Nel settembre del 1991 si tiene la "Carovana per la Pace - da Trieste a Sarajevo e da Skopje a Sarajevo". I materiali presentati sono stati raccolti nel corso della ricerca “Cercavamo la Pace”. Foto di Luigi Lusenti, testi di Nicole Corritore
Dal 25 al 29 settembre del 1991, la Carovana della Pace porta centinaia di pacifisti a Sarajevo. Il 25 settembre il gruppo più numeroso parte da Trieste, mentre un altro gruppo di pacifisti di territori della ex-Jugoslavia e di paesi limitrofi, partono da Skopje per riunirsi a Sarajevo cinque giorni dopo. Obiettivo: portare solidarietà alle popolazioni e a chi si oppone alla guerra, sostenere il dialogo, invitare le forze politiche a cercare soluzioni nonviolente al conflitto.Le foto, scattate a Sarajevo durante l'evento finale, sono gentilmente concesse da Luigi Lusenti, tratte dal sito dell'Associazione CulturalboxCitazioni tratte da "Caravan per la Pace - da Trieste a Sarajevo e da Skopje a Sarajevo" (a cura di Miani, Formigoni, Lusenti, 1992 - Ed. ARCI).La Carovana è costituita da 400 persone, cittadini e cittadine, pacifisti aderenti ad associazioni europee e nordamericane. Racconta uno dei partecipanti, Tom Benetollo: "Sono 180 italiani, 60 tedeschi, 50 francesi, 9 corsi, 15 olandesi e altrettanti spagnoli, una decina di scandinavi, qualche decina dall'Est europa (ungheresi, cecoslovacchi, ed altri) più un gruppo di jugoslavi". Attraversano diverse città del territorio della ex-Jugoslavia: Ljubljana, Rijeka, Zagabria, Subotica, Novi Sad, Belgrado, Titovo Užice (dal 1992 rinominata solo Užice). La tappa finale avviene nelle strade di Sarajevo il 29 settembre.Tra i partecipanti alla Carovana i gruppi "Helsinki" di Olanda, Francia, Svizzera, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Canada, Stati Uniti, Belgio, Svezia, Danimarca e Gran Bretagna; i Verdi di vari paesi (Italia, Germania, Olanda e Francia); le Acli, la Sinistra Giovanile Italiana, le donne per la pace tedesche e italiane, Pax Christi (Italia, Germania e Olanda), il Movimento Democracia, Paz e Libertad (Spagna); numerosi comitati per la pace e gruppi non-violenti.Promossa da HCA – Helsinki Citizens' Assembly, organizzazione di cittadini in difesa della pace, della democrazia e dei diritti umani in Europa, e organizzata dall'Associazione per la pace dell'Arci. Vi partecipano anche parlamentari europei, di cui una dozzina italiani - oltre a olandesi, tedeschi e spagnoli - tra i quali: Alexander Langer, Luciana Castellina, Cesare De Piccoli, Eugenio Melandri, Giorgio Rossetti e il vicepresidente del Parlamento europeo Roberto Formigoni.Un ruolo decisivo nella realizzazione dell'iniziativa viene svolto da Sonja Licht, jugoslava, allora co-presidente europea della "Helsinki Citizens' Assembly". Sociologa di fama internazionale, attivista politica e militante per i diritti umani, impegnata nei movimenti dissidenti jugoslavi a partire dagli anni '60. E' stata insignita di diversi premi internazionali e oggi è presidente del Belgrade Fund for Political Excellence (Beogradski Fond za političku izuzetnost).La preparazione della Carovana era stata lunga e aveva coinvolto molte realtà della società civile e diversi rappresentanti politici europei. Questi ultimi riuscirono ad ottenere anche il sostegno del Parlamento europeo, come racconta l'eurodeputato bolzanino Alexander Langer nel suo rapporto presentato al Parlamento Ue il 1° ottobre 1991: "Il Parlamento europeo aveva esplicitamente sostenuto tale "carovana europea di pace" al punto 18 della sua Risoluzione sulla situazione in Jugoslavia votata l'11 settembre 1991 (si veda G.U. 91/C 240/04)".Durante il meeting di Belgrado si costituisce un gruppo di lavoro con tre terminali: Sonja Licht a Belgrado, il Segretario dell'HCA a Praga, l'Arci a Roma. Mentre tra luglio e agosto la guerra si estende, il lavoro organizzativo prosegue. Racconta Tom Benetollo, allora membro della segreteria delle convenzioni END (European nuclear disarmament) e componente della segreteria dell'HCA: "Il 'quartier generale' pacifista è all'Arci – un povero ufficio in cui si accalca di tutto, come al solito senza soldi. Il lavoro procede con il gigantesco volontariato degli obiettori di coscienza".L'iniziativa viene lanciata a Belgrado, il 7 luglio di quell'anno: "Una delegazione italiana (Arci, Acli, Associazione per la pace, Cgil, Sinistra giovanile e Verdi) partecipa ad un importante meeting internazionale. Duecento rappresentanti provenienti da tutte le repubbliche di un paese di cui non si sa più davvero neanche il nome e da diverse parti d'Europa, si incontrano". Tra i partecipanti al meeting spiccano nomi come Adam Michnik, Milovan Gilas, coloro che assieme a Havel fondarono l'Helsinki Citizens' Assembly - HCA (Mient Jan Fabr, Mary Caldor, Juliana Matrai).Una giornata di sole e una manifestazione degli studenti triestini salutano la Carovana della pace i cui partecipanti si sono dati appuntamento il 25 settembre davanti alla cattedrale di San Giusto per la partenza. Racconta Luigi Lusenti, presidente ARCI Milano: "...abbiamo viaggiato per sei giorni, italiani, francesi, tedeschi e spagnoli, americani e canadesi, quasi in religioso silenzio. Chi era andato per spiegare facili verità cercava ora solo di capire drammi e tragedie, sentendo inadeguata se non addirittura assurda la propria presenza".Nella capitale della neonata Repubblica di Slovenia - dichiaratasi indipendente il 25 giugno - la Carovana incontra tra gli altri Ciril Zlobec, membro della Presidenza della Repubblica oltre che stimato intellettuale. Scrive l'europdeputata Luciana Castellina: "Autorità e popolazione ci sono apparsi poco interessati non solo all'avvenire della Jugoslavia, ma persino alle vicende di una guerra che ormai infuria lontano dai confini della repubblica: si sentono – in qualche modo – già "fuori", anche perché conflitti interetnici qui non ci sono. La Carovana viene perciò accolta con cortesia ma senza calore né ostilità".Chiara Ingrao, attivista pacifista, nel 1992 eletta parlamentare, scrive sul primo incontro di Zagabria: "Il sindaco è ascoltato in religioso silenzio, anche quando dice parole pesanti come macigni, parla di genocidio e ripete ossessivamente la parola 'nemico'. (...). In una città ancora scossa dal trauma delle bombe, dell'aggressione (...) non ha senso dare lezioni di nonviolenza, imporre una nostra lettura delle cose. Cerco a fatica le parole. Il senso di una responsabilità dell'Europa che ci ha portato fin qui. Il nostro essere 'cittadini' e la distinzione, per noi fondamentale, fra i nostri movimenti nella società civile e chi ha il potere".A Zagabria c'è molta tensione. "Sembra prepararsi a un assedio, con mucchi di sabbia agli incroci e agli ingressi dei palazzi, (...) mentre la gente cammina tranquillamente per le strade, almeno apparentemente affacendate nelle consuete attività quotidiane". Racconta infine Chiara Ingrao: Lasciando Zagabria (...) non ci esporremo al rischio dei cecchini, delle bombe impreviste. Non siamo turisti della guerra, ma testimoni di pace. Proprio per questo possiamo, forse, aiutare quelli e quelle che riescono ad averne voglia, ad aggirare il muro delle linee telefoniche tagliate e del territorio dell'anima spaccato in due per cercare insieme, dall'interno di questi popoli assurdamente in guerra, la via di ri-conoscersi a vicenda".L'eurodeputata Luciana Castellina ricorda: "Diversissima l'atmosfera a Subotica, dove giungiamo dopo 13 ore di pullman per via del lungo giro attraverso l'Ungheria cui siamo costretti. La strada diretta Zagabria-Belgrado è infatti, nonostante il cessate i fuoco, troppo pericolosa". Nella città della Vojvodina, regione autonoma della Serbia, convivono numerose nazionalità con forte presenza di ungheresi. Il primo incontro è con i portavoce di sedici categorie sindacali. Roberto Giudici scrive: "Insistono nel dire che la situazione creatasi in Jugoslavia non è da addebitare alla gente ma ai politici, e che è stata soprattutto la propaganda politica ad innestare il sentimento dell'odio...del nazionalismo".A Novi Sad, capitale della Vojvodina, la Carovana viene accolta calorosamente. Una delegazione viene anche invitata a parlare 'alla Finestra', come racconta Alberto Salvato: "Consisteva in un telegiornale alternativo, ogni sera alle 19.30 (ndr: realizzzato da giornalisti locali indipendenti) senza telecamere e senza stazioni radio. (...) Usavano la finestra della loro sede, nella zona pedonale vicino alla cattedrale cattolica, per leggere il notiziario". Aggiunge la giornalista Luciana Castellina: "Controinforomazione: mai funzione è apparsa più decisiva, giacché ogni notizia è manipolata, anzi stravolta, o dal governo croato o da quello serbo".La carovana arriva a Belgrado la sera del 27 settembre. La attende un centinaio di pacifisti locali, alla sede del centro giovanile. Paolo Vittone, allora responsabile dell'ufficio internazionale CISL, ricorda: "Abbiamo urlato insieme 'Mir da, Rat ne' (pace sì, guerra no). Un gruppo di donne serbe si era nel frattempo distribuito su due ali, formando un corridoio fino all'ingresso dell'edificio (...). Mi sono infilato nel corridoio umano guardando i volti che mi circondavano: ci applaudivano, una donna piangeva, un'altra accarezzava un ragazzo che camminava di fronte a me. Ero sorpreso. Eravamo nella capitale serba, nel cuore del potere dell'esercito, nel luogo in cui mi aspettavo che manifestare il proprio pacifismo fosse pressoché impossibile".A Belgrado la Carovana è accolta con fiori e lacrime di riconoscenza. Scrive la giornalista Luciana Castellina: "E quando il vicesindaco, uomo di Milosevic, cerca di parlare per dare il benvenuto, i serbi presenti lo fischiano tanto sonoramente da costringerlo ad andarsene. E poi ci sono i disertori, o meglio gli obiettori. Solo a Belgrado sarebbero almeno mille e non tutti si nascondono". Si tiene poi una conferenza, nella sede del 'Centro di azione contro la guerra' in cui vengono toccati molti temi, dal ruolo dei media nel preparare il clima di guerra alla difficile transizione dal partito unico al multipartitismo. Segue un concerto per la pace tenuto da diversi gruppi rock.Il 29 settembre la Carovana raggiunge la tappa finale, Sarajevo. Scrive Alexander Langer: "Al termine di una grande assemblea in piazza, con discorsi e canti in molte lingue, una lunga catena umana 'mano nella mano' ha collegato la cattedrale cattolica a quella ortodossa alla moschea e alla sinagoga". Quella sera Langer, assieme ad altri membri della Carovana, parte in aereo per Skopje in Macedonia, paese dove solo 20 giorni si era tenuto il referendum sull'indipendenza e il 96% della popolazione aveva votato a favore. Qui avviene l'incontro con il presidente macedone, Kiro Gligorov, diversi rappresentanti delle autorità e pacifisti locali.Sempre Alexander Langer, nel suo rapporto presso il Parlamento europeo, scrive: "Scopo principale della carovana era appoggiare tutti i movimenti e gli sforzi di pace in Jugoslavia (...) sostenendo la necessità di fermare subito la guerra, cercare una soluzione negoziata del conflitto, sottolineare il valore della democrazia come presupposto essenziale per trovare soluzioni adeguate, rispettare i diritti dei popoli e delle persone, in particolare delle minoranze, testimoniare e sollecitare il coinvolgimento delle istituzioni e dei cittadini europei nella composizione pacifica dei conflitti".A Sarajevo dopo un'assemblea si sfila per strade con i cittadini. Ricorda Tom Benettolo: "Canti, Suoni di pace, voglia di fraternità. Poi l'incontro con il presidente Alija Zetbegović. Infine il concerto con i Nomadi, i Liftiba, il trio Liguori. Il clima della giornata è così bello che sembra impossibile che questo sia un paese in guerra. Qui vivono croati, serbi, musulmani. Vivono in concordia, in questa Bosnia Erzegovina considerata come una Svizzera balcanica. La città è bellissima e ci accoglie con grande simpatia. Se la guerra arriva fin qui, non potrà che assumere le dimensioni di un vero e proprio bagno di sangue".Il 29 settembre la Carovana si imbarca sul traghetto a Dubrovnik, città che dal 6 dicembre verrà bombardata dalle truppe della JNA (Esercito popolare jugoslavo). Alexander Langer, nel rapporto presentato il 1° ottobre all'Assemblea europea, si fa portavoce delle richieste raccolte durante l'iniziativa: "Unanime la richiesta di un definitivo cessate il fuoco, di smilitarizzazione del conflitto, di ritorno dell'armata federale nelle caserme e di disarmo delle diverse milizie, e di un contributo europeo alla soluzione del conflitto. Forte, a questo proposito, la sollecitazione perchè l'Europa intervenga anche sul sistema dell'informazione, sostenga il dialogo inter-comunitario, sia presente con iniziative anche civili".