di Diana Temporin, Liceo Scientifico Statale "M.Buonarroti", Monfalcone
"Ahimè, un uomo a che deve aspirare?
E' meglio che si tenga in disparte?
Che si sostenga aggrappandosi forte?
E' meglio che sproni se stesso?
Deve costruirsi la sua casetta?
Deve vivere sotto una tenda?
Deve fidarsi delle rocce?
Ma può tremare anche la roccia più salda."
E' un Lieder di Goethe del 1776, una riflessione sugli insistenti interrogativi dell'animo umano sospeso e combattuto fra desiderio di sicurezza e la spinta al divenire, la voglia di trovare il proprio rifugio e la avvilente consapevolezza che poco attorno a se' è eterno.
Come se tutta la nostra vita fosse un viaggio alla ricerca di un posto dove poter vivere indisturbati, sicuri della propria identità e possessori della realtà che giorno dopo giorno cerchiamo di creare attorno a noi e che chiamiamo normalità.
Una famiglia, un lavoro, l'appartenenza ad un luogo, sono i salvagenti a cui ci appigliamo nel mare del continuo cambiamento e dell'instabilità, interiore ma anche esteriore, di un mondo che apre i suoi confini.
Esiste l'Ulisse, curioso di sapere che cosa c'è al di là, colui che parte, affronta le difficoltà, la diversità non lo impaurisce, anzi se ne spinge dentro fin quasi a perdersi, facendosi sedurre da Circe, la novità. Ne esce però con una consapevolezza sempre più forte di ciò che è, e proprio per questo può tornare ad Itaca. Per....ripartire.
L'Ulisse è l'individuo forte della sua identità. Osa sporgersi dalla finestra del proprio rifugio e ne esce fuori, assaporando l'aria nuova del diverso. Ne è talmente incuriosito che talvolta dimentica perfino le sue origini, inebriato dalla novità. Nonostante questo, ha bisogno di tornare, per ricominciare dovrà pure ripartire dal suo porto.
Esiste poi l'individuo che teme, preferisce non confrontarsi piuttosto che mettersi in discussione. E' il prigioniero in una gabbia d'oro: la sua normalità. Rimane ad adularsi nei suoi pregiudizi che lo vedono sempre al centro, sempre il migliore. Nasconde la paura negli elogi a se stesso e mura la finestra da cui l'Ulisse si sporge.
Infine il viaggiatore sereno, ha consapevolezza di se' e un mondo così tanto radicato in lui che si proietta esternamente e ne guida l'azione. Riconosce il suo cielo in qualunque posto egli si trovi, nell'aria del nuovo sente ancora il profumo di casa. A qualunque luogo tenda è già arrivato perché è tutto dentro di sé, gli basta portare se stesso.
In realtà nessuno è soltanto Ulisse, o prigioniero o viaggiatore sereno. In noi questi personaggi si mescolano, sgomitano per prendere più spazio sugli altri .
Storie di coniugi dalle differenti nazionalità che impongono ai loro figli di vedere i programmi della tv del loro stato di appartenenza e li ammoniscono di non dimenticare una lingua piuttosto che l'altra. In questi casi è l'Ulisse a stare in una gabbia d'oro.
Per quanti confini esistano sulla terra, fra uno stato e l'altro, non c è barriera più invalicabile e indistruttibile del confine interiore, il limite interiore.
A poco serve sognare unioni di stati se ognuno di noi dentro di sé è un labirinto di muri e non c è spazio per la condivisione, non c è spazio per la soglia, il luogo dell'indefinito, la terra di nessuno e della conoscenza.
Ancora una volta però emergono gli interrogativi, proprio come quelli del Lieder di Goethe: ci si può confrontare perché si ha un'identità o l'identità si costruisce con il confronto?
E' l'ambiguità dell'umano agire che nella sua valigia porta confini ancora insuperati.
Il giovane si trova in una condizione ancora più strana ed enigmatica. Sta formando la sua identità, cerca all'esterno gli elementi per costruirla e può essere aperto al dialogo con il giovane straniero oppure legarsi agli atavici ricordi storici che non gli appartengono.
E' pericolosa la memoria se non viene rielaborata ma lasciata allo stato di emotività dirompente. Succede dunque che anche il giovane si rende portavoce di ricordi di divisione e scontro fra popoli, radicate in lui da genitori o nonni. E diviene il prigioniero di una gabbia che nemmeno conosce.
Più il mondo cambia e più difficile diventa trovare le risposte da darsi, forse il primo passo da fare nel lungo viaggio non è verso un luogo lontano ma prima di partire fare una lunga tappa in se stessi. Abbattere il confine che impedisce di comprenderci, avere la forza di mettersi in discussione, non murare la finestra ma nemmeno gettarvisi, uscire invece dalla porta , guardare il propri rifugio, immortalarlo e poi volgere lo sguardo al di fuori.
Ricorderemo così sempre da dove siamo partiti e potremo in ogni momento ritrovare la strada di casa.
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