
Abdullah Öcalan a İmralı - foto DEM
Con un appello dal carcere di İmralı, Abdullah Öcalan, il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), ha invitato il movimento della lotta armata curda a sciogliersi e a deporre le armi. Una mossa che potrebbe portare all'inizio di una nuova fase storica per la Turchia
"Tutti i gruppi devono abbandonare le armi, il Pkk deve sciogliersi. Mi assumo la responsabilità storica di questo appello". Le voci si rincorrevano da giorni e finalmente giovedì 27 febbraio è arrivato l'atteso annuncio da parte di Abdullah Öcalan, il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), rinchiuso dal 1999 in regime d'isolamento sull'isola di İmralı nel Mar di Marmara.
Il contenuto della lettera redatta da Öcalan è stato letto in 4 lingue (curdo, turco, inglese, arabo) da una delegazione del Partito dell'Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), di fronte a una platea di circa 300 giornalisti, nella sala conferenze di un hotel nei pressi di piazza Taksim a Istanbul.
Il PKK fu fondato il 27 novembre 1978 nel villaggio di Fis in provincia di Diyarbakır, nel sud-est del paese a maggioranza curda, ed è considerato un'organizzazione terroristica da parte di Turchia, Unione Europea e Stati Uniti.
Secondo le stime ufficiali la guerra asimmetrica tra lo stato turco e il PKK ha causato più di 40mila morti.
Lo scioglimento definitivo del PKK necessita dell'approvazione formale dell'Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), l'organizzazione che raccoglie tutti i partiti curdi attivi nei paesi della regione: Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Secondo le ultime indiscrezioni il congresso straordinario potrebbe tenersi nel mese di aprile sulle montagne del Qandil, nel Kurdistan iracheno, la storica roccaforte della guerriglia curda.
Erdoğan e Bahçeli
"Da ieri si è aperta una nuova fase negli sforzi per una Turchia libera dal terrorismo. Abbiamo l'opportunità di compiere un passo storico verso l'obiettivo di abbattere il muro di terrore che è stato eretto tra la nostra fratellanza millenaria".
La prima valutazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è arrivata il giorno successivo dal Centro Congressi Haliç, a nord del Corno d'Oro, dove si trovava in occasione dell'anniversario del cosiddetto "golpe post-moderno", avvenuto nel 1997.
L'alleato di governo Devlet Bahçeli, segretario del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), non ha potuto commentare dal vivo l'annuncio di Abdullah Öcalan. Il leader dei Lupi Grigi è infatti in fase di riabilitazione dopo aver subito un intervento al cuore nelle scorse settimane, per questo motivo si è congratulato al telefono con Tuncer Bakırhan, co-presidente del DEM.
"State tranquilli, insieme renderemo democratico questo paese. Sono pronto a fare tutto ciò che è necessario per la democrazia". Queste le parole di Bahçeli che Bakırhan ha poi riportato in diretta sul canale Medya Haber.
L’insospettabile architetto di questa ennesima "apertura curda" è stato proprio Bahçeli, il leader nazionalista che a inizio del mese di ottobre aveva a sorpresa stretto la mano di più parlamentari del DEM, dopo anni di feroce opposizione.
Un gesto insolito a cui era seguito un discorso dirompente pronunciato il 22 ottobre, nel quale aveva invitato Öcalan a dichiarare la fine della lotta armata dal podio del parlamento.
Un processo di pace che da allora è continuato in maniera spedita, non scalfito neppure dall'attentato terroristico del 23 ottobre alla sede dell'Industria Aerospaziale Turca (Tusaş) nelle vicinanze della capitale Ankara, e rivendicato da un gruppo armato (Battaglione degli Immortali) legato al PKK.
Selo
Selahattin Demirtaş, copresidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP), arrestato nel novembre 2016 nell'ambito delle purghe portate avanti dal presidente Recep Tayyip Erdoğan contro l'opposizione ed attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza di Edirne, ha reagito all'appello di Öcalan per mezzo di un articolo pubblicato il 1 marzo dal quotidiano Gazete Duvar.
Demirtaş ha esordito ringraziando Bahçeli, Erdoğan e Öcalan per gli sforzi compiuti, che hanno dato i primi frutti proprio in concomitanza con l'inizio del mese sacro del Ramadan.
Il leader curdo si è detto consapevole della difficoltà di raggiungere la pace, ha tuttavia invitato turchi e curdi a mettere da parte diffidenze e rancori, a non temere una riconciliazione, grazie alla quale i due popoli potranno finalmente unirsi per risolvere i problemi economici e sociali che attanagliano il paese. "Sarò per sempre al fianco della pace, fino a quando non verrà raggiunta" ha infine concluso Demirtaş.
Il 3 marzo in un'intervista televisiva il deputato del partito DEM e vice-presidente del parlamento Sırrı Süreyya Önder ha mostrato una fotografia che ritraeva sé stesso in compagnia di Demirtaş e della moglie Başak.
Önder ha spiegato che Erdoğan ha concesso in via eccezionale a Demirtaş di rimanere accanto alla moglie, reduce da una delicata operazione chirurgica in un ospedale di Istanbul.
Un gesto all'apparenza magnanimo quello del presidente turco, che trae in realtà origine da questioni di sicurezza interna e di sopravvivenza politica. L'attuale establishment turco ha bisogno del sostegno curdo per procedere a una modifica costituzionale, grazie alla quale Erdoğan potrebbe garantirsi la possibilità di una nuova candidatura presidenziale, al momento preclusa.
La Turchia vuole inoltre accelerare il processo di riconciliazione dei curdi siriani con le autorità centrali, in modo da non avere un’entità statale ostile ai propri confini.
Non è ancora chiaro che cosa possa offrire Ankara ai curdi in cambio di un loro sostegno, visto che concessioni in materia di autonomia regionale, linguistica o culturale sono altamente impopolari nel paese.
L'appello di Apo, lo "zio", storico nome di battaglia di Öcalan, dà perlomeno una possibilità alla pace, nei prossimi mesi a parlare saranno i politici e non le armi.
Rojava (Siria), Bashur (Iraq), Rojhilat (Iran)
Gli occhi della comunità internazionale sono tutti puntati sul Rojava, il progetto politico dei curdi siriani, sempre più fragile dopo la caduta del regime baathista e la minaccia del possibile disimpegno americano.
Il segretario del Partito dell'Unione Democratica (PYD) Salih Muslim ha fatto notare che c'è un’ulteriore complicazione per i curdi siriani, ovvero la riuscita delle trattative con il governo transitorio. Il PYD pretende da Damasco garanzie sul livello d'autonomia, oltre all’integrazione dell'ala militare all’interno dell’esercito nazionale.
"Quanto detto da Öcalan non ci riguarda necessariamente". Più evasiva la posizione di Mazloum Abdi, comandante delle Forze Democratiche Siriane (SDF), ovvero l’alleanza di milizie a guida curda che opera nel nord-est della Siria.
Secondo Abdi un'eventuale pace tra turchi e curdi in Turchia avrà sì conseguenze positive per la regione, ma non è abbastanza per convincere i curdi siriani ad abbandonare le armi.
Del resto i recenti massacri di civili appartenenti alla comunità alawita, perpetrati da membri delle forze di sicurezza sotto la responsabilità del governo transitorio siriano, hanno dimostrato ancora una volta lo stato di parziale anarchia in cui versa il paese.
Da Erbil arrivano parole di speranza. "Consideriamo la pace l'unico modo per risolvere i problemi", ha dichiarato il presidente Masoud Barzani. Gli ha fatto eco il primo ministro Nechirvan Barzani, che ha ringraziato Erdoğan e l'amministrazione turca, con la quale i rapporti sono da sempre cortesi.
Nella settimana antecedente all'appello di Öcalan una delegazione del DEM si era recata proprio nel Kurdistan iracheno per confrontarsi con le due famiglie che detengono il potere nella regione autonoma, ovvero i Barzani e i Talabani.
In Iran, dove la questione curda è meno pressante rispetto ai paesi limitrofi, le reazioni sulla stampa nazionale sono state tutto sommato positive, sia tra i media riformisti che conservatori.
Tuttavia l'eventuale dissoluzione del PKK e dei gruppi a esso legati libererebbe la Turchia di un grosso impegno economico e militare, permettendo ad Ankara di espandere ulteriormente la sua influenza nella regione, uno scenario non particolarmente gradito alle autorità della Repubblica Islamica.