12 ottobre 2007
... Il nostro treno avanzava lentamente verso Vladikavkaz, la capitale dell'Ossezia. Ne' la glasnost' ne' l'insolenza del capitalismo avevano sconvolto la vita degli scompartimenti di legno che da decenni rifacevano lo stesso viaggio verso i monti del Caucaso.
A ogni sosta si vedevano vecchi e vecchie precipitarsi verso le banchine per vendere ai passeggeri marmellate e pesci di fiume essiccati: è grazie al treno che, da loro, arriva ancora la vita. In Russia, prendere la ferrovia invece dell'aereo significa fare voto di povertà, a meno che non vi sia in alcuni passeggeri la nostalgia incosciente di un senso "collettivo" da ritrovare, non quello mostruoso dei sistemi totalitari ma quello libertario del "mir", le prime comuni rurali dell'antica Moscovia. Ogni vagone è una terra indivisibile e comune a noi tutti, regolata da una provodnica: guardiana del samovar, tenutaria dei bagni, portatrice d'acqua e all'occasione ostetrica, nel caso una donna venisse a partorire tra due città. La nostra conosceva così intimamente la "sua" linea che si diceva avesse posato lei stessa le rotaie...
Lettera dalla Cecenia
Di: di Philippe Bohelay, Olivier Daubard
Edizioni: Libribianchi (2007)
Pagine 96, € 13,00
Traduzione di Raffaella Chelotti