Una “breve storia sentimentale” è come un piatto messo insieme per gli amici. Sai com’è, quando capita che ti bussino alla porta, in un’ora improbabile, e ti chiedano di restare. Perché è bello ascoltare assieme il tempo che passa leggero, su di una tavola fiorita: “Fai tu. Senza disturbarti troppo eh? Quello che hai in dispensa”. Ecco. È proprio quello che ho fatto. Ho imbastito la narrazione proprio con quello che ho trovato: frammenti di memoria, appunti di viaggio, storie messe da parte per anni e sentieri di ricerca abbozzati, mai conclusi. Lo so bene che una “storia sentimentale” non ha il dovere di dimostrare nulla a nessuno. Si è infilata da qualche parte, nelle pieghe dell’anima. Basta andare a cercarla. Quello che trovi lo butti in pentola, così come sta, e lo cucini per gli amici. Il tempo di accendere un fuoco, di lasciare che il condimento sfrigoli un po’ ed è fatta. Quello che conta, in fin dei conti, non è tanto quello che finisce nel piatto, ma il piacere di condividerlo con chi ci sta a cuore. E a fegato, evidentemente. Per me i Balcani sono una condizione profonda del mio esistere. Li frequento da sempre, da quando ne ho memoria. Ho un’immagine della Neretva che corre veloce e chiarissima sotto lo Stari Most. Avevo sì e no dieci anni. E una casa di pietra, tra i boschi dell’Anatolia, nel momento in cui ho capito di essere diventato un uomo. Si può dire che ci sono cresciuto dentro, queste sensazioni. La vertigine sul ponte. Il susino della casa carsolina in cui è cresciuto mio padre. I profumi, le risate, le sbornie. La musica che scoppia dentro alla gola quando non ne puoi più di bere, e vorresti solamente cantare, e amare, e addormentarti sfinito sull’erba, in un abbraccio. Non so dove, in un punto imprecisato tra Rateče e le montagne della Bulgaria. Un libro così si scrive perché si è matti. O perché la ventresca è così umida di rakija che devi pur lasciarla svaporare con la scrittura! Ed è quello che ho fatto. Ho stappato una bottiglia, ho acceso un mezzo toscano e ho cominciato a scrivere. Di donne e di miti. Di battaglie e di canti. Di nostalgie, soprattutto. E di occhi che ho incontrato. Di labbra che ho baciato. Fantasmi e utopie. Di questo è fatta la Storia, no? E quella dei Balcani anche di più. E allora buon appetito. O buona lettura. O fate voi. Purché sia alla mia e alla vostra salute.
ANGELO FLORAMO Nato a Udine nel 1966, insegna Storia e Letteratura al Magrini Marchetti di Gemona ed è ancora convinto che malgrado tutto sia il mestiere più bello del mondo. Medievista per formazione, ha pubblicato molti saggi e articoli specialistici, collabora con diverse riviste nazionali ed estere; dal 2012 collabora con la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli in veste di consulente scientifico. Per BEE ha pubblicato Guarneriana Segreta (nuova edizione aggiornata nel 2021, finalista al premio Latisana Nordest), L’osteria dei passi perduti (6 edizioni), La veglia di Ljuba (5 edizioni, Premio Palmastoria come miglior romanzo storico), Il fiume a bordo (3 edizioni), Come papaveri rossi (2 edizioni, Premio Fiuggi Storia), Vino e libertà (3 edizioni, selezione Premio Vermentino) e Breve storia sentimentale dei Balcani (2024). A gennaio 2024 è stato insignito del Premio Nonino Risit d’Aur.