
Vareš (foto badener/wikimedia)
Già importante centro minerario e industriale, oggi Vareš è uno dei comuni più poveri della Bosnia Erzegovina. Le promesse di investimenti stranieri si scontrano con azioni controverse e a volte illegali, e gli attivisti ambientali che denunciano tali prassi rischiano querele
Secondo l’ultimo indice annuale di percezione della corruzione (CPI), la Bosnia Erzegovina figura tra i tre paesi più corrotti d'Europa . Transparency International sottolinea che in Bosnia Erzegovina, ormai ridotta ad una parvenza di democrazia, il governo, alle prese con una crisi di legittimità, esercita pressioni sempre più forti su chi critica l’operato delle istituzioni statali e le decisioni governative. Pressioni accompagnate da una normativa sempre più restrittiva in materia di libertà di espressione.
Allo stesso tempo, la leadership al potere avvantaggia gli investitori stranieri che, dietro pagamento di canoni demaniali minimi, tagliano illegalmente foreste di grande valore e inquinano le fonti di acqua potabile con metalli pesanti.
La storia della miniera di Vareš ha diviso l’opinione pubblica bosniaco-erzegovese. Di fronte alle promesse di ripresa economica di quello che un tempo era un importante centro minerario e industriale, e oggi è uno dei comuni più poveri della Bosnia Erzegovina, parte dell’opinione pubblica ignora le azioni controverse e, come vedremo più avanti, illegali degli investitori stranieri a scapito della tutela delle foreste, delle sorgenti d’acqua e dei diritti umani fondamentali.
La compagnia britannica Adriatic Metals – che ha ottenuto la concessione in uso del territorio su cui sorge la miniera di Vareš – è stata più volte accusata di deforestazione illegale. Ad un certo punto, è stata revocata anche l’autorizzazione, rilasciata ad Adriatic Metals, per lo sfruttamento minerario perché si temeva che le attività estrattive potessero mettere in pericolo le sorgenti protette. Gli attivisti che seguono la vicenda di Vareš mettono in guardia sul fatto che i danni ambientali, provocati dall’azienda negli ultimi anni, sono irrimediabili.
Nel frattempo, dopo investimenti iniziali di centinaia di milioni di euro nel progetto di costruzione della miniera, situata al confine tra i comuni di Vareš e Kakanj, l’azienda britannica ha intrapreso azioni ambiziose per lo sfruttamento dei giacimenti di zinco, barite e piombo, e sta già pianificando di ampliare l’attività estrattiva sfruttando i grandi giacimenti di argento, oro e rame nella stessa località. L’azienda gode del pieno sostegno del governo, che ha dichiarato Vareš un progetto di interesse nazionale. Un sostegno testimoniato da una serie di decisioni che avvantaggiano Adriatic Metals, portando lo stato a violare la Costituzionale e le convenzioni internazionali.
Ignorate le raccomandazioni degli esperti
Il caso della miniera di Vareš tornato in auge all’inizio dello scorso anno dopo la pubblicazione di alcuni dati preoccupanti contenuti in un documento che l’azienda idrica Vodokom di Kakanj aveva inviato all’Ispettorato della Federazione BiH.
Vodokom aveva chiesto all’Ispettorato di intervenire a causa di un forte aumento della concentrazione di cadmio nel fiume Bukovica, la principale fonte di approvvigionamento di acqua potabile per la popolazione di Kakanj. Come si sottolinea nel documento, le variazioni delle concentrazioni erano state registrate durante l’intensificazione dei lavori di costruzione della miniera e di un impianto di lavorazione dei minerali della compagnia Adriatic Metals, a monte della zona delle sorgenti protette di Kakanj.
Rispondendo alla richiesta di controllo, l’Ispettorato aveva stabilito che il cadmio era di origine naturale, cioè che era naturalmente presente nel terreno e nel fiume Bukovica.
Negli ultimi anni all’azienda Adriatic Metals sono stati rilasciati tutti i permessi necessari per lo sfruttamento minerario. Le autorità locali e federali hanno sostenuto con entusiasmo la miniera di Vareš, definendola uno dei progetti più significativi per l’economia e lo sviluppo della Bosnia Erzegovina.
All’ombra dei festeggiamenti e delle grandi aspettative, alcuni attivisti, preoccupati per l’ambiente e la salute umana, hanno sporto denuncia al Comitato della Convenzione di Berna per la conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali in Europa, un documento sottoscritto anche dalla Bosnia Erzegovina.
Reagendo alla denuncia sporta da Hajrija Čobo di Kakanj, che aveva a più riprese messo in guardia sui potenziali effetti negativi dell’attività mineraria nell’area di Vareš, alla fine del 2022 da Strasburgo era arrivata la raccomandazione con cui si invitavano le autorità della BiH a sospendere il progetto di Vareš fino a quando non verranno accertate le accuse contenute nella denuncia.
Tuttavia, il progetto non è mai stato sospeso. Anzi, nel marzo 2024 il ministero dell’Ambiente della Federazione BiH ha chiesto al Comitato della Convenzione di Berna di respingere tutte le accuse relative ai potenziali effetti dannosi della miniera sulla biodiversità e le sorgenti d’acqua della Bosnia centrale.
I vertici di Adriatic Metals, preoccupati per l’andamento della vicenda, hanno deciso di intentare una causa per diffamazione contro l’attivista Hajrija Čobo, volendo così salvare la reputazione dell’azienda agli occhi della popolazione locale. Si è trattato di un classico caso di SLAPP, ma l’agile attivista di Kakanj è riuscita a spingere l’azienda a ritirare rapidamente la querela.
Le autorizzazioni revocate…
Temendo che le attività estrattive nell’area di Vareš potessero incidere sul fiume Bukovica, che fornisce acqua potabile a circa trentamila abitanti di Kakanj, l’azienda idrica Vodokom aveva fatto ricorso contestando la decisione, risalente al 2021, del ministero dell’Energia, delle Miniere e dell’Industria della Federazione BiH di concedere ad Adriatic Metals l’autorizzazione per lo sfruttamento minerario.
L’opinione pubblica è venuta a conoscenza di questo ricorso solo tre anni più tardi, più precisamente il 30 dicembre 2024, quando il tribunale di Mostar ha annullato l’autorizzazione rilasciata alla compagnia britannica.
Nella motivazione della sentenza si afferma che nello studio di impatto ambientale non è stato precisato se e quale impatto potesse avere l’attività estrattiva sugli impianti per prelevare l’acqua dal fiume Bukovica.
Nel frattempo sono emerse anche alcune osservazioni errate dell’Istituto minerario di Tuzla riguardanti la posizione della miniera rispetto al fiume Bukovica. Lo studio non ha definito con precisione la posizione dell’area per la quale veniva chiesto il permesso di sfruttamento, quindi non è mai stato stabilito se tale area in parte coincidesse o meno con quella delle sorgenti protette.
Il caso è stato rinviato al ministero competente per un riesame. L’opinione pubblica e gli attivisti hanno accolto con favore la decisione del tribunale, auspicando che l’intera procedura e tutte le ricerche legate allo sfruttamento minerario venissero rifatte, sperando anche di poter partecipare al processo decisionale relativo ad eventuali future autorizzazioni.
...poi subito rinnovate
La reazione del ministero non si è fatta attendere. Appena i media hanno riportato la notizia della sentenza, solo quindici giorni dopo l’annullamento del controverso permesso, il ministero ha rilasciato una nuova autorizzazione integrandola con la documentazione nel frattempo ricevuta da Adriatic Metals. Tutto questo senza organizzare un dibattito pubblico. Il nuovo documento non è mai stato pubblicato, quindi lo abbiamo ottenuto appellandoci alla legge sul libero accesso alle informazioni.
“Il continuo monitoraggio idrogeologico della quantità e della qualità delle acque sotterranee nel periodo compreso tra il 2021 e il 2024 non ha evidenziato variazioni [...] nel sistema idrologico circostante”, si legge nel documento, in cui viene anche specificata la differenza tra l’area in cui vengono svolte le attività estrattive e l’area data in concessione. Come sottolineato dal ministero, è importante che l’attività estrattiva non coinvolga la zona delle sorgenti protette, zone che però in parte coincidono con quella data in concessione.
Anche altre questioni non sono state affrontate in modo approfondito, tra cui l’ubicazione della discarica, le strade forestali e l’abbattimento delle foreste statali.
Fermare la deforestazione
Negli ultimi anni sono state sporte diverse denunce contro Adriatic Metals per l’abbattimento di una foresta statale. La denuncia presentata dall’ente forestale del cantone di Zenica-Doboj nell’ottobre 2023 per l’abbattimento illegale di oltre cento alberi, è stata respinta dalla procura cantonale per “insussistenza degli elementi costitutivi del reato di devastazione forestale”. La procura ha motivato la sua decisione affermando che il terreno forestale in questione rientra nell’area, data in concessione, che con una decisione precedente era stata resa edificabile.
Questa volta gli attivisti hanno chiesto di prendere visione del contratto di concessione che giaceva in un cassetto nella sede del ministero dell’Economia del cantone di Zenica Doboj, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica. Gli attivisti hanno giustamente sottolineato che il fatto di aver sottoscritto un contratto di concessione non autorizza l’investitore a violare la normativa della BiH.
Le aree periferiche dei comuni di Vareš e Kakanj, dove si trovano la miniera e tutti gli impianti per la lavorazione dei minerali e lo smaltimento dei rifiuti, sono ricche di foreste secolari di grande qualità e vantano una biodiversità straordinaria. Nel comune di Kakanj si trova anche la foresta pluviale di Trstionica e l’intera area è permeata da una fitta rete di corsi d’acqua che attraggono escursionisti e amanti della natura.
All’inizio di gennaio 2023, un gruppo informale denominato “Parco naturale Trstionica-Boriva” ha presentato al consiglio comunale di Kakanj un’iniziativa per proteggere quest’area, come previsto dal piano territoriale del comune e del Cantone di Zenica Doboj.
Secondo le testimonianze degli attivisti locali, le foreste sul versante di Kakanj che non fanno parte dell’area data in concessione all’azienda Adriatic Metals sono state abbattute illegalmente per permettere il trasporto dei residui minerari.
Una decisione incostituzionale a favore degli investitori
Nel 2024, la Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina ha sospeso la decisione con cui il governo della Federazione BiH ha consentito ad Adriatic Metals di “utilizzare temporaneamente” 72,4 ettari di terreno forestale di proprietà statale. Il permesso è stato rilasciato senza il coinvolgimento della procura della BiH, quindi senza un organismo che rappresenta gli interessi dello stato.
La sentenza della Corte costituzionale poggia sulla decisione dell'Alto rappresentante in BiH sul divieto di disporre dei beni statali fino all’adozione di leggi adeguate.
Quella dei beni statali è una questione politica molto delicata, che a suo modo conferma l’insostenibilità dell’attuale sistema politico e la disfunzionalità dello stato bosniaco-erzegovese delle sue istituzioni.
L’evoluzione del caso della miniera di Vareš, compresa la controversa decisione di dare in concessione gran parte di una foresta demaniale ad un’azienda miniera assomiglia irresistibilmente ad una pratica con cui si cerca di favorire gli interessi privati a scapito del bene comune.
Prima di autorizzare l’abbattimento della foresta demaniale a Vareš, il governo della Federazione BiH ha adottato una decisione sul cambio di destinazione d’uso dei terreni forestali e sull’uso temporaneo dei terreni forestali per altri scopi, permettendo così ad Adriatic Metals di presentare, durante il periodo di validità del contratto di concessione, l’autorizzazione per lo sfruttamento di minerali e altre risorse naturali sui terreni forestali demaniali.
Questa, come tutte le altre decisioni controverse, è stata annullata dopo la sentenza della Corte costituzionale, ma le conseguenze resteranno, probabilmente per sempre.
Sei mesi dopo l’annullamento della decisione, la Corte costituzionale ha avvertito che la sentenza non è mai stata applicata e che i lavori a Vareš non sono stati interrotti.
“È risaputo, ne è consapevole anche la Corte costituzionale, che i lavori in quest’area sono ancora in corso”, ha confermato la Corte costituzionale a Radio Slobodna Evropa.
A lasciare l’amaro in bocca alla popolazione locale è stata la reazione a dir poco inappropriata di Nermin Nikšić, premier della Federazione BiH, alla decisione della Corte costituzionale. “Alcuni evidentemente ritengono che sia meglio mantenere una foresta brulla e inutile, definita statale, che sostenere un investimento allettante su un terreno di proprietà statale”, ha dichiarato Nikšić, ignorando il fatto che, anziché di una “foresta brulla” si tratta di alberi che fanno parte di un habitat forestale di alto valore collegato a Trstionica, una delle poche foreste pluviali in Europa con alberi di trecento anni.
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