
Un angolo del museo di Avdarma, Gagauzia, Moldova (foto F. Brusa)
Le riflessioni sul passato riflettono le questioni aperte nel presente: una considerazione che vale anche per la memoria della carestia del 1946-47 in Moldova, paese segnato da progetti nazionali contrastanti. Seconda puntata del nostro reportage
Sulla scrivania di Larisa Turea, giornalista e scrittrice, si accumulano le diverse edizioni del suo libro sulla carestia del ‘46 -‘47. Quello che si nota a prima vista è come, col passare degli anni, aumenti anche la dimensione dei volumi: nuove pagine che corrispondono a nuove testimonianze, storie e biografie che erano ancora in attesa di essere scoperte.
“Ogni volta che mi sposto per degli incontri o per delle premiazioni, si fanno avanti persone che hanno vissuto quell’evento”, racconta nel suo ufficio presso l’archivio audiovisuale della Moldova. “Per certi versi è sorprendente: quando ho iniziato a occuparmi in maniera autonoma di questo tema, non pensavo neanche si sarebbe arrivati a una pubblicazione”.
Figlia di una coppia di insegnanti di villaggio deportati poco dopo la seconda guerra mondiale, Turea spiega di essere cresciuta con una sensazione costante di dubbio, di fatica nel comprendere alcune dinamiche. Così, per quanto le era possibile durante il periodo sovietico, ha iniziato a raccogliere documenti e resoconti: quando le capitava di muoversi di località in località per coprire notizie da giornalista, parallelamente cercava testimonianze sulla grande carestia che aveva colpito la popolazione moldava nel ‘46 -‘47, arrivando a uccidere almeno 135mila persone.
In questo modo è nato Carta foametei (“Lettere dalla carestia”), giunto alla quinta edizione e di recente diventato anche uno spettacolo teatrale. “Si tratta di un argomento che suscita sempre forti emozioni”, chiosa Turea. “Per questo credo che vada approcciato con delicatezza, senza retorica o grandi proclami. Non tutti, tra l’altro, sono favorevoli a ricordare un tale episodio del nostro passato”.
Diversi progetti nazionali
È luogo comune considerare la repubblica moldava una terra di confine, una “cerniera” fra due mondi spesso in competizione fra loro: lingua russa e lingua romena, alfabeto cirillico e caratteri latini, un est sempre più rappresentato dall’espansionismo di Mosca e un ovest lungamente vissuto come promessa di integrazione nell’Unione Europea o, più ampiamente, nell’ordine politico ed economico di stampo euroatlantico.
Di certo, le diverse fasi storiche che si sono avvicendate nella regione (regno di Romania, impero zarista, influenze ottomane e bulgare, Unione Sovietica) hanno lasciato tracce durature nella società: in un’area abitata da meno di tre milioni di persone, l’alto pluralismo etno-culturale si mescola con la questione irrisolta dello stato indipendente de facto della Transnistria e con le complessità amministrative della regione autonoma della Gagauzia.
“Negli ultimi duecento anni in Moldova si sono scontrati e intersecati due diversi progetti nazionali”, riassume il direttore del Centro Nazionale degli Archivi Igor Cașu. “Questo ha portato alla persistenza di una “doppia identità”: anche le élite nazionali che sono state attive nei primi decenni dell’ottocento avevano elaborato una concezione patriottica della Moldova ma al tempo stesso si esprimevano in russo ed erano influenzate da una mentalità imperiale.
Una situazione simile a quella di oggi, in cui la maggioranza della popolazione è d’accordo con il recupero dell’elemento romeno nella nostra lingua e nella nostra cultura ma deve fare i conti con l’essere cresciuta ed essere stata socializzata nel contesto sovietico, in cui predominavano altri elementi”.
Forse, e per quanto il voto sia sempre influenzato da molteplici fattori, è ciò che raccontano anche i risultati del referendum sull’ingresso in Unione Europea tenutosi lo scorso ottobre in Moldova, che ha restituito l’immagine di un paese profondamente spaccato sulla questione (il “sì” ha vinto con un risicatissimo 51%) ma soprattutto divisi per orientamento lungo linee geografiche e territoriali: la diaspora europea e americana si è espressa con oltre il 70% delle preferenze a favore, mentre più del 90% degli abitanti della regione autonoma della Gagauzia ha optato per il “no”.
Le diverse percezioni del proprio passato sembrano influenzare i modi con cui si guarda al futuro, dentro un presente che ancora vede divisa la scena politica fra forze e partiti che, più o meno esplicitamente, si dichiarano “filo-europei” o “filo-russi”.
Traumi del passato e del presente
“Credo che non consideriamo a sufficienza il fatto che una buona fetta di società vive in una condizione di stress post-traumatico”, suggerisce Larisa Turea, con riferimenti alla repressioni dell’epoca sovietica e in particolare alla carestia del ‘46 -‘47.
“Oltre all’esigenza di ricordare, c’è da parte di molti anche il desiderio di reprimere la memoria, di fare in modo che non si evochino dolori passati. Inoltre, si aggiunge il tabù che persiste rispetto ai crimini avvenuti nel dopoguerra. Insomma, a mio modo di vedere, occorre procedere con una certa delicatezza e, soprattutto, penso che sia meglio concentrarsi sui dettagli e sulle biografie personali piuttosto che insistere su un solo paradigma storico che valga per tutti”.
Secondo l’autrice di Carta foametei, per esempio, in Moldova sarebbe impensabile un processo analogo a quello che è avvenuto nella vicina Ucraina con l’Holodomor, tragedia che (non senza controversie) è passata a essere da un certo punto in poi un elemento fondante della nuova identità nazionale dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
È vero, però, che l’attualità sta rimescolando le carte: lo shock provocato dall’invasione russa di tre anni fa ha riportato allo scoperto, in molti dei paesi che si sono resi indipendenti da Mosca durante gli anni ‘90, reciproci rancori e ferite non del tutto rimarginate.
La decisione del governo Sandu di istituire una giornata ufficiale di commemorazione per la carestia del ‘46 -‘47 è figlia di un tale contesto, e risponde anche alla volontà di accelerare il processo di “distacco” della Moldova dal passato sovietico.
“Bisogna considerare che per anni non era disponibile alcun dato o alcune ricerca sulla carestia, si tratta di un evento che, come altri relativi a quel periodo, era stato cancellato dalla memoria collettiva”, aggiunge lo storico Artur Leșcu.
“Il problema è che in tanti pensano che ricordare episodi come questo significhi dare un giudizio definitivo su un’intera epoca storica, oppure addirittura implichi la volontà di punire un intero popolo. No, si sta solo facendo presente che sono avvenute determinate cose e che la classe dirigente che si trovava al governo ha avuto specifiche responsabilità in quello che è successo. Sono sicuro che, gradualmente, la nostra società riuscirà a costruirsi uno spirito critico e a guardare senza paura al proprio passato”.
Vai alla prima puntata del reportage Moldova, la fame e la memoria
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