31 gennaio 2013
Rivista trimestrale
anno di pubblicazione: 2012
numero 114 dedicato ai Balcani
editore: Associazione culturale Lettera Internazionale
prezzo: 12 euro
L´Europa fuori d´Europa
n. 114, IV trimestre 2012
Editoriale
di Biancamaria Bruno
Cari amici, cari lettori, sappiamo che la Storia percorre gli stessi cammini della Geografia, il che non vuol dire identità tra le due discipline, identità tra tempo e spazio. Noi però tendiamo a credere che il modo in cui vediamo il mondo oggi sia lo stesso che avevano gli esseri umani del passato e soprattutto applichiamo alle cose del mondo un determinismo che ad esse non appartiene, stilando graduatorie contraddistinte sempre dallo stesso vizio di visione. Facciamo fatica a saltare sul tappeto volante dello spaziotempo. Preferiamo restare fermi e pensare che sia il mondo a girare intorno a noi. Pensiero confortante, certo, ma che si può permettere soltanto chi vive nel Primo Mondo. Chiusi nel nostro continente europeo, non pretendiamo null’altro se non l’impero del mondo, come scriveva nel 1643 Jean Desmarets de Saint-Sorlin, amico e protetto del Cardinale Richelieu. Da allora le cose non sono poi cambiate molto. L’Europa si è dibattuta per secoli tra la pulsione confederativa (vestendo, in passato, i panni ideologici del cristianesimo; ora, quelli economici) e quella nazionalistica – come a dire: o tutti insieme contro il “nemico” o ogni Stato-nazione contro l’altro –, fino a quando non è nata l’Unione Europea, il cui scopo primario era tenere lontana la guerra dal suo territorio. Da questo punto di vista, il progetto è stato un successo, non c’è dubbio. Ma se saliamo sul tappeto volante dello spaziotempo, e se siamo onesti quel tanto che basta, non possiamo negare di aver solo spostato il problema un po’ più in là, oltre i confini europei e al di là del mare, soprattutto dove inizia il territorio sconfinato della frontiera, terreno di conquista e di colonizzazione da parte dei paesi europei. A forza di imporre per il mondo il modello europeo di dominio politico-economico, e soprattutto culturale, frutto di secoli di teoria e di prassi, i “colonizzati” hanno finito con interiorizzare l’“europeità”, sovrapponendola e adattandola alla loro storia e alla loro geografia. I colonizzati, così, hanno esaltato i temi dell’identità, della religione, del nazionalismo e del cesarismo fino al massacro, ripercorrendo le tappe più drammatiche della storia europea dalle Guerre di Religione alla Guerra Fredda. Quando un colonizzato diventa colonizzatore, soprattutto nelle regioni della frontiera europea, lo fa per europeizzarsi, per aderire a quel modello, e quindi per essere da esso accettato, e ciò a scapito della valorizzazione dei propri tratti culturali che magari potrebbero essere messi in circolo per rinnovare la visione del mondo degli europei. Ciò che l’Europa non ha calcolato è che questo modello, che Edward Said ha chiamato Orientalismo e che Marija Todorova chiama Balcanismo, che a vario titolo interessa tutto il Secondo e il Terzo Mondo, ci sta tornando indietro come un boomerang e ci riporta, complice la crisi economica, in uno spaziotempo che sembrava ormai felicemente superato proprio grazie al grande progetto europeo. Ora siamo “noi” a imitare “loro”, rimanendo incartati in un modello antagonistico. E lo slancio verso un futuro europeo confederativo e allargato, non ostile ma empatico, di cui pure tutti i politici a parole sentono la necessità ineluttabile, si è bloccato. Una cosa è certa, e di questo nessun lettore di Lettera Internazionale potrà mai dubitare: della nostra profonda, sincera e appassionata vocazione europeistica. Noi auspichiamo che la nostra Europa riparta, vogliamo che la République des lettres di volterriana memoria si rimetta al lavoro, che gli intellettuali si alzino e gridino a una voce che è la cultura che costruisce la politica, è la cultura che tiene lontane le guerre, che è solo nel dibattito culturale che si può crescere – tutti insieme, per favore. L’economia, per non parlare della finanza, vengono dopo, e i singoli interessi elettorali ancora dopo. È anche giusto spezzare una lancia a favore dell’Italia. Il nostro Paese ha connotati storici tali che la potrebbero posizionare là dove la sua geografia l’ha messa milioni di anni fa. Non ha avuto un impero coloniale degno di questo nome, diversamente dalla gran parte dei paesi europei; è stata invece terra di conquista da parte di europei e di non-europei; è nata tardi come Stato e ancora combatte contro il fatto di non poter contare su uno “spirito nazionale” unitario, paragonabile a quello di altri stati europei. Questi “difetti di fabbricazione” (sempre rispetto al modello europeo) possono – e facciamolo, una volta tanto! – essere volti in positivo e darci la possibilità reale di configurarci come un vero ponte tra le culture che ci circondano, perché in nessun luogo come nel nostro Paese le culture degli “altri” hanno contribuito a formare la nostra. Riprendere il nostro posto di “naturali” mediatori riaffermando la nostra autorevolezza nella politica estera, come fece per esempio Aldo Moro a suo tempo, sarebbe fondamentale, non solo per riaffermare il dialogo tra le culture, ma anche per imparare a trattare i temi dell’immigrazione in maniera più civile. Guardando bene il tappeto di Maurizio Donzelli che abbiamo messo in copertina, potremmo scoprire che quella forma floreale al centro, visibilmente esuberante, siamo noi italiani, e che il fondo su cui sembra arrampicarsi, quasi un muro un po’ screpolato, in realtà è un giardino, lo splendido giardino mediterraneo.
Buon anno e buona cultura a tutti!