrovica?

Il maggiore riconoscimento lo riceviamo proprio dai gruppi con cui lavoriamo, che ci offrono il loro sostegno e la loro fiducia.

Tuttavia, soprattutto la comunità serba spesso considera le organizzazioni della società civile come corpi estranei, se non proprio 'traditrici' ed estensione dell'Occidente. Questa narrativa è attivamente incoraggiata dall'attuale governo di Belgrado, che rende difficile il pieno riconoscimento del nostro lavoro.

Il nostro approccio non è binario - albanesi contro serbi - ma vediamo piuttosto una vera contrapposizione tra i cittadini comuni e i governi di Belgrado e Pristina, perché entrambi hanno interesse a manipolare e danneggiare le comunità locali per i propri interessi politici.

Che clima si respira in questo momento a Mitrovica?

Non c'è dubbio sul fatto che le relazioni tra Pristina e il nord del Kosovo si siano molto deteriorate. Una delle cause principali è l'approccio del governo guidato da Albin Kurti: ha intrapreso azioni unilaterali che non riflettono gli accordi internazionali.

L'uso della forza di polizia per imporre soluzioni alle questioni urgenti nel nord del Kosovo ha completamente ignorato gli interessi delle comunità locali e non sono state adottate misure adeguate a sostituire le istituzioni che fornivano servizi di base essenziali.

Esistono alternative a questo approccio, attraverso gli sforzi diplomatici, come il piano di normalizzazione dell'Unione europea e il supporto statunitense sotto l'amministrazione Biden. Il nord del Kosovo vive ora in uno stato di limbo, sotto l'enorme pressione di Pristina e Belgrado.

E Belgrado in quale modo minaccia la regione?

Belgrado ha preso il controllo della rappresentanza politica all'interno della comunità serba del Kosovo attraverso un partito che opera in stretta collaborazione con la criminalità organizzata.

Lista Serba ha mostrato scarso interesse nel partecipare al dialogo parlamentare per avviare un cambiamento positivo, concentrandosi invece solo sul mantenimento dei seggi per controllare la vita politica all'interno della comunità serba. Questo partito non lavora a beneficio della popolazione, ma serve gli interessi di un solo uomo a Belgrado: Aleksandar Vučić.

Abbiamo assistito a una relazione simbiotica tra la criminalità organizzata e la politica, che ha determinato una corruzione diffusa. Gli investimenti che arrivano dalla Serbia vengono sottratti attraverso nepotismo e reti criminali locali.

L'Associazione delle municipalità serbe in Kosovo definita dal piano dell'UE per la normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado potrebbe essere una soluzione a questi problemi?

Sì, a mio avviso può offrire una solida base alla comunità serba per organizzare la propria vita all'interno del Kosovo. Perché questa soluzione affronta uno degli interessi più importanti dei serbi del Kosovo: mantenere i legami con la Serbia.

Questi legami sono stati stigmatizzati dal governo di Pristina e persino criminalizzati, ma bisogna ricordare che sono riconosciuti e integrati nel quadro giuridico del Kosovo. Se c'è la volontà politica, la Costituzione fornisce uno spazio legale alla comunità serba per vivere come cittadini del Kosovo, pur preservando i legami con la Serbia.

Ma non c'è il rischio di replicare il sistema disfunzionale della Bosnia Erzegovina?

No, perché c'è una differenza significativa. Le competenze della Republika Srpska sono anche costituzionali, mentre ciò non è previsto per l'Associazione delle municipalità serbe in Kosovo.

L'attuale progetto approvato dall'UE è stato preparato con il sostegno di esperti europei ed è in linea con la Costituzione del Kosovo. Ai serbi del Kosovo verrebbe concesso un certo grado di autonomia a livello locale, ma non abbastanza da consentire loro di avere il potere di rendere il Kosovo uno Stato disfunzionale.

Inoltre, i serbi possono già influenzare la politica del Kosovo. Qualsiasi modifica alla Costituzione e alle leggi fondamentali richiedono sia la maggioranza assoluta in Parlamento sia l'approvazione dei due terzi dei rappresentanti delle minoranze etniche [10 su 20 sono garantiti a quella serba, ndr].

L'Associazione formalizzerebbe semplicemente il quadro amministrativo per preservare i servizi di base per i serbi del Kosovo, come il sistema scolastico, i servizi sociali e l'assistenza sanitaria.

La mancata attuazione dell'Associazione ora sta diventando un problema anche per l'UE, perché il governo di Belgrado può continuare a destabilizzazione la regione e ostacolare l'integrazione del Kosovo nella comunità internazionale. Senza dimenticare che nessuno può prevedere la posizione della prossima amministrazione statunitense a proposito del Kosovo.

Cosa teme in particolare dell'amministrazione Trump?

Il piano di scambio di territori tra Serbia e Kosovo. Il rischio è che i confini vengano ridisegnati secondo linee etniche, che costituirebbe un pericoloso precedente in altre zone dei Balcani, come Macedonia del Nord, Montenegro e Bosnia Erzegovina.

Se questo piano [già sostenuto dalla prima amministrazione Trump, ndr] dovesse procedere, le principali voci politiche di questi Paesi potrebbero spingere per risolvere le proprie questioni etniche allo stesso modo. Ci troveremmo di nuovo di fronte a una situazione in cui i confini dovrebbero essere tracciati nei cortili delle case.

Il secondo rischio è che, con questo piano, si riconoscerebbe implicitamente che il Kosovo non è riuscito a costruire uno Stato multietnico. E se dovesse fallire in questo, tutti i serbi rimasti fuori da questo accordo - come quelli che vivono nel sud del Kosovo - rischierebbero di perdere i loro diritti linguistici o di rappresentanza politica. L'integrazione si trasformerebbe in assimilazione, e la storia ci ha mostrato i pericoli di lasciare spazio a tali politiche nei Balcani.

Dobbiamo infine considerare le implicazioni per la sicurezza dell'Unione europea, soprattutto per il suo coinvolgimento in Ucraina e per il futuro scenario post-bellico. Cosa accadrà alle zone dell'Ucraina occupate dalla Russia? Se fosse legittimata la divisione etnica in Kosovo, la Russia potrebbe tentare di replicarla in Crimea e nel Donbas. Le conseguenze sarebbero significative in tutta Europa.

Un compromesso nel quadro del dialogo Pristina-Belgrado può essere raggiunto dal nuovo rappresentante speciale dell'UE Peter Sørensen?

Penso che chiunque si fosse trovato nella posizione di Miroslav Lajčák avrebbe dovuto affrontare le stesse difficoltà. Il vero problema è che all'UE manca sia consenso sia volontà politica per esercitare la necessaria pressione su entrambe le parti affinché attuino l'accordo.

Per esempio l'Unione europea, che dovrebbe essere una roccaforte dei valori democratici, continua a sostenere l'attuale governo di Belgrado, chiudendo un occhio sulle pratiche di corruzione. E questo perché cerca cooperazione sulla questione del Kosovo e perché ha notevoli interessi economici nel Paese, in particolare sull'estrazione del litio.

La presidente della Commissione europea [Ursula von der Leyen, ndr] loda la democrazia in Serbia, nonostante sia uno degli Stati più autocratici d'Europa, secondo solo alla Russia e alla Bielorussia. Promuovere i valori dell'UE diventa incredibilmente difficile quando c'è questo atteggiamento nei confronti della Serbia e del Kosovo.

Non credo che Sørensen potrà avere successo se non ci sarà supporto politico e se non verrà esercitata sufficiente pressione sulle due parti. È semplicemente impossibile.