
Presidio in favore degli accusati per Gezi Park - F.Brusa/OBCT
A più di dieci anni di distanza, le proteste di Gezi Park a Istanbul continuano ad aleggiare sulla Turchia. Alcune nuove assoluzioni ai manifestanti di allora fanno sperare in una magistratura non ancora del tutto prona ai voleri del regime politico di Recep Tayyip Erdoğan
A distanza di oltre un decennio, lo “spirito di Gezi Park” sembra ancora aleggiare nella vita politica della Turchia, ma in due sensi contrapposti.
La maggioranza delle persone che hanno partecipato alle proteste del 2013 – nate come un piccolo presidio per la salvaguardia di un’area verde in Piazza Taksim a Istanbul e poi sfociate in una duratura e oceanica “battaglia per la democrazia” che si è estesa a tante altre città – ricordano quell’evento in un misto di commozione e orgoglio.
Si ha invece l’impressione che per Recep Tayyip Erdoğan questo rappresenti un vero e proprio “spettro”, che turba il controllo pervasivo che il leader dell’AKP esercita sul paese.
“È stata la contestazione di massa più grande della Turchia moderna”, dice Zeynep Karamanlı, membro della Camera degli Architetti e Ingegneri Ambientali (TMMOB). “Non mi stupisce che il governo continui a reprimere chi era coinvolto in quell’evento: è un modo per scongiurare la possibilità che qualcosa del genere si ripeta”.
Situata nella zona di Karaköy, “striscia di costa” a ridosso del ponte di Galata che funge d’accesso alle aree più turistiche, la sede della Camera (una delle sue diverse diramazioni) è un vasto edificio che apre una via piena di locali e hotel. Mentre Karamanlı parla, altri suoi colleghi si trovano all’esterno, con cartelli e pettorina a mostrarsi alla folla.
Condanne e assoluzioni
Nelle ultime settimane ci sono stati alcuni segnali di speranza. A febbraio, la 13esima Corte Penale di Istanbul ha infatti assolto per mancanza di prove Mücella Yapıcı, Ali Hakan Altınay, e Yiğit Ali Ekmekçi, che erano stati in precedenza condannati a 18 anni di carcere per via della loro partecipazione alle proteste di Gezi.
Più precisamente, assieme ad altri quattro attivisti, erano stati detenuti a novembre del 2018 e accusati assieme al celebre imprenditore e filantropo Osman Kavala di “aver tentato di rovesciare il governo”, finanziando, sostenendo o semplicemente assumendo un ruolo nelle manifestazioni.
Ma, appunto, si tratta di un teorema talmente ampio che gli stessi tribunali trovano a volte difficile da accettare. “Sono processi in tutto e per tutto politici, non hanno nulla a che fare con la legalità”, afferma Karamanlı. “Insisto, l’intenzione del governo è quella di demonizzare l’esperienza di Gezi e, anche se qualcuno ogni tanto riesce a uscire di prigione, ci sono ancora troppi nostri amici e colleghi dietro le sbarre per motivazioni assurde”.
Le Camere, che sono un’istituzione di controllo dell’utilità pubblica delle decisioni adottate in materia architettonica e ambientale, si sono opposte fin da subito ai progetti di sostituzione del parco di piazza Taksim con un centro commerciale e hanno appoggiato convintamente le proteste.
Non è un caso, dunque, che diversi degli accusati siano membri o persone a loro vicine – come Mücella Yapıcı, appena tornata libera, o Tayfun Kahraman, che aveva fatto da mediatore fra la piazza e il governo e si trova ancora in carcere.
È per questo che, prima quotidianamente e poi a cadenza settimanale, si svolgono presidi fuori dalle diverse sedi delle Camere in svariate città. “1020”, “1021”, “1022”… su una lavagna vengono aggiornati i giorni di prigionia dei colleghi. “Ci saremo finché non finirà questa ingiustizia”, conferma Karamanlı.
Nuove accuse
Anche perché, se qualcuno riesce a vedere annullata la propria condanna, ad altri capita di finire nel mirino. È il caso, per esempio, della produttrice cinematografica Ayşe Barım, arrestata lo scorso gennaio sempre con l’accusa di aver complottato per rovesciare il governo, o comunque di averne ostacolato l’operato, durante le proteste di Gezi Park.
Un episodio che si tinge di grottesco, dal momento che fra le altre cose le viene contestato di aver incoraggiato numerosi suoi attori a scendere in piazza (e gli attori sono stati chiamati a testimoniare, confermando chiaramente di aver partecipato alle manifestazioni di loro spontanea volontà).
Secondo la commentatrice e analista Ezgi Başaran, in questa occasione - in realtà - la questione di Gezi Park sarebbe utilizzata come un pretesto da parte del governo per costruire una propria egemonia anche nell’industria culturale e dell’intrattenimento e indebolire così soggetti che al momento vi hanno un certo peso.
A ogni modo, si tratta di un ulteriore processo che mette in luce il carattere spesso vago o azzardato dei teoremi giudiziari impiegati.
Nel suo pronunciamento sul caso di Osman Kavala, la Corte Europea dei diritti dell’uomo già faceva notare che la requisitoria nei confronti del filantropo turco era “una collazione di evidenze [… ], alcune delle quali con rilevanza limitata rispetto all’accusa” e che non c’era nulla che “indicasse che le autorità giudiziarie avessero in proprio possesso informazioni per accusare, in buona fede, [il soggetto in questione]”.
Segnali ambigui
Il fatto che si siano verificate delle assoluzioni potrebbe indicare che all’interno del sistema giudiziario esistono ancora dei margini di indipendenza dal potere politico. Tuttavia, annota Karamanlı, il semplice avvio dei processi costituisce di per sé un deterrente, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni.
“Chi arriva alla maggiore età in questi anni sarà spinto a pensare a Gezi come a una protesta illegittima”, sostiene il membro delle Camere mentre poco più in là si svolge il presidio a sostengo dei colleghi incarcerati. “Continuare a mostrare pubblicamente la nostra solidarietà è, d’altronde, anche un modo per preservare la memoria di quegli eventi. Non è raro che qualcuno si fermi per condividere la sua esperienza a Gezi o, più raramente, anche per esprimere il proprio disaccordo”.
Soprattutto dopo il tentativo di golpe del 2016, il percorso della Turchia sembra andare in una direzione piuttosto chiara: autoritarismo, repressione, abuso delle cause legali per fini strumentali – come ricorda anche l’ultimo report del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Negli ultimi mesi arresti, cause e detenzioni si sono abbattuti con rinnovata intensità su numerosi e variegati soggetti che costituiscono l’opposizione a Erdoğan, dal sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu (raggiunto da nuove accuse) alla piattaforma delle forze di sinistra Halkların Demokratik Kongresi (che hanno visto oltre 50 dei loro membri messi in carcere).
Eppure, sembra suggerire la liberazione dei “tre di Gezi” (Yapıcı, Altınay, Ekmekçi), sia nelle aule di tribunale che negli sviluppi delle vicende politiche, non sempre in Turchia le sentenze sono definitive.