
Stazione sciistica nel Parco nazionale del Tricorno (Triglav), Slovenia (© Nadezhda Kharitonova/Shutterstock)
Il riscaldamento globale condanna tante località sciistiche di bassa e media quota a restare senza neve – ma non per forza senza turisti. I modi per reinventarsi esistono: un progetto transfrontaliero in corso, BeyondSnow, sta aiutando una serie di stazioni alpine a capire come farlo
Quando la neve scende abbondante può far perdere la strada a chi cammina in montagna. Quando non scende, però, può far perdere l’identità a chi in montagna ci vive tutto l’anno e conta sul suo manto per attirare folle di turisti in cerca di svago, relax e piste da sci. È quello che sta avvenendo in sempre più numerose località montane di media e bassa quota, in primis quelle situate sulle Alpi.
In quest’area, infatti, è da mezzo secolo che la quantità di giorni di neve sta diminuendo al passo del 5,6% per decennio . Si assiste a un cambio di scenario non solo visivo ma anche sociale e turistico, con impatti economici ovvi ma non semplici da gestire.
È vero che c’è la neve artificiale – ma è un’opzione che costa molto e necessita di molta energia e di moltissima acqua, oltre che di determinate temperature e tassi di umidità nell’aria. Non è per tutti, e può non essere permessa dalle leggi, come accade per esempio all'interno dell’area protetta slovena del Parco nazionale del Tricorno (Triglav).
L’inverno verde sloveno sta fiorendo
Nel Parco del Tricorno i cannoni sparaneve sono banditi e sulle montagne, le più alte del Paese, le stagioni sciistiche dipendono interamente dalla neve naturale. Per una stazione come quella di Vogel, con piste comprese tra i 570 e i 1800 metri di quota, il rischio di saltare una stagione a causa della carenza di neve è alto. Per la vicina Kobla è invece già una certezza: dal 2011 questa località ha infatti appeso gli sci al chiodo, cessando le attività e il business ad essi legate.
“Oggi per noi i cambiamenti climatici rappresentano la più grande sfida. Tanti turisti continueranno ad arrivare anche se non avremo la neve. Dobbiamo velocemente sviluppare una soluzione alternativa: non possiamo permetterci di deluderli”, spiega Jelka Popović Gužvić dell'Agenzia per lo sviluppo dell'Alta Carniola , l’istituzione pubblica no-profit dedita allo sviluppo dell’area. Lei e le poche migliaia di abitanti della zona da sempre conoscono due sole stagioni: l’inverno, con famiglie e sciatori alle prime armi dall’Europa centro-orientale, e l’estate, con appassionati di natura incontaminata provenienti dall'Europa occidentale. L’estrema mancanza di neve lo scorso anno li ha segnati: anche se la stagione 2024-2025 è andata un po' meglio, tutti si sono resi conto che “dobbiamo prepararci agli inverni verdi”.
Niente neve significa niente piste e percorsi per chi ama sciare, ma significa anche disporre di nuovi spazi per disegnare nuovi percorsi dedicati a chi preferisce pedalare. “La bicicletta è una tendenza sempre più in crescita nel nostro Paese e sembra piacere anche ai turisti – spiega Popović Gužvić –. Ci vorranno anni per cambiare la nostra identità turistica, ma stiamo già ampliando l’offerta di percorsi di cicloturismo: vogliamo intercettare i flussi che oggi si concentrano quasi solo attorno al parco nazionale e al lago”.
Il lago è quello glaciale di Bohinj, una meta d’obbligo per chi visita l’area in estate – ma che non riesce ancora a esercitare la propria capacità di attrazione dodici mesi all’anno. Ha bisogno di alleati, e potrebbe trovarne di giovani e motivati tra le guide locali multilingue in arrivo. Sono i giovani dell’area, su cui l'Agenzia per lo sviluppo dell'Alta Carniola vuole investire in formazione, “affinché diventino in grado di valorizzare la nostra nuova offerta turistica, nel pieno rispetto delle tradizioni che ci caratterizzano”.
Popović Gužvić confessa la speranza che questa iniziativa possa far rallentare anche lo spopolamento dell’area – un’area che “ha mostrato una capacità di collaborazione senza cui non si sarebbe mai potuto immaginare un futuro così diverso dal presente”.
Italia e Francia servono il bianco in tavola assieme
All’estremo opposto dell’arco alpino, anche il destino dell’ex comprensorio sciistico ligure di Monesi di Triora, in provincia di Imperia, non è segnato per sempre solo grazie alla capacità di unire le forze mostrata dai suoi abitanti.
“Questo è un territorio che ci mette cuore e impegno. Si sente un potente desiderio di riscatto, anche da parte delle istituzioni locali – racconta Federica Corrado – Per noi è stata fondamentale la loro voglia di mettersi in gioco in prima persona”. Corrado è docente di urbanistica al Politecnico di Torino e, insieme a un gruppo “quasi totalmente femminile e under 30”, racconta, sta lavorando su e con questo territorio per ridefinirne la proposta turistica.
Serve svincolarsi dalla neve e unire l'area sciistica di Monesi con il Parco regionale delle Alpi Liguri, entrambe aree a bassa quota ma dalle attività e priorità molto articolate ed eterogenee. C’è chi punta al turismo e chi invece vive di agricoltura: Corrado e il suo gruppo li hanno fatti dialogare per collegare interessi così apparentemente diverse. Ne è nata “La strada della cucina bianca”.
Dedicato ai sapori tipici delle tante malghe sparse sulle Alpi Marittime, questo percorso si dipana tra Liguria, Piemonte e Francia. “È inevitabilmente transfrontaliero perché questo era e resta un territorio unico: la storia lo ha diviso, ma non dal punto di vista culturale”, racconta Corrado, spiegando come intende valorizzarne le tradizioni agli occhi di chi passa ma anche di chi vive nella zona. L’idea della strada è partita proprio dagli abitanti che, assieme, hanno scelto questo progetto come primo passo verso la loro nuova identità turistica.
“La strada bianca è uno dei tanti elementi della Carta che abbiamo disegnato insieme, integrando le diverse visioni raccolte in due anni di lavori – spiega Corrado – Il co-design è un approccio lungo, ma ci ha permesso di capire qual era il patrimonio territoriale condiviso e di far emergere le reti attive su cui puntare. Quando si ha a che fare con comunità che vivono delle crisi di identità, il percorso va costruito giorno dopo giorno”.
BeyondSnow, verso nuove vite senza neve
Lontane, ma unite dallo stesso destino di ex località sciistiche abbandonate e ora dotate di una strategia per andare oltre, Monesi e Bohinj sono due delle dieci aree pilota di BeyondSnow . Questo progetto interregionale europeo quasi in dirittura di arrivo (ottobre 2025) mira a aiutare le stazioni sciistiche alpine a quota medio-bassa ad adattarsi al cambiamento climatico, sia dal punto di vista ambientale che economico e sociale.
“Il progetto è nato dal basso. Non accade spesso, e ricevere una richiesta da associazioni e comunità locali è stata una piacevole sorpresa", spiega Andrea Omizzolo, ricercatore di Eurac, l'istituto di ricerca altoatesino che guida BeyondSnow.
“Per prima cosa abbiamo costruito una mappa delle vulnerabilità, per aiutare abitanti e amministrazioni a prendere consapevolezza della loro fragilità legata alla crisi climatica – racconta – Questo strumento ci ha permesso di offrire a ciascuna località pilota una visione chiara e ampia, mostrando che il problema riguarda tutto l'arco alpino e non è solo ambientale”.
Una volta messe a nudo le fragilità di ogni singola area coinvolta, il team del progetto ha fornito un sistema di supporto decisionale (DSS) per approfondirne la natura e le dinamiche. Inseriti i dati locali, questo strumento fornisce una descrizione dettagliata dello status di vulnerabilità specifico, sottolineando gli aspetti su cui è più urgente intervenire.
“Vorremmo sviluppare ulteriormente questo strumento arrivando a fornire input di intervento concreti e personalizzati a ogni area locale", confessa Omizzolo. "Già ora, però, il nostro sistema offre numerosi e dettagliati esempi di interventi possibili e l’elenco completo di tutti quelli pensati nelle dieci aree pilota.” Dalla loro diversità di approccio è nata una notevole ricchezza di spunti.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Cohesion4Climate" cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
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