
Proteste pro-Georgescu a Bucarest - © LCV/Shutterstock
Călin Georgescu, il candidato di estrema destra uscito dal primo turno - poi annullato - delle presidenziali romene, è stato escluso dalle nuove consultazioni del prossimo maggio. Una decisione controversa, che mostra tutta l'attuale fragilità della democrazia romena
L’ufficio Elettorale Centrale (BEC) della Romania ha respinto nella serata di domenica la candidatura del candidato filo russo di estrema destra Călin Georgescu, il candidato che aveva vinto il primo turno delle elezioni presidenziali – poi annullate – lo scorso 6 dicembre.
Per i suoi sostenitori, escludere Georgescu dalle presidenziali equivale ad una decisione dittatoriale: ecco perché sono scesi in strada per protestare, con scontri con la polizia ed uso dei lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine.
La Romania sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua democrazia. Il paese si trova stretto tra il presidente russo Putin, quello statunitense Trump e la propria appartenenza all’Unione europea.
Il contesto si complica quindi ancora di più in vista delle elezioni presidenziali di maggio. La decisione con cui l’Ufficio Elettorale Centrale (BEC) ha respinto la candidatura di Georgescu è stata presa con dieci voti "a favore" e quattro contrari.
A votare contro sono stati i rappresentanti dei partiti di opposizione: i partiti di estrema destra sovranista – l’Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR), il Partidul Oamenilor Tineri (POT), il movimento SOS Romania, ma anche la progressista Unione Salvate la Romania (USR) che appoggia il Governo Ciolacu in parlamento.
La leader dell’USR, Elena Lasconi, ha scritto su Facebook che “il rappresentante dell'USR nella BEC ha votato a favore dell'ammissione della candidatura [di Georgescu]”.
Lasconi ha poi argomentato che “non c'è alcuna argomentazione giuridica sul tavolo perché questa candidatura possa essere respinta dalla BEC, che ha solo il compito di verificare la pratica e l'adempimento delle condizioni sostanziali e formali previste dalla legge per le candidature.”
Lasconi era arrivata al secondo turno delle elezioni presidenziali e avrebbe dovuto confrontarsi con Georgescu se le elezioni non fossero state annullate.
Dopo il verdetto della BEC, migliaia di sostenitori di Georgescu hanno protestato gridando “Libertà” davanti all’Ufficio Elettorale Centrale e nel centro storico della capitale Bucarest. Proteste che hanno condotto a scontri con la polizia e all’uso di gas lacrimogeni.
Călin Georgescu ha il sostegno dei partiti dell’estrema destra romena, ma è appoggiato anche da Mosca e Washington. Per le autorità di Bucarest, Georgescu è un pericolo per la democrazia. Sempre di democrazia parla però anche Georgescu, quando invoca il diritto a candidarsi.
L’Ufficio Elettorale ha spiegato in un comunicato che nella sua decisione di rifiutare la candidatura di Georgescu ha tenuto conto degli aspetti fondamentali "già decisi" dalla Corte costituzionale, attraverso la decisione del 6 dicembre 2024, quando ha annullato le elezioni presidenziali.
Inoltre "è inammissibile che, alla ripresa del processo elettorale, si ritenga che la stessa persona soddisfi le condizioni per accedere alla carica di Presidente della Romania”.
L’ufficio elettorale Centrale ha fatto anche riferimento alla decisione della Corte Costituzionale (CCR) che ha respinto la candidatura di Diana Şoşoacă alle elezioni presidenziali del 2024.
A Şoşoacă, ex senatrice ed attuale europarlamentare, era stato vietato di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2024 perché le sue convinzioni non sono compatibili con i valori della democrazia e avrebbe messo in pericolo l’appartenenza della Romania all’UE e alla Nato.
Le reazioni
Per Georgescu, la decisione della BEC rappresenta “un colpo diretto al cuore della democrazia mondiale”, mentre “la Romania è sotto la tirannia” (come ha dichiarato con un post su X).
Dal suo canto, George Simion, leader dell’Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR), il principale partito di opposizione nel Parlamento di Bucarest, considera che “il respingimento della candidatura di Georgescu è un nuovo abuso e una continuazione del colpo di stato del 6 dicembre”.
Ana Maria Gavrilă, leader del POT, ha scritto sulla sua pagina Facebook: "Siamo in una dittatura”. Sulla piattaforma X, sulla situazione romena è intervenuto anche Elon Musk - che dalla fine dell'anno scorso ha tenuto posizioni favorevoli a Călin Georgescu: "Questa è una follia”.
Sempre su X si è espresso anche il vice primo ministro italiano, Matteo Salvini, leader della Lega. Per Salvini, Georgescu è stato escluso per paura che vinca. È “un euro-colpo di stato in stile sovietico, con il quale i romeni sono stati derubati del loro diritto di voto da un furto di democrazia gravissimo”, ha aggiunto Salvini.
Dalla fine di febbraio, Georgescu è oggetto di un’indagine penale e accusato di sei reati: istigazione ad atti contro l'ordine costituzionale, comunicazione di false informazioni, false dichiarazioni in forma continuata, avvio o costituzione di un'organizzazione a carattere fascista, razzista o xenofoba, promozione in pubblico del culto di persone colpevoli di crimini di genocidio contro l'umanità e crimini di guerra, avvio o fondazione di un'organizzazione a carattere antisemita.
Sulle accuse all’indirizzo di Georgescu è intervenuto con un comunicato il servizio segreto di informazioni russo (SVR) che ha accusato i leader dell’UE di essere "evidentemente" dietro ai procedimenti giudiziari a suo carico.
A replicare è stato invece il primo ministro, Marcel Ciolacu: “È intollerabile che i servizi russi si oppongano alle decisioni delle autorità romene! La Russia non può dire alle autorità romene chi indagare e chi no. La Russia non può dettare chi i romeni debbano eleggere e chi no. La Russia non può essere un modello di buone pratiche democratiche. La Russia è un paese in cui gli oppositori politici vengono torturati, imprigionati o uccisi. In breve: in Russia i diritti umani e la democrazia sono un brutto scherzo!”, ha sottolineato il primo ministro romeno.
Ciolacu ha aggiunto che “al di là della retorica politica, i romeni hanno l'opportunità di comprendere direttamente quali sono le forze che cercano di minare il percorso europeo ed euro-atlantico della Romania.”
Nel frattempo, i procuratori romeni hanno fermato (e poi messo agli arresti domiciliari) sei persone, accusate di tradimento e di complotto in collaborazione con la Russia. Un gruppo (che aveva anche una pagina pubblica su Facebook) denominato “Comando Vlad l’Impalatore”, sotto la guida di un generale in pensione di 101 anni, Radu Theodoru, noto in Romania per il suo virulento antisemitismo.
Secondo i procuratori, l’obiettivo del gruppo era rimuovere l’attuale ordine costituzionale, lo scioglimento dei partiti politici e addirittura cambiare il nome del paese in “Getia”.
I rappresentanti del gruppo sarebbero stati in contatto con funzionari dell’ambasciata della Federazione Russa a Bucarest. Due diplomatici russi (tra cui l’addetto militare) sono stati dichiarati persona non grata ed espulsi.
Un paese spaccato
Le prossime elezioni presidenziali in Romania sono previste per il 4 e 18 maggio. Secondo alcuni recenti sondaggi, Georgescu resta il candidato favorito, con un sostegno superiore al 40%. Un dato che mostra quanto sia spaccato al momento il paese e quanto fragile potrebbe mostrarsi la sua stabilità.
Questa settimana si recherà in visita in Europa Tulsi Gabbard, la direttrice del National Intelligence Service americano. In un intervista per “Fox News Sunday”, Gabbard ha dato come esempio negativo il processo elettorale in Romania, ricordando allo stesso tempo il discorso critico all’indirizzo dell’Europa (esemplificato con la Romania) pronunciato del vicepresidente americano JD Vance a Monaco lo scorso febbraio.
A pronunciarsi sulle elezioni in Romania, è stato la settimana scorsa anche il presidente francese, Emmanuel Macron. In un messaggio alla nazione francese ha dichiarato che la minaccia russa “riguarda tutti noi” e ha aggiunto che “la Russia di Putin sta manipolando le elezioni in Romania e Moldavia”.
Secondo la stampa romena, il governo di Bucarest potrebbe varare entro due settimane (prima della campagna elettorale per le elezioni presidenziali) un’ordinanza di emergenza che consentirebbe alle autorità di chiudere i contenuti (rimuovere post, bloccare piattaforme) ritenuti “fake news", "manipolazione" o "minaccia alla sicurezza nazionale".
La stampa e le organizzazioni della società civile avvertono che una tale legge potrebbe essere utilizzata contro la libertà di espressione di tutti i cittadini, compresi i giornalisti o gli oppositori politici, ritenuti scomodi.