
Peter Sorensen - Wikipedia
Il diplomatico danese Peter Sorensen è il nuovo Rappresentante speciale UE per il dialogo tra Kosovo e Serbia. A Pristina la nomina è stata accolta con favore, ma le prospettive per il futuro dei negoziati restano opache
Febbraio in Kosovo è iniziato con una percezione diversa e più positiva per quanto riguarda il dialogo con la Serbia, un processo in corso da quasi 15 anni senza una chiara conclusione in vista.
Il primo febbraio, Peter Sorensen, 57 anni, ha iniziato il proprio mandato come rappresentante speciale dell'UE per questo processo, mediato negli ultimi cinque anni da Miroslav Lajčák.
Pristina ha accolto con favore questa nomina del nuovo Alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas. Uno degli argomenti citati più frequentemente è che Sorensen conosce bene la regione.
Questa impressione è condivisa anche da Andi Hoxhaj, professore e ricercatore in politica e diritto dell'UE al King's College di Londra, che si aspetta che il diplomatico danese ripristini la fiducia nel dialogo, poiché le persone in Kosovo e altrove hanno perso la speranza in questo processo e nella sua legittimità.
Tuttavia, Hoxhaj avverte che Sorensen potrebbe fallire se continua con l'approccio dei suoi predecessori. "Sorensen fallirà se non si rende avvicinabile e non offre qualcosa di concreto alle parti. Finché non ci sarà nulla di concreto sul tavolo, sarà molto difficile, perché abbiamo visto che alla Serbia hanno spesso fornito solo incentivi finanziari per far avanzare il processo. Ma abbiamo anche visto che la Serbia nel frattempo ha rafforzato legami con altri paesi terzi come Russia, Cina e nazioni del Medio oriente", spiega Hoxhaj.
Secondo il ricercatore, il Kosovo dovrebbe ricevere un'indicazione di un possibile riconoscimento da parte dei quattro stati membri NATO e dei cinque paesi UE che non l'hanno ancora accordato.
"Questo non è stato discusso e dovrebbe essere una questione importante da affrontare per l'UE stessa: come questi paesi potrebbero riconoscere il Kosovo e quale sarà la strategia complessiva. Questo è qualcosa che l'UE può fare anche senza la Serbia. Potrebbe rappresentare un dialogo interno che, per ragioni geopolitiche, deve essere discusso: capire se il riconoscimento avverrà nei prossimi cinque anni o meno, o almeno chiarire le posizioni", spiega Hoxhaj, aggiungendo che alla Serbia dovrebbe essere data una tempistica per l'adesione, a condizione che dimostri un comportamento costruttivo.
Anche l'analista politico Agon Maliqi di Pristina considera la nomina di Sorensen uno slancio positivo. Secondo Maliqi, questa mossa dell'UE aiuta a creare fiducia nel mediatore, ma il problema principale rimane il contenuto invariato del dialogo e le dinamiche politiche in Kosovo, in Serbia e nella più ampia comunità internazionale.
"Attualmente, Sorensen è come una pistola senza proiettili: finché la situazione con il nuovo governo in Kosovo non sarà completamente chiarita, finché non vedremo se la Serbia tornerà alle elezioni, cosa accadrà con le elezioni in Germania e come gli Stati Uniti vedono specificamente la regione, non credo che ci sia alcun impulso significativo che potrebbe derivare dal mediatore, fatta eccezione per alcuni incontri occasionali per dimostrare che il processo è ancora in corso o alcune discussioni su questioni tecniche", afferma Maliqi.
Come Hoxhaj, anche Maliqi valuta positivamente il fatto che Sorensen e Kallas provengano da paesi che riconoscono l'indipendenza del Kosovo, a differenza di Lajčák e del suo ex superiore, Josep Borrell.
Chi è Sorensen?
Sorensen è un diplomatico con una vasta esperienza nelle strutture dell'UE. Prima di essere incaricato del ruolo di inviato per il dialogo Kosovo-Serbia, il suo incarico più recente è stato quello di Senior Advisor on Digital Diplomacy presso il Servizio per l'azione esterna dell'UE.
Nel corso della sua carriera, Sorensen ha ricoperto vari ruoli nei Balcani occidentali. Ha prestato servizio come rappresentante speciale UE e capo della delegazione in Bosnia Erzegovina. È stato anche ambasciatore UE e capo della delegazione a Skopje e capo della delegazione UE a Ginevra.
In precedenza, Sorensen ha lavorato come consigliere in Kosovo all'interno della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK) ed è stato anche rappresentante speciale dell'Alto rappresentante dell'UE in Serbia.
Nella regione dei Balcani, ha anche lavorato all'interno della missione dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) in Croazia.
Un potenziale contendente per la sua posizione è stato l'ex ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto, mentre l'anno scorso era stato menzionato il nome dell'ex presidente e primo ministro sloveno Borut Pahor. Tuttavia, Pahor ha dichiarato quest'anno che non si sarebbe candidato, dopo aver compreso che il ruolo richiedeva più un profilo diplomatico che politico.
Successi e fallimenti di Lajčák
Durante la mediazione di Lajčák, il Kosovo e la Serbia hanno raggiunto l'Accordo di base sul percorso verso la normalizzazione a febbraio 2023 a Bruxelles, seguito da un accordo allegato di attuazione a marzo a Ohrid.
Tuttavia, nei due anni successivi, il diplomatico slovacco non è riuscito a portare le parti a rispettare i propri impegni. Il governo del Kosovo, guidato da Albin Kurti, ha ripetutamente criticato Lajčák.
Secondo l'analista Agon Maliqi, l'approccio di Lajčák, a suo avviso sbilanciato, è stato un fattore importante nella stagnazione del processo.
"Fin dall'inizio, anche quando noi della società civile abbiamo sollevato preoccupazioni sul fatto che non fosse la persona più adatta per questa posizione, Lajčák ha dimostrato l'asimmetria dell'UE nel suo approccio alle parti. Tuttavia, non penso che il problema fosse solo Lajčák, perché il rappresentante UE era semplicemente il volto del processo. Non dimentichiamo che Lajčák aveva il pieno sostegno di Germania e Francia, ed è facile dire che è l'unico da biasimare. Nelle sue azioni, ha avuto il sostegno di paesi chiave", sottolinea Maliqi.
Il professor Hoxhaj, ragionando sulla stagnazione del dialogo, sostiene che molte delle posizioni di Lajčák sono state percepite come favorevoli alla Serbia.
"La sua mancanza di trasparenza ha reso molto difficile per il Kosovo, in particolare, avere fiducia in lui e nel processo in generale, nonostante i decisori politici europei continuassero a sostenerlo", conclude Hoxhaj.
Lo stato attuale del dialogo
La principale situazione di stallo nel dialogo deriva dai disaccordi tra le parti su come implementare l'Accordo di base.
La Serbia insiste sul fatto che l'implementazione dovrebbe iniziare dall'articolo 7, che prevede un livello appropriato di autogestione per la comunità serba in Kosovo, in linea con i precedenti accordi raggiunti nell'ambito del dialogo. Uno di questi è l'istituzione dell'Associazione dei comuni a maggioranza serba.
Tuttavia, il governo del Kosovo si oppone fermamente a questo approccio, sostenendo che tutti gli accordi precedenti devono essere implementati simultaneamente, piuttosto che dare priorità ad uno rispetto agli altri.
L'accordo di base, concordato nel 2023, non contiene le firme dei due leader, Albin Kurti e Aleksandar Vučić.
Sin dalla sua negoziazione, il primo ministro kosovaro Kurti ha insistito sulla firma dell'accordo, sostenendo che ciò avrebbe fornito la garanzia necessaria per la sua attuazione da parte della Serbia. Tuttavia, il presidente serbo Vučić si rifiuta di farlo.
A dicembre 2023, l'ex primo ministro serbo Ana Brnabić ha presentato una lettera a Bruxelles, confermando pubblicamente che la Serbia non attuerà alcune disposizioni dell'accordo, in particolare quelle che implicano il riconoscimento di fatto dell'indipendenza del Kosovo.
Tuttavia, l'UE considera l'accordo giuridicamente vincolante nella sua forma attuale. La sua attuazione è stata chiaramente identificata dai massimi funzionari dell'UE come un prerequisito per l'avanzamento del processo di integrazione UE sia del Kosovo che della Serbia.
Da un anno e mezzo, il Kosovo è sottoposto a sanzioni da parte di Bruxelles a causa delle azioni del governo Kurti volte ad affermare la sovranità e a far rispettare lo stato di diritto in quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba, rimaste di fatto fuori dal controllo di Pristina dopo la fine della guerra del 1999 e segnate dalla presenza di criminalità organizzata.
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