La seconda puntata del nostro viaggio alla scoperta della capitale della Moldavia. Tra nuovi simboli e complessi residenziali, Chișinău si sta rimodellando su nuove stratificazioni sociali
Alcune persone si accalcano all'uscita di una grossa clinica odontoiatrica statale, ma per molte di loro l'intervento cui erano sottoposte non è ancora finito. Blackout. Niente più elettricità in tutto l'edificio, occorre ritornare domani sperando che il circuito riprenda a funzionare. A pochi passi dal Bulevard Ştefan cel Mare, la principale via che taglia “a metà” la capitale moldava, è in corso un rinnovamento del manto stradale che sta creando problemi.
“È il terzo giorno che la corrente salta senza preavviso a causa dei lavori in corso” ci dice uno dei medici della clinica. “Il fatto è che non è dato sapere la durata dei blackout. L'assistenza invia dei controlli ma non riescono a far sapere nulla con certezza: ieri la corrente non è tornata per tutto il pomeriggio e ho dovuto mandare via i clienti”. Qualche metro più in là, nella Piaţa Naţiunile Unite che fa da snodo fra il centro cittadino di Chișinău e il quartiere periferico “Botanica” (e dove sorge, fra l'altro, l' Hotel Naţional), un clamore di clacson accompagna uno dei frequenti ingorghi del traffico.
Viabilità, Lenin e il MacDonald
Trolleybus, minibus affollati, taxi e automobili private sono i protagonisti di una situazione della viabilità certamente critica: basti pensare che dal 2004 a oggi il numero di automobili registrate nella repubblica est-europea è praticamente raddoppiato e, seppur in maniera meno eclatante, è cresciuto anche il numero dei mezzi su strada di differente tipologia. Allo stesso tempo, la progettazione di un nuovo piano di sviluppo urbano che permetta di alleggerire il traffico nelle principali vie del centro è in cantiere da anni senza che si siano raggiunti ancora risultati significativi.
L'ampia area che va da Piaţa Naţiunile Unite a Piaţa Cantemir - circoscritta dalle altre due grandi arterie Strada Ismail e Calea Moşilor – assume allora i tratti caotici e concitati di una “metropoli nella metropoli”, dove si concentrano buona parte delle attività economiche della capitale così come i simboli che le rappresentano. Per quanto banale e ormai sdoganata da tempo, infatti, è difficile non notare la progressiva “occidentalizzazione” della capitale moldava, anche durante una passeggiata superficiale. Il “classico” logo del McDonald si affaccia su Piaţa Marii Adunări Naţionale, sede del palazzo del governo, mentre miriadi di insegne sgargianti si rincorrono per le strade del centro, spesso accompagnate da ritmi e musiche d'oltreoceano. Quasi a sancire queste inedite “alleanze visive”, poi, si è verificata il 2 maggio (il Giorno della Vittoria) di quest'anno una parata di mezzi militari della NATO, pur fra le proteste di parte della popolazione.
È una “colonizzazione” del vecchio immaginario sovietico rapida e pervasiva (in larga misura spontanea, certo) tanto più che scorre parallela a una rimozione dello stesso. Proprio a qualche metro dal logo del McDonald sorgeva il complesso monumentale dedicato a Lenin, tolto e ricollocato all'interno dell'area fieristico-commerciale del Moldexpo assieme alle statue di Marx e Gorkij.
Ora, dalla parte opposta della catena di fast-food americano troneggia invece la raffigurazione scultorea del condottiero Ştefan cel Mare (che dà appunto nome al Bulevard), figura attorno a cui si è cercato di costruire l'identità moldava post-indipendenza. Qui, nella maggior parte dei casi, si svolge la vita pubblica del paese. Qui campeggia qualche tenda rimasta dall'ondata di manifestazioni che ha attraversato Chişinau dall'autunno scorso mentre un diverso ma non meno imponente affluire di persone si dirige verso la Catedrala Mitropolitană in occasione delle celebrazioni religiose. E qui, proprio in questi giorni – a quasi un anno dalle ultime elezioni cittadine – si protesta ancora davanti alla sede comunale.
Il 28 giugno scorso, infatti, Dorin Chirtoacă è stato eletto per il suo terzo mandato, preannunciando una serie di cambiamenti del quadro istituzionale che dovrebbero accentrare molti più poteri nella carica del sindaco e sollevando dunque le critiche dell'opposizione. Oltre a questo, parte del malcontento “passa” anche attraverso il dissesto delle strade: il blackout della clinica odontoiatrica è uno degli episodi che si accompagna a una generale lentezza dei lavori, che pare non essere dovuta a semplice cattiva gestione o semplice carenza di mezzi. Stando ad alcune indagini , infatti, la ditta che si occupa del rifacimento delle carreggiate sarebbe indirettamente legata proprio al primo cittadino nonché ad altri deputati del parlamento moldavo, i quali starebbero dunque beneficiando in segreto degli appalti concessi, a prescindere dalla qualità dei lavori eseguiti.
Le nuove recinzioni
Eppure, la situazione delle strade non è uguale in tutte le zone della città e, paradossalmente, più ci si allontana dal centro più questa tende a migliorare. Anzi, è forse fuori dall'agglomerato urbano (a 2 km circa dalla zona periferica di Buiucani) che si trovano vie e selciati fra i più tenuti e curati di Chișinău: ai lati della strada statale che porta verso il lago Ghidighici sorge il complesso residenziale Reinassance city, l'esempio probabilmente più compiuto di gated community in Moldavia.
Un alto muro di cinta avvolge questo piccolo “villaggio” di indistinte villette a schiera, costruite con uno stile che rimanda alle abitazioni tipiche dell'Austria. Intorno, una distesa di terra brulla – che poco o nulla ha di idilliaco - stride invece con i tetti aguzzi che spuntano dalla recinzione. Isolata, volutamente kitsch e visivamente distaccata dal paesaggio circostante, Reinassance City rappresenta una delle possibili linee di sviluppo future della capitale moldava.
Generalmente nascosta fra i vecchi palazzoni sovietici, c'è infatti una Chișinău che si sta rimodellando sulla base delle nuove stratificazioni sociali. L'occidentalizzazione – non più simbolica e deliberatamente programmata come quella del centro, ma semplicemente estetica e frutto di scelte individuali – passa anche dalle nuove (spesso lussuose) residenze adagiate sulla collina di Telecentru, o si abbarbica nelle protette “torri” abitative che si sono diffuse con il boom del settore immobiliare degli anni 2000 tra Malina Mare e Rişcani.
Meno singolari e appartate di Reinassance City, queste soluzioni residenziali si installano nel tessuto urbano pur cercando di differenziarsene. Ci sono richiami a una sorta di esotismo quasi “mitico” (è il caso del Coliseum Palace di Rişcani, costruito nel 2007) e la volontà di creare una sorta di “autosufficienza” di servizi, attraverso negozi e altre attività situate all'interno delle recinzioni (come per esempio nel largo complesso che si estende a fianco del ponte di Bulevard Dacia). In generale, si è tentati di dire che costituiscano delle moderne versioni delle Dacha sovietiche, in cui la vecchia nomenclatura era solita trascorrere i periodi di vacanza. Solo che, ovviamente, l'accesso a tali strutture non avviene più sulla base di una preminenza dal punto di vista politico (non sempre, almeno: molte delle villette di Telecentru sono in effetti abitate da funzionari pubblici moldavi o da ambasciatori stranieri) bensì grazie alle proprie disponibilità economiche. Emigrati arricchitisi grazie alle rimesse, esponenti del ceto medio che sta lentamente avanzando, membri della élite finanziaria manifestano una tendenza a “separarsi” dal resto della società.
Non si tratta di un fenomeno relativo alla sola Chişinau, tutt'altro: in Russia, per esempio, esistono numerosi complessi riconducibili alla tipologia delle gated community, molti dei quali con nomi che strizzano l'occhio all'immaginario occidentale (“Chamonix”, “Italian quarter”, “Cote d'Azur”,...). Parrebbe dunque che le compagnie moldave stiano in sostanza trasponendo nel proprio contesto strategie immobiliari utilizzate in altre aree dello spazio post-sovietico. Non sempre con successo, però: circa la metà degli appartamenti di Reinassance City sono ancora invenduti mentre il Coliseum Palace ha riempito solo un terzo dei suoi spazi nei tre anni successivi al completamento dei lavori. Se i rimandi estetici a un “ovest da cartolina” e l'offerta di standard abitativi sopra la media sono certamente fattori di richiamo, in Moldavia manca forse quello che è l'elemento su cui generalmente si impernia la proliferazione delle gated community: l'insicurezza.
Definite come “architetture della paura”, tali segregazioni del tessuto urbano sono infatti tipiche di contesti caratterizzati da un elevato tasso di delinquenza o da forti disparità sociali (come in Sud America, ad esempio). A Chișinău, al contrario, il livello di microcriminalità rimane basso (sebbene in crescita) né è presente una classe di “nuovi arricchiti” vasta e coesa come quella russa. Eppure, dai recenti palazzi nel sobborgo di Ciocana alle moderne villette che sovrastano il parco di Valea Morilor, dai recinti residenziali fuori città al gusto kitsch del Coliseum Palace, parte della comunità di Chișinău sembra andare nella direzione di un progressivo isolamento, tanto celato nei fatti all'interno degli alti muri di cinta quanto esibito come promessa sui cartelloni delle agenzie immobiliari che invadono le strade del centro.
Un calvinismo laico?
Proseguendo da Piaţa Naţiunile Unite su Ştefan cel Mare, poco dopo aver superato l'incrocio con Strada Ismail, si incontra un altro ingorgo. Un ingorgo che stavolta non è fatto da automobili e clacson ma da voci, corpi e odori che si rimpallano in mezzo a serie interminabili di bancarelle. Merci e persone si inseguono fra tendoni e botteghe, cataste di oggetti vengono vagliati, ispezionati dagli occhi avvezzi dei consumatori mentre cenni e urla d'invito agli acquisti rendono Piaţa Centrală – il principale mercato all'aperto di Chişinau – un guazzabuglio di stimoli. Nessun logo del McDonald, nessuna icona della “colonizzazione simbolica” che si trova qualche metro più in là. Ma è evidente la rincorsa all'abbondanza (e, verrebbe da dire, alla ridondanza) dei beni. La maggior parte della popolazione, esclusa dai processi di arricchimento che coinvolgono le sfere più alte della società, si riversa ogni giorno a Piaţa Centrală per qualsiasi bisogno: prodotti alimentari, vestiti, riparazione di vecchi elettrodomestici, servizi per la casa, telefoni cellulari e televisori.
Il ritmo frenetico e sincopato del mercato, il magma di colori e suoni che esso racchiude al proprio interno, costituiscono una sorta di riassunto visivo su scala minore del centro di Chișinău. La mancanza di un chiaro piano di sviluppo urbano e di una rigida regolamentazione per l'apertura di attività commerciali, infatti, creano in quest'area una complessità variegata ma totalmente disorganica. Dice lo studioso Virgil Paslariuc: “Dopo l'indipendenza è cominciato un processo di de-nazionalizzazione, con cui i beni collettivizzati vennero restituiti alla popolazione. Tuttavia, come in altre repubbliche post-sovietiche, tale processo è degenerato a causa dell'incapacità da parte dello stato di garantire equità e trasparenza, causando divari enormi nella redistribuzione delle risorse e delle proprietà che hanno a loro volta generato corruzione e manifestazioni di 'capitalismo selvaggio'. Il risultato è che il profitto e l'interesse privato sono passati ad essere il fondamento delle relazioni fra individui, gruppi e persino stati”.
Nonostante in centro sia possibile rinvenire icone occidentali, segni del recente passato così come della sua rimozione, resti di una commistione ininterrotta di culture e tradizioni e richiami a una grandezza tanto lontana quanto mitica, tale ricchezza si disperde in una varietà architettonica senza direzione precisa, poiché senza direzione precisa (se non quella dell'immediato ritorno economico) sono le scelte che dovrebbero sostenerne lo sviluppo.
Chissà se qui si trovi un altro fattore fondamentale nell'emergere delle gated community. Il semiologo Massimo Leone afferma che le persone che scelgono di abitare in strutture simili “hanno paura della complessità semiotica delle città contemporanee. Esse temono di non essere in grado di farvi fronte”. Al di là della ricerca di prestigio sociale, o del bisogno di una maggiore sicurezza e controllo, allora, le nuove élite di Chişinau tentano di ovviare anche a un “deficit interpretativo”: la disorganicità simbolica e architettonica del centro ottengono come risposta un rifiuto di farvi parte, e il conseguente ritiro in una spazio privato che protegga ma soprattutto semplifichi.
I blackout e gli ingorghi reali si affiancano a quelli metaforici di una pubblica amministrazione che non riesce più a offrire orizzonti di senso collettivi. Meglio la coltivazione esclusiva dei propri interessi personali, poiché in primo luogo sono i soli a essere rimasti veramente comprensibili. Meglio il rifugio in autonome “isole urbane”, dove la varietà di segni e significati è ridotta oppure è posticcia (e, pertanto, innocua). Nel tramonto delle vecchie narrazioni, parte della nuova classe media percorre la via di un esodo interno che, silenzioso e graduale, segna forse il definitivo declino dell'homo sovieticus. Al suo posto, tra le villette a schiera e i muri di cinta, un diffuso ritiro nel privato, una sorta di “calvinismo laico” che sta cambiando per sempre il volto della città, pur scegliendo di non farlo.
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