GIANLUCA AMADORI Componente del Comitato Esecutivo del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti

GIANLUCA AMADORI Componente del Comitato Esecutivo del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti

Media-Democracy Nexus in the European Space

17 Ottobre Roma

GIANLUCA AMADORI Componente del Comitato Esecutivo del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti

24/10/2023 -  Gianluca Amadri

La legislazione europea può essere di supporto per affrontare le numerose problematiche inerenti la libertà di stampa in Italia. Da poco il ParlamentoEuropeo ha votato il Media Freedom Act, un provvedimento che riteniamo complessivamente positivo anche se con alcuni aspetti che andrebbero rafforzati. C’è invece il rischio che la versione definitiva che uscirà dal confronto Parlamento – Commissione – Consiglio possa essere peggiorata. Il primo pensiero va innanzitutto all’uso degli spyware contro i giornalisti. 

Discorso analogo vale per la proposta di direttiva sulle SLAPP: i buoni principi sono molti, ma ancora troppa poca operatività e il rischio di un indebolimento del provvedimento. In Italia il problema della legge sulla diffamazione è serio, ma sul codice penale le norme europee non intervengono, così come – da quanto risulta - l’intervento normativo sulle SLAPP civili (risarcimenti danni) sembra limitato solo alle cause transnazionali.

Bene l’affermazione di punti di riferimento e l’invito agli Stati ad agire a tutela dei giornalisti: la vera questione resta come trasformare gli inviti in norme vincolanti. E su questo fronte ancora non ci siamo. Un altro tema, non affrontato dai provvedimenti in oggetto, dovrebbe essere messo al più presto all'ordine del giorno della discussione pubblica: quello relativo alla dignitosa retribuzione dei giornalisti

In Italia lo sfruttamento dei professionisti dell'informazione ha raggiunto livelli vergognosi, nel silenzio totale: 5 euro per un articolo, che possono diventare anche 2 se destinato ad un sito. Come si può discutere di libertà dell'informazione, di indipendenza dei giornalisti di fronte a compensi di questo tipo?

Ogni norma per difendere il diritto ad un equo compenso nel settore giornalistico è abortita per colpa dell'opposizione degli editori: per questo serve una mobilitazione, che dovrebbe coinvolgere tutta la società civile. 

Ne va del diritto dei cittadini ad essere informati.

Tornando all'European Media Freedom Act, aggiungo qualche riflessione:

 

TRASPARENZA

Di rilievo l'articolo 6 che impone ai fornitori di servizi di media l'obbligo di rendere palesi “il nome o i nomi del proprietario o dei proprietari diretti o indiretti con partecipazioni azionarie che consentono loro di esercitare un'influenza sulle attività e sul processo decisionale strategico”.

L'articolo 24 introduce sistemi di trasparenza che potrebbero migliorare in modo considerevole l'attuale sistema di pubblicità statale (state advertising) in Italia.

Gli unici dati oggi resi pubblici dalle autorità riguardano i contributi per l'editoria, erogati sulla base di regole definite e la redazione di apposite graduatorie. Nulla si sa, invece, in merito agli ingenti importi relativi a campagne pubblicitarie o informative, né in merito ai criteri in base ai quali le risorse di enti e società pubbliche vengono in un determinato servizio media per finanziare tali campagne.

E' un peccato che l'EMFA fissi il limite di un milione di abitanti per far scattare l'obbligo di comunicazione a carico delle amministrazioni locali, lasciando libere le altre di continuare con una gestione priva di trasparenza.

 

INTERCETTAZIONI

Attualmente in Italia non vige alcun divieto di intercettare i giornalisti, né di perquisirli o di sequestrare loro cellulari e agende.

L'articolo 4 dell'EMFA costituisce dunque una novità importante per la salvaguardia del lavoro giornalistico e, con particolare riferimento alla tutela delle fonti giornalistiche, anche se consente l'utilizzo di spyware nel caso di indagini per reati di estrema gravità.

Da anni il Italia è in corso un dibattito sull'utilizzo (o meglio sulla limitazione nell'utilizzo) delle intercettazioni nelle indagini penali, ma mai è stato affrontata la questione della garanzia della libertà di stampa: la politica italiana,è evidente, sembra più interessata a limitare il ricorso alle intercettazioni per ridurre il numero di possibili casi di corruzione e reati simili.

E soprattutto per evitare che i contenuti dei colloqui intercettati finiscano sui giornali: in particolare quelli che potrebbero risultare scomodo a qualche potente di turno. In questa direzione sembrano destinate a dirigersi anche le ultime norme volute dal governo, mentre in Parlamento è ripresa la discussione per riformare la legge sulla diffamazione, aumentando in maniera esorbitante le pene pecuniarie: da 10mila a 50mila euro, oltre al risarcimento danni.

 

SERVIZIO PUBBLICO

Da anni in Italia è in uso il sistema del cosiddetto “spoiling system” nelle aziende del servizio pubblico informativo. Manager e vertici giornalistici vengono puntualmente cambiati non appena si insedia un nuovo governo, come se l'informazione dovesse essere patrimonio di chi gestisce il potere (con la necessità di piazzare al vertice persone di fiducia, o peggio agli ordini dei politici).

Se lo “spoiling system” può valere per un ministero o per un'azienda di Stato, sicuramente non vale per i media del servizio pubblico, la cui finalità non è quella di compiacere il governante di turno, ma di informare i cittadini nel modo più completo e autonomo possibile, nell'esercizio di un diritto costituzionalmente riconosciuto. Eppure nessuno protesta per quanto accade da sempre, ad ogni cambio di governo, di ogni colore. 

Le garanzie introdotte dall'articolo 5 dell'EMFA potrebbero contribuire ad aumentare l'indipendenza dei giornalisti che lavorano per il servizio pubblico.

Altre criticità che è doveroso segnalare in un dibattito sulla libertà di stampa, riguardano i crescenti ostacoli frapposti all'esercizio dell'attività giornalistica da alcune recenti normative nazionali.

 

ACCESSO ALLE FONTI E AGLI ATTI

In Italia è sempre più difficile avere un accesso diretto. Quasi sempre l'accesso è mediato attraverso uffici stampa, comunicati e conferenze stampa nelle quali vi è scarsa possibilità di rivolgere domande e raramente viene fornita la documentazione.

Ai giornalisti viene difficilmente concesso l'accesso nelle sedi degli enti pubblici (ministeri, comuni, regioni, questure) se non per accedere a conferenze stampa.

Esiste una normativa sull'accesso agli atti, molto spesso disattesa: il rifiuto nel fornire dati di interesse pubblico viene motivato appellandosi in maniera impropria alla legge sulla privacy, anche quando i dati richiesti riguardano enti e soggetti pubblici nonché temi di rilevante interesse.

 

PRESUNZIONE D'INNOCENZA E DIRITTO ALL'OBLIO

Preoccupazione suscita, inoltre, l'entrata in vigore e l'impropria applicazione in Italia di due norme con cui sono state recepite direttive europee in modo esorbitante 

La recente normativa sulla presunzione di innocenza (D.Lgs n. 188/2021) ha introdotto limitazioni ingiustificate e viene applicata in modo ingiustificatamente rigido da molte Procure e organi di polizia, in difformità con quanto previsto dalla europea sulla presunzione d'innocenza, e ancor di più rispetto alla giurisprudenza costante della Cedu in materia di libertà di stampa.

I giornalisti non contestano il diritto costituzionale alla presunzione d'innocenza, ma denunciano le crescenti criticità nell’accesso alle fonti relative a notizie di carattere giudiziario (operazioni di polizia, indagini, e più banalmente eventi di cronaca come gli incidenti stradali). I comunicati stampa

sono quasi sempre talmente vaghi da non consentire nessun tipo di verifica sulle notizie diffuse; i nomi non vengono più forniti, seppure la normativa europea non lo vieti, in quanto impone semplicemente di non indicare come colpevole una persona prima della condanna, specificando quale sia la fase processuali.

Preoccupazione nel mondo dell'informazione viene suscitata anche dalla più recente normativa relativa al diritto all'oblio (Legge n. 134/2021, entrata in vigore il 19/10/2021).

Il diritto all'oblio, ovvero il diritto del cittadino di non vedersi esposto per sempre sui media, è regolato dall'articolo 17 del GDPR - Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE/2016/679), e da anni fa parte del bagaglio deontologico della professione (art 3 testo unico dei doveri del giornalista). 

L'importante principio di civiltà e tutela della dignità delle persone è dunque patrimonio consolidato per i giornalisti che non lo mettono di certo in discussione, e anzi lo applicano da anni, rispondendo alle sempre più numerose istanze presentate dai cittadini.

Le preoccupazioni riguardano l'introduzione di un inaccettabile automatismo per ottenere la deindicizzazione (e addirittura per impedire l'indicizzazione) di notizie riguardanti persone prosciolte o assolte, e i soggetti la cui posizione sia stata archiviata a conclusione di un procedimento giudiziario. 

La legge prevede che, su richiesta dell'interessato, sia la cancelleria del tribunale (non il giudice) ad apporre in calce alla sentenza una postilla in base alla quale ottenere la deindicizzazione.

Quanto alla preclusione all’indicizzazione, finalizzata ad impedire l’uscita di notizie mai apparse fino a quel momento, ha poco ha a che fare con il diritto all’oblio, che riguarda ovviamente episodi di cui si è avuta notizia, non potendo essere coperto da oblio ciò che è sempre stato sconosciuto.

La finalità della norma appare evidente: limitare il più possibile l'informazione: per garantire la dignità delle persone, sarebbe stato più corretto imporre un obbligo di aggiornamento delle notizie, in modo da offrire ai cittadini un quadro corretto e completo dei fatti giudiziari. Fermo restando il diritto all'oblio per i fatti meno importanti.


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