
La “casetta sulla Drina” a Bajina Bašta, Serbia (foto G. Vale)
Ultima puntata del nostro reportage lungo il fiume Drina: da Višegrad verso Žepa e la Mokra Gora, fino ad arrivare alla Šarganska osmica, la ferrovia costruita nel 1916 dall’amministrazione asburgica. Si parla di passato, varianti linguistiche e proteste ambientali
(Leggi tutte le puntate del reportage I volti della Drina)
Nel giro di un paio di curve, la strada esce dal centro di Višegrad e sale rapidamente sulla collina. Il ponte ottomano scompare quasi subito, inghiottito da un tornante, poi tocca alla Drina, mentre la strada segue il corso del Rzav fino al confine tra Bosnia Erzegovina e Serbia.
Tra il comune bosniaco di Višegrad e la cittadina serba di Bajina Bašta, nel suo tratto più centrale, la Drina non è facilmente raggiungibile in automobile. Il corso d’acqua s’infila in un canyon stretto e profondo e punta verso nord, cominciando a tracciare il confine serbo-bosniaco.
Da Višegrad diverse escursioni in battello portano alla scoperta di questo tratto del fiume, solitamente con una sosta al museo memoriale di Stari Brod, inaugurato nel 2019.
Le sculture di decine di persone che affiorano tra le onde ricordano i civili serbi che, in fuga dalle milizie ustascia, si gettarono in acqua il 22 marzo 1942. Secondo l’ufficio turistico di Višegrad , in quella data e nelle settimane che seguirono, circa 6mila serbi furono uccisi in quella località.
Altre gite in battello iniziano più a nord, nei pressi del ristorante SUR 'Slap jezero’ raggiungibile da Žepa tramite una tortuosa e ripida strada. Qui la Drina si allarga e forma il lago di Perućac, contenuto dalla diga della centrale idroelettrica “Bajina Bašta”, la seconda che si incontra lungo il fiume (la terza, e ultima, si trova nei pressi di Zvornik).
Purtroppo, quando arriviamo in quest’area, in pieno inverno, le uscite in barca non sono possibili e siamo costretti a continuare il viaggio in auto.
Treni, montagne e nebbia
Una volta passata la frontiera al valico di Vardište, ci si ritrova subito all’interno del parco naturale della Mokra Gora. La Drina è lontana, ma l’area non è per questo meno interessante.
La star indiscussa dei luoghi è la Šarganska osmica, la ferrovia costruita nel 1916 dall’amministrazione asburgica e ampliata negli anni Venti dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, quando fu realizzato il tracciato a forma di “8” a cui l’infrastruttura deve il suo nome.
Il binario a scartamento ridotto (760 mm) collegava allora la città serba di Užice alla rete ferroviaria bosniaca tramite il passo di Šargan. Era così possibile andare da Belgrado a Sarajevo e poi fino a Dubrovnik, passando per l’ingarbugliato tracciato della Šarganska osmica: raggiungere il porto raguseo dalla capitale jugoslava richiedeva qualcosa come 22 ore.
La linea restò in funzione fino al 1974, quando venne interrotta perché giudicata economicamente insostenibile.
I tempi stavano peraltro cambiando. Nel 1976 sarebbe stata inaugurata le ben più moderna linea Belgrado-Bar (Montenegro), mentre nel 1989 la costruzione della diga della centrale idroelettrica di Višegrad sommerse definitivamente il binario austroungarico (oggi un “Ćiro acquatico ”, ovvero un battello che ricorda il nome dello storico treno, naviga i canyon della Drina e del Lim, proprio nel punto in cui un tempo correva la ferrovia).
Negli ultimi anni la Šarganska osmica è diventata una ferrovia turistica che collega le stazioni di Mokra Gora e Vitasi e in rare occasioni sconfina fino a Višegrad.
Anche da queste parti c’è lo zampino del regista Emir Kusturica, che nei primi anni Duemila ha fatto costruire, non lontano dalla ferrovia, il villaggio di “Drvengrad”, dove nel 2004 girò il film La vita è un miracolo.
Noi però riprendiamo la strada e, passata Kremna, risaliamo tra due file ininterrotte di conifere per ritrovare la Drina più a nord, a Bajina Bašta.
Lungo la magistrala serba
In bilico su uno scoglio in mezzo al fiume, la “Kućica na Drini”, la “casetta sulla Drina”, è probabilmente il simbolo di Bajina Bašta, un comune serbo di meno di 10mila abitanti al confine con la Bosnia Erzegovina.
La casa esiste da decenni, anche se nel corso del tempo, è stata ricostruita più volte, dopo essere stata travolta dalle piene. Lungo il fiume, ne troveremo tante di casette simili, situate non su uno scoglio ma sulle rive.
Tante vikendice, o case vacanze, spesso costruite nell’illegalità, come mi spiega un attivista di Loznica.
“Il corso della Drina è cambiato nel tempo e le mappe catastali non sono sempre aggiornate. Per questo succede che spesso non si sappia di chi sia la competenza di una determinata parcella lungo il fiume, se spetti alla Serbia o alla Bosnia Erzegovina”, mi racconta Djuro, seduto in un bar di Loznica.
Le costruzioni illegali a ridosso dell’acqua mi fanno pensare alla costa adriatica e forse non è un caso. In Croazia, la Državna cesta D8, meglio nota come Jadranska magistrala, è la strada realizzata negli anni Cinquanta e Sessanta che costeggia il mare dal golfo del Quarnero fino a Dubrovnik e al Konavle (per poi proseguire in Montenegro).
In Serbia, il Državni put 28 offre un’atmosfera simile, seguendo la Drina in ogni sua curva. In termini di scorci mozzafiato sull’acqua, ma anche di pericolosità della guida, le due strade si assomigliano, come conferma anche la curiosa presenza di un “Bife Plavi Jadran” a una decina di chilometri a sud di Mali Zvornik.
Curva dopo curva, la magistrala serba attraversa Ljubovija, Mali Zvornik e altri villaggi più piccoli, mentre sulla riva opposta si susseguono Bratunac, Zvornik, Karaj… Sono località legate a terribili crimini di guerra durante gli anni Novanta. Ed è in questo tratto che la Drina diventa un confine-non-confine dal punto di vista politico, storico, simbolico, linguistico ed etnico.
“Per i nazionalisti serbi, la Drina non è un confine, perché i serbi abitano da entrambi i lati del fiume. Per Ivo Andrić, la Drina separava in qualche modo l’Occidente dall’Oriente. Dal punto di vista linguistico, il fiume traccia quasi la frontiera tra la ekavica e la ijekavica”, mi spiega il linguista Boban Arsenijević, professore all’università di Graz in Austria, facendo riferimento alle due varianti del serbo-croato più diffuse in Serbia e in Bosnia Erzegovina.
“Non è un confine preciso. A Bajina Bašta, ad esempio, la variante più parlata è la ijekavica, mentre a Banja Luka, si usa la ekavica”, prosegue Arsenijević.
La lingua serba è particolarmente legata alla Drina e al suo territorio. A Tršić, non lontano da Loznica e dal letto del fiume, si trova la casa natale di Vuk Karadžić, il linguista e scrittore considerato tra i maggiori riformatori della lingua serba.
Oggi, nel luogo in cui nacque si erge un parco memoriale, un etno-villaggio che racconta le condizioni di vita nella Serbia rurale a cavallo tra Settecento e Ottocento. Il parco si snoda lungo il piccolo fiume Žeravija, un affluente dello Jadar, che a sua volta si getta nella Drina a nord di Loznica.
Di recente quest’area ha attirato l’attenzione della stampa internazionale, non tanto per la storia di Karadžić quanto per il progetto di una miniera di litio che ha fatto insorgere gli abitanti della valle dello Jadar e scatenato proteste di massa in tutta la Serbia.
Battaglie ambientali
“In questa regione non c’è mai stata industria, non ci sono mai state miniere. Solo agricoltura, da sempre”. Dall’alto del campanile di legno della piccola chiesa di San Giorgio a Gornje Nedeljice, Nebojša Petković guarda la valle dello Jadar e i campi coltivati a granoturco, soia, frumento… Le colline basse proseguono fino all’orizzonte, dove si nasconde la Sava, e oltre ancora, dove sta il Danubio e la terra diventa piatta come una tavola.
“La miniera di litio sarebbe una catastrofe”, aggiunge Nebojša Petković, uno dei fondatori di “Ne damo Jadar”, il movimento che per primo ha suonato l’allarme.
Quella del litio in Serbia è una storia lunga. Più di vent’anni fa il gruppo anglo-australiano Rio Tinto ha scoperto qui quello che assicura essere il più grande giacimento di litio in Europa: una miniera capace di produrre fino a 58.000 tonnellate di litio l'anno. Ci sarebbe da scavare per trent’anni e su oltre trecento ettari, creando migliaia di posti di lavoro.
Questo è perlomeno l’argomento degli investitori e del governo, a cui si è aggiunto di recente anche l’appoggio dell’Unione europea. Per chi abita da queste parti, così come per la maggior parte della popolazione serba, la miniera è invece soprattutto una bomba ecologica.
Quando arrivo a Loznica e a Gornje Nedeljice, dove il movimento ha il suo quartier generale, la cittadinanza ha organizzato una protesta e un blocco stradale.
È lo stesso Nebojša Petković ad accendere la cassa acustica portatile dando il via al sit-in. La prima canzone della playlist è Ne lomite mi bagrenje di Đorđe Balašević, la preghiera di un uomo, che dinanzi a un giudice chiede giustizia per un sopruso subito. Un po’ come nelle ballate di De André, non è del tutto chiaro cosa sia successo, ma il protagonista ripete le sue ragioni fino a perdere la pazienza. E per strada tutti cantano a squarciagola.
Per far avanzare il progetto di Rio Tinto, il governo serbo aveva cambiato la legge sugli espropri, rendendoli possibili in meno di dieci giorni. Ma davanti alle proteste ha dovuto fare marcia indietro.
Il progetto, però, non è stato abbandonato, anzi, con il sostegno ricevuto l’estate scorsa da Bruxelles, non c’è motivo perché Belgrado debba desistere. Il litio, intanto, è emerso anche dall’altro lato del fiume, in Bosnia orientale. Ce ne sarebbe p iù di un milione di tonnellate attorno a Lopare e gli esperti assicurano che le località interessate sono molte di più.
Tra Bijeljina e il letto della Drina incontro Snežana Jagodić Vujić e Ognjen Vujičić, rispettivamente la direttrice e un attivista dell’associazione ambientalista Eko Put. Si battono per trasformare in un parco naturale l’area attraversata dalla Drinica, ovvero il vecchio letto della Drina, dove a forza di scavare per estrarre sabbia, l’uomo ha creato un centinaio di piccoli laghi con profondità fino a 20 metri.
“La vera Drina dista un paio di chilometri da qui”, mi spiega Snežana Jagodić Vujić, mentre camminiamo tra acquitrini, canneti e alberi mangiucchiati dai castori. Eko Put ha già fatto grandi progressi, rimuovendo i rifiuti in un’area che era diventata una discarica illegale. Ora si aspetta una mappatura delle specie presenti nell’area.
“Mi occupo di Drina da quindici anni. I problemi sono tanti, dal catasto ai rifiuti. Il litio è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dopo trent’anni di corruzione e furti. La gente si oppone perché sa che verrebbe tutto inquinato dai metalli pesanti”, aggiunge Snežana Jagodić Vujić. Alle proteste contro la miniera di litio a Loznica si sono sommate negli ultimi mesi quelle degli studenti e la Serbia pare ora ribollire come la Drina.
A Gornje Nedeljice Ne lomite mi bagrenje continua intano a risuonare. “Ho detto loro chiaramente, non potete venire e distruggere la proprietà altrui”, canta Đorđe Balašević, “Non tagliate le mie acacie mi proteggono dal vento”, “Non tagliate le miei acacie, sotto i loro rami io l’ho baciata”. “Devo ripeterlo ancora? Lasciatele stare o vi riempio di botte!”, grida Balašević sulle ultime note e nell’entusiasmo generale. La canzone del cantautore di Novi Sad pare l’inno azzeccato di una società in rivolta.
La Drina si getta nella Sava dopo una lunga corsa verso nord, ma quest’ultima la riporta a est a incontrare il Danubio a Belgrado ed è lì che in queste settimane convergono anche tutte le manifestazioni di protesta della Serbia.
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