Un diario di viaggio emotivo che racconta la dissoluzione di una famiglia e di un paese, l’ex Jugoslavia, la ricerca interiore della protagonista e la rivendicazione della propria identità.
Sua madre è morta a ventidue anni, quando Lejla ne aveva due. Sulla scena sono rimasti suo padre, i quattro nonni, e una Sarajevo bucolica e misteriosa. Ma suo padre passa le notti in osteria, i nonni invecchiano, e il paese in cui Lejla è nata all’improvviso si dissolve. La guerra è raccontata con gli occhi di una ragazzina, nell’impossibilità di tracciare una linea netta tra le parti, poiché lei stessa è figlia di un matrimonio misto, un’anomalia in un mondo improvvisamente ossessionato dalle identità. E la pace, quando arriva, non è che un’inquilina imbrogliona e inadempiente. Attorno a Lejla le figure importanti si spengono una alla volta, lasciandola in balia di un compito difficile da apprendere, l’arte di perdere. È una caduta a corpo libero: perdere le persone, le case, i luoghi e infine ritrovarsi sul fondo, disorientata, sola e spezzata in un ospedale psichiatrico. La risalita è un percorso a ostacoli in cui l’incontro con una ragazza, la scoperta dell’amore, è un faro e un terremoto, un ponte gettato sull’abisso – un dito che passa sulla cicatrice che non sanguina più, una risata che risuona sulla lapide e libera di tutte le lacrime non piante.
In ventidue racconti composti in un unico flusso narrativo, Lejla Kalamujić sviscera intimità, ricordi e conflitti di una figlia alle prese con il fantasma della madre, tra voli di colombe, conversazioni immaginarie con scrittori, esìli e ritorni, sullo sfondo di un paese lacerato dalla guerra.
Lejla Kalamujić (Sarajevo, 1980) è autrice di due raccolte di racconti e della pièce teatrale Ljudožderka, oltre che di numerosi racconti premiati in vari concorsi letterari. Chiamatemi Esteban ha vinto il premio Edo Budiša organizzato dalla Regione istriana, è stato selezionato per il Premio Letterario Europeo e tradotto negli Stati Uniti, in Germania, Francia, Polonia e altri paesi.