Jens Woelk è professore di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento e ricercatore presso l'Istituto per lo Studio del Federalismo e del Regionalismo dell'Accademia europea di Bolzano. Nella sua attività di ricerca si occupa principalmente di federalismo, regionalismo e diritto delle autonomie, tutela delle minoranze, diritto costituzionale comparato e dell’Unione europea, processi di trasformazione nell'area dell'Europa sud-orientale.
“Fu a Sarajevo, nell'estate del 1914, che l'Europa entrò nel secolo della pazzia e dell'autodistruzione. [...] È a Sarajevo, nell'estate del 2014, che l'Europa dovrebbe dimostrare che è iniziato un nuovo secolo europeo”1
Dopo l’assenza di qualsiasi strategia europea durante le guerre degli anni ‘90 e dopo l’atteggiamento passivo degli anni successivi, con l’inizio del Processo di Stabilizzazione e di Associazione e il vertice di Salonicco nel 2003 la prospettiva dell’adesione all’Ue è diventata concreta per i Balcani Occidentali e ha contribuito a cambiamenti positivi nei paesi dell’area. Oggi il rischio maggiore deriva dalla “fatica di allargamento” della stessa Unione Europea che potrebbe mettere un freno al processo di avvicinamento in atto.
Ma i Balcani sono pronti all’inclusione? L’area è caratterizzata da forti diversità al suo interno (come la stessa Europa) portando al noto dilemma di bilanciare fra il metodo del “convoglio” e quello della “regata”: mentre il primo favorisce la necessaria collaborazione interregionale, ma comporta dei rallentamenti per i più avanzati (in particolare per la Croazia), il secondo è più competitivo, ma può impedire la collaborazione e far dimenticare i problemi specifici di alcuni (in particolare Bosnia e Kosovo). Tuttavia, l’attuale processo di assistenza tecnica e finanziaria e di puntuale verifica del progresso nelle condizioni per l’adesione necessita di un nuovo slancio politico per portare all’obiettivo dichiarato.
Con una data simbolica e suggestiva, il 2014 sembra offrire la migliore occasione per un rilancio politico dell’intero processo, come auspicato già cinque anni fa da Giuliano Amato, Presidente della commissione internazionale per i Balcani. Una data può muovere energie: ricordiamo il completamento del mercato interno nel 1992. Sia la data del 2014 sia l’inclusione dei Balcani occidentali sono direttamente legati all’idea fondamentale del progetto di integrazione europea: pace e ricostruzione, integrazione e condivisione per creare benessere e maggiori opportunità per tutti. Contrariamente agli inizi dell’integrazione europea sembra però che oggi i cittadini dei paesi balcanici siano più avanti dei loro rappresentanti politici, spesso resistenti a riforme e cambiamenti e piuttosto interessati a mantenere lo status quo. Ma per superare questo atteggiamento frenante servono obbiettivi chiari che portano a vantaggi concreti per i cittadini, come dimostra la liberalizzazione dei visti che bene ha funzionato come catalizzatore.
E noi, l’Unione Europea, siamo pronti? La nostra reazione ci rivela molto sullo stato dell’Unione stessa. La mancanza di una politica economica comune, il più grande deficit nella crisi greca e dell’Euro, dimostra che siamo già troppo integrati per permetterci un deficit nelle capacità di azione strategica. Con il Trattato di Lisbona la politica estera comune (ora “azione esterna” che include l’allargamento) nonché lo spazio per la libertà, la sicurezza e la giustizia sono le nuove sfide strategiche per l’Ue. Possiamo permetterci di tenere a distanza un’area piccola (con meno abitanti della Romania) circondata da stati membri? Un rilancio politico è anche l’unica chance per risolvere spinose questioni irrisolte, come la controversia sul nome della Macedonia e quella sull’indipendenza del Kosovo che divide al suo interno anche l’Ue: includendo insieme Serbia e Kosovo, con uno status differenziato per quest’ultimo, si potrebbe ridimensionare il problema della sua indipendenza (magari riprendendo, in chiave diversa, l’idea della “Regione europea” proposta dallo stesso Osservatorio anni fa).
Dobbiamo dimostrare coraggio per uscire dalla crisi e passare all’azione. Non possiamo permetterci di escludere i Balcani: né per loro, né per noi. E per includerli dobbiamo essere decisi e veloci. Il 2014 è dietro l’angolo.
Note:
1 International Commission on the Balkans, The Balkans in Europe’s Future (April 2005), p. 6
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