La società civile può essere un alleato delle istituzioni europee per scardinare la mancanza di volontà del governo serbo di attuare le norme in campo ambientale. È però necessario che l'UE garantisca maggiore supporto al settore
Con la caduta del regime di Milošević nel 2000 l’integrazione europea è entrata tra le priorità della politica estera serba. Dopo vent’anni di relazioni burrascose caratterizzate da una forte condizionalità europea, oggi la Serbia è uno dei paesi candidati all’integrazione europea più avanti nel processo di adesione, ma il mancato miglioramento delle relazioni con il Kosovo e il deterioramento degli standard democratici, tra cui il rispetto per lo stato di diritto e i continui attacchi alla libertà di stampa, uniti ad una politica poco coerente e credibile da parte dell’UE, rischiano di mettere in discussione il futuro del paese all’interno dell’Unione. Le relazioni tra Serbia e UE si trovano infatti in una impasse dalla quale sembra essere sempre più difficile trovare una via d’uscita.
In un momento così delicato per la politica di allargamento, l’UE può trovare nella società civile un partner importante per rilanciare il processo di integrazione dal basso e dimostrare i benefici che questo porterebbe sia ai cittadini serbi che a quelli europei.
La società civile può contribuire positivamente al processo di adesione in diversi modi, ad esempio svolgendo attività di monitoraggio per garantire trasparenza e responsabilità del lavoro istituzionale, oppure fornendo competenze tecniche utili ai governi nazionali per soddisfare i criteri di accesso, i quali includono la trasposizione dell’intero acquis communautaire nell’ordinamento interno dei paesi candidati. Inoltre, le organizzazioni della società civile hanno la capacità di fare da “ponte” tra le istituzioni e i cittadini, rendendo accessibile il dibattito sull’integrazione europea alla popolazione e avvicinando il processo alle priorità dei cittadini. Il processo di integrazione ha avuto un enorme impatto sulla società civile serba: dai primi anni del 2000, l’UE è diventata il principale donatore del settore, favorendo la proliferazione di organizzazioni della società civile pro-europee sempre più professionali e specializzate.
La società civile conta? Il tema ambientale
I negoziati sul Capitolo 27 dell’acquis, dedicato alla protezione dell’ambiente e al cambiamento climatico, offrono un chiaro esempio dell’importanza del coinvolgimento della società civile per l’adozione delle normative europee. Nel suo rapporto di avanzamento del processo del 2020, la Commissione Europea ha riconosciuto che la Serbia ha già raggiunto un buon livello di allineamento con l’acquis ambientale, ma ha avvertito che il livello di applicazione delle leggi recepite resta ancora insufficiente.
Diversi motivi spiegano questa mancanza, tra cui le limitate risorse della pubblica amministrazione, la limitatezza di esperienza e personale formato nelle istituzioni e l’opposizione di gruppi di interesse che vedono nelle misure per la protezione ambientale una minaccia alle loro attività. Molte organizzazioni della società civile sottolineano però che non si tratta solo di questo.
Per Koalicija 27, il network di ONG ambientali creato per monitorare i negoziati sul Capitolo 27, il motivo principale per la mancata attuazione delle norme europee in questo settore dipende principalmente dall’assenza di volontà e di impegno politico da parte del governo, il quale non considera la tutela dell’ambiente una priorità per la sua agenda politica. ”Oggi la protezione dell’ambiente è ancora chiaramente subordinata allo sviluppo economico; le autorità sono disposte a distruggere quanta più natura possibile solo per ottenere dei guadagni a breve termine”, commenta un rappresentante di una tra le ONG più coinvolte nella creazione del network ecologico NATURA 2000; “Solo la metà delle tasse ambientali raccolte dai cittadini e dal settore privato viene investita nella politica ambientale, il resto viene usato per scopi totalmente differenti”, aggiunge il rappresentante di un’altra ONG appartenente a Koalicija 27.
Eppure le organizzazioni della società civile potrebbero essere attori-chiave per colmare questo vuoto attuativo. In primo luogo, le loro competenze sono una risorsa fondamentale per le istituzioni, le quali possono rivolgersi alle organizzazioni per ottenere dati e informazioni scientifiche necessarie per adeguarsi agli standard europei. In secondo luogo le associazioni hanno la capacità di interagire su due fronti: da un lato si rivolgono alla popolazione attraverso attività di divulgazione scientifica e campagne di informazione, contribuendo a sensibilizzare i cittadini ai temi ambientali e favorendo così un dibattito pubblico aperto ed informato, dall’altro fanno pressione sui decisori politici attraverso azioni di lobby e/o advocacy portando la loro attenzione su temi altrimenti trascurati. L’esempio più significativo è il già citato network Koalicija 27, il quale ogni anno pubblica un “rapporto ombra” sui negoziati sul Capitolo 27 nel quale ne denuncia eventuali criticità o limiti.
Nonostante in Serbia non manchino meccanismi istituzionali per il coinvolgimento della società civile nel processo di adesione, come ad esempio la Convenzione Nazionale sull’UE (NCEU – dal 2006 organo permanente del parlamento della Serbia), molti rappresentanti della società civile considerano insufficiente lo sforzo delle autorità di interagire con loro e soprattutto di prendere in considerazione il loro contributo. L’esempio più significativo riguarda proprio l’adozione della posizione negoziale sul capitolo 27 nel gennaio 2020: diversi rappresentanti della società civile hanno partecipato ai gruppi di lavoro per la stesura della posizione attraverso la NCEU, nessuno di loro ha però avuto accesso al documento finale, il quale risulta ancora oggi inaccessibile al pubblico. Alle organizzazioni della società civile coinvolte nei lavori preparatori non è dunque dato sapere se e come il proprio contributo è stato inserito nella posizione. Purtroppo, questo è solo uno degli episodi riferiti dagli attori della società civile in cui i decisori politici hanno deliberatamente scelto di ignorare i loro input.
Procedure e non sostanza
L’esempio dei negoziati sul capitolo ambientale dimostra come il processo di integrazione europea abbia portato ad un rafforzamento procedurale ma non sostanziale della società civile serba in ambito di politica ambientale. Nonostante esistano canali istituzionali per la partecipazione pubblica, tali canali rimangono poco trasparenti e molto spesso le autorità pubbliche considerano il coinvolgimento della società civile un esercizio vuoto, volto solo a «spuntare lista»: “Anche quando veniamo coinvolti non c’è trasparenza, non possiamo parlare di un vero e proprio processo partecipativo: alla fine dei conti le istituzioni decidono quello che vogliono, senza tenere in considerazione le nostre raccomandazioni” spiega una rappresentante di Koalicija 27. Per le organizzazioni serbe, il sostegno dell’UE resta fondamentale per aumentare la loro influenza sui decisori politici. ”Senza le pressioni di Bruxelles sarebbe impossibile per noi trovare posto al tavolo negoziale”, commenta un rappresentante di Koalicija 27.
Considerando la situazione di stallo in cui si trovano i negoziati, la società civile rappresenta un alleato fondamentale per l’UE per ridare energia al processo di adesione europea. Ciò non riguarda solo il settore delle politiche ambientali, ma può essere esteso ad ogni capitolo negoziale. Per permettere alla società civile di fare da catalizzatore del processo di integrazione, l’UE è chiamata ad aumentare le pressione sulle istituzioni locali, affinché diano valore al lavoro del settore civile e riconoscano in esso un partner affidabile e valido.
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Vai alla tesi di master "The EU integration process and environmental governance in Serbi. An assessment of civil society participation in the implementation of the ecological network Natura 2000", di Serena Epis
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