
“Dejan Atanackovic – difensore del ponte, arrestato” -. © Dušan Petričić (per gentile concessione dell’autore)
Cinque attivisti, tra cui l'artista e scrittore Dejan Atanacković, sono stati arrestati dopo l'ennesima manifestazione in difesa del vecchio ponte sul fiume Sava, un patrimonio storico unico di valore europeo, che il regime ha deciso di cancellare. Un incontro
E come sempre, si muove. Cammina. Molto lentamente, ma cammina.
Gli attivisti e gli amici che attendevano la liberazione di Dejan Atanacković lo stanno già abbracciando fuori dal Palata Pravde, il Palazzo di Giustizia, da cui è appena uscito. Nel frattempo, lei continua a camminare molto lentamente, appoggiandosi ad un bastone. “Pisac je slobodan!”, “lo scrittore è libero!”, grida una delle attiviste del gruppo Most ostaje (il ponte resiste), collettivo che da mesi lotta per salvare lo Stari Savski Most, un’opera nata e sopravvissuta alla storia più buia del XX secolo e che nella “storia del presente” vive un processo di demolizione, nell’ennesimo episodio del “turbo-urbanicidio“ di Belgrado, così trasparente sulle rive del fiume Sava.
Attorno all’ “uomo-ponte” si moltiplicano i baci e gli abbracci di una vittoria, per ora temporanea, davanti all'ingresso principale della casa della giustizia. Dejan non l'ha ancora vista, ma lei sta arrivando, la strada è sua.
Lo scrittore ha appena pronunciato le sue prime parole nella libertà ritrovata, all'unico microfono della stampa che lo attende (qualche minuto dopo avrebbe parlato di nuovo con me, in italiano, e potete ascoltarlo qui):
Dejan Atanacković intervistato a caldo da Andre Cunha per OBCT al suo rilascio. Foto A.Cunha
Chiedo a un altro degli attivisti rilasciati se sta bene fisicamente; annuisce e conclude: “repressione classica”. Il padre di Dejan ora si avvicina alla scalinata del Palazzo, alla velocità massima consentita dalla sua età che avanza. Ci sono applausi: Atanacković senior, avvocato in pensione, abbraccia Atanacković “junior”, l’artivista liberato. Qualche lacrima riga i visi.
In sottofondo, ancora praticamente invisibile, lei non si arrende, continua. Passo lento ma stoico. Sembra una statua rinascimentale in imperturbabile movimento.
Padre e figlio si scambiano le loro prime parole. A pochi metri di distanza, appunto sul taccuino: quante volte questo avvocato in pensione avrà salito queste stesse scale nel corso della sua lunga carriera professionale, in una normale giornata lavorativa?
Premio letterario NIN 2017 (che in sette decenni ha premiato scrittori come Ugrešić, Pavić, Tišma, Pekić, Kiš, Selimović, Crnjanski,…) attribuito per il romanzo “Lusitania” che arriverà nelle librerie italiane il prossimo autunno, Dejan Atanacković, che ha trascorso gli ultimi 35 anni di vita tra Belgrado e Firenze, dove è professore di arte e scrittura creativa, sembra levitare. Metà felice, metà incredulo, alla ricerca di una bussola. È libero da un minuto, dopo essere stato arrestato per la prima volta nella sua vita. Gli mancano ancora le parole. Dice che vuole andare a scrivere la memoria delle ultime 24 ore in cui è stato un "prigioniero politico".
Nessuno si sarà dimenticato di lei, ma data la velocità del momento, è stata l'ultima ad arri... Eccola! Finalmente.
Sorride, a testa alta, dal marciapiede. In compagnia del suo inseparabile bastone, venuta dalla sua antichità contemporanea fino al futuro-presente, ecco la prima e più universale forma di libertà e giustizia: il sorriso di una madre. La madre resistente, anche lei avvocato in pensione, e il figlio liberato, lì ai piedi di Palata Pravde. La Libertà che abbraccia la Libertà, all'ombra della Giustizia. Belgrado, Europa, primavera anticipata del 2025.
Flashback: qualche settimana fa, nel pieno dell'“inverno del malcontento” serbo, sono tornato alla kafana Stara Hercegovina, nel quartiere di Dorćol, per una lunga intervista con Dejan Atanacković sulla difesa del ponte che l'insegnante Miladin Zarić salvò eroicamente dalla distruzione per mano dei nazisti, allora in ritirata dai Balcani, 80 anni fa, e che gli attivisti di Most ostaje cercano oggi di salvare dalla cancellazione per mano del regime.
La protesta, iniziata addirittura prima della tragedia di Novi Sad, comprende l'installazione di una tenda-blokada permanente dal 31 di ottobre fino ad oggi, dove alcuni attivisti rimangono in presidio 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per più di 130 giorni, presso uno degli ingressi del ponte in fase di effettivo smantellamento e sorvegliato dalla polizia antisommossa 24 su 24, 7 su 7.
L'arresto dei cinque attivisti è avvenuto il 6 marzo, quando Atanacković e altri quattro colleghi sono stati detenuti dalla polizia dopo che alcune guardie di sicurezza di un'azienda privata all'esterno del Consiglio comunale di Belgrado avevano reagito con violenza alla protesta degli attivisti di Most ostaje.
Gli attivisti stavano cercando di bloccare una seduta dei consiglieri comunali lanciando palloncini di vernice rossa che, disintegrandosi dopo l'impatto, rappresentano il sangue che cola lungo le porte d’ingresso alle istituzioni, un metodo utilizzato da diversi manifestanti negli ultimi mesi per simboleggiare quelli che classificano come crimini commessi dalle istituzioni pubbliche.
Come interpreti la lotta di Most ostaje per salvare il ponte vecchio sulla Sava nel contesto politico serbo attuale?
La cosa più importante è che la situazione politica serba diventi più chiara al pubblico europeo e ai funzionari dell’Unione Europea, perché noi sappiamo quanto tutto ciò che questo regime sta facendo in questo momento è, per certi versi, facilitato, permesso ed anche in un certo senso incoraggiato dalle politiche europee verso Belgrado. Ne siamo consapevoli attraverso casi come quello dello Stari Savski Most o della tragedia di Novi Sad, che più che tragedia definirei un crimine vero e proprio. Siamo consapevoli dello stato di corruzione, della zona grigia tra questo governo e la criminalità organizzata. Abbiamo un paese governato da un potere criminale che poi è riuscito - per i molti errori che abbiamo commesso come società, per i molti errori commessi dall’opposizione stessa – ad assicurarsi anche un sostengo europeo. Ogni europeo deve sapere che l’attuale regime serbo è pericoloso e sta mettendo in pericolo non soltanto i diritti dei cittadini serbi, ma di tutta la regione e anche di tutta Europa.
Quello del ponte è un simbolo profondamente iconico, un patrimonio europeo oggi a rischio nel paesaggio di Belgrado…
Abbiamo vissuto una cancellazione del nostro passato, della nostra identità. Abbiamo visto un’enorme parte di Belgrado scomparire. Non solo scomparire, ma essere sostituita da qualcosa che Belgrado non è, e che non sarà mai Belgrado. Stiamo parlando del Belgrade Water Front, un progetto criminale di per sé. Siamo testimoni di un forte impegno, in senso estremamente negativo, dell’Istituto per la protezione dei monumenti del comune di Belgrado che contribuisce ad una serie di atti criminali che hanno visto cancellare circa il 40% di Vračar, una zona di palazzi storici, palazzi che erano lo spirito stesso di Belgrado. La stesso Istituto ora sta minacciando la fortezza di Belgrado e il Sajam (La Fiera), ha rifiutato di concedere lo stato di protezione allo stesso Stari Savski Most e negli ultimi 12 anni ha provocato una tale quantità di distruzione in città, da essere paragonabile al bombardamento nazista di Belgrado.
Gli stessi nazisti che hanno costruito i piloni di questo ponte... Ci puoi fare una breve carta d’identità dello Stari Savski Most?
È importante fare una distinzione tra quello che si sta dicendo oggi nello spazio pubblico e la verità storica. Con la volontà di diminuire l’importanza del ponte, il sindaco di Belgrado ha dichiarato molte volte che si tratta di un ponte nazista. No, non è un ponte nazista. È un ponte costruito da un’azienda jugoslava prima dell'inizio della Seconda guerra mondiale e prima dell'occupazione e che è stato poi trasferito dal luogo dove avrebbe dovuto essere originariamente eretto – sul fiume Tisa – dagli occupanti nazisti, che hanno costruito i piloni e installato l’opera sulla Sava. I piloni sono stati assemblati nella zona davanti al campo di concentramento del Sajmiste, dove gli stessi prigionieri del campo sono stati impegnati alla costruzione dei piloni.
È importante sottolineare che l’occupazione di Belgrado è avvenuta nel 1941, anno in cui è stato creato il campo di concentramento nella zona della vecchia fiera, con i padiglioni della mostra internazionale trasformati in luoghi di detenzione e morte. Già nel primo anno di funzionamento del campo, il 1941/42, la “questione degli ebrei” è stata di fatto “risolta”, con l’eliminazione della comunità ebraica. Il ponte è stato poi eretto nel 1942. Oggi, per le necessità dello smantellamento in corso del ponte vecchio e la futura costruzione del nuovo ponte, tutta l’area limitrofa tra lo Stari Savski Most e il ponte Brankov [sulla riva di Sajmiste] è stata completamente devastata: anche il parco della Memoria, dove si trovano delle fosse comuni. Dagli archivi, è noto, che qui erano sepolti rom, uccisi e subito inumati nelle fosse comuni al canto al fiume, esattamente nella zona dove adesso si sta pianificando la costruzione di nuovi edifici… e dove tutto il terreno, comprese le fosse, è stato già rimosso. È un crimine contro la memoria, contro la Storia, contro l’identità.
Lo Stari Savski Most è collegato anche ad un episodio eroico della liberazione di Belgrado [1945] col gesto individuale di un insegnante belgradese che, nel momento in cui i tedeschi, ritirandosi, hanno minato il ponte, ha reciso le micce che collegavano la dinamite e ha salvato il ponte dalla distruzione – uno dei pochissimi ponti sul territorio europeo che sono stati salvati durante il ritiro delle truppe tedesche…
Come il Ponte Vecchio a Firenze, no?
Vero! Lì il ponte e stato salvato dalla volontà di un tedesco. Qui, è stato un insegnante, credo di geografia e storia, di nome Miladin Zarić. Vorremmo dare il suo nome al ponte, una volta che, speriamo, saremo riusciti a salvarlo: per salvare un ulteriore elemento storico molto importante, legato alla lotta antifascista.
Quindi i partigiani hanno attraversato il ponte durante la liberazione?
L‘atto eroico di Miladin Zarić ha accelerato la liberazione di Belgrado. Questi momenti di storia eroica ed antifascista ci collegano senza dubbio col resto d’Europa. Ma c’è un’altra cosa veramente importante: noi siamo cresciuti con il ponte, parte integrante del panorama di Belgrado per molte generazioni. Il ponte appare nelle canzoni, nei film, nelle serie televisive più leggendarie.
Oltre al ponte c’è anche l’Hotel Jugoslavija, il cui smantellamento è già in stato avanzato, con le stesse dichiarate intenzioni riguardo al Generalštab [bombardato nel 1999 e dove, si dice, potrebbe sorgere una torre o un hotel legati agli interessi del presidente USA Donald Trump]. Questa trasformazione radicale nel paesaggio belgradese, oltre ad interessi economici opachi, serve anche a trasformare il paesaggio interiore degli abitanti della città?
Possiamo chiederci perché siamo testimoni di una tale cancellazione permanente della storia. Le risposte possono essere varie. Una è che siamo davanti a una forma di potere sopravvissuta agli anni ‘90. Stiamo parlando degli stessi protagonisti della politica al tempo della guerra di Milošević, allora giovani affamati di potere e sangue, oggi al potere. Oggi ripulendosi, facendo finta di diventare europeisti convinti, hanno avuto la possibilità di vendicarsi. Di vendicarsi di quella Belgrado che non hanno mai voluto, che non hanno mai capito, quella Belgrado davanti alla quale non potranno mai nascondere la loro mediocrità. E la propria banalità.
I mediocri si vendicano della propria mediocrità. Quando qualcuno si rende conto che non riesce a nascondere la propria mediocrità, diventa una bestia. E noi stiamo parlando di bestie. Effettivamente, si può parlare di una situazione patologica, dove un potere criminale sta devastando la città, sia per convogliare soldi pubblici nelle tasche di privati, cioè loro stessi, sia per vendicarsi di una città che non li vuole e non li ha mai voluti.
Avete iniziato la vostra lotta sul ponte più di un anno fa e la blokada il 31 ottobre, un giorno prima del crollo alla stazione di Novi Sad. Col movimento studentesco nato a metà novembre, sta succedendo qualcosa di nuovo in Serbia?
Sta succedendo qualcosa di nuovo, di molto potente, di molto importante, quasi utopico. Io godo di quanto sta accadendo, anche perché sono un grande ammiratore delle utopie. Credo però che non sia soltanto utopia: un’idea dello “stato degli studenti”, di cui ho scritto a fine gennaio , nel momento in cui non esiste una forza politica che possiamo considerare più credibile [degli stessi studenti]. La nostra società ha molto sofferto per indecisione, per la mancata collaborazione e per le divisioni interne dell’opposizione politica. Quando si parla di opposizione si parla di una permanente divisione, di una permanente disillusione. Grazie agli studenti esiste non solo la possibilità di dettare una nuova agenda ai membri del potere politico, ma anche all’opposizione. Credo che oggi esista un consenso: gli studenti e la comunità accademica hanno una sorta di mandato da parte dei cittadini per porre le basi di un progetto politico ampio. Io non lo vedo ancora, questo progetto. Spero di intravederlo. Ho la speranza che si stia materializzando, proprio in questo momento...