18 luglio 2007
Due libri in uno: il primo, un mosaico di racconti filtrati attraverso gli occhi di un bambino, sfocia direttamente nel secondo, un tormentoso incastro di una ventina di storie di emigrati bosniaci alla deriva, fatto non più "della stoffa dei sogni" ma dalla crudeltà della guerra
Il titolo del romanzo è quello di una canzone sentita per caso alla radio. All'autore la musica evoca di colpo il profumo del mare, dei pini, dell'olio di oliva, e il bisogno di sentirli di nuovo, come in un momento magico dell'infanzia. E all'infanzia si riferisce la prima parte dell'opera, dedicata alle figure, alle storie e ai luoghi familiari - la Dalmazia, Sarajevo...- ma tutti filtrati attraverso lo sguardo e l'ascolto del bambino (l'autore).
Poi viene il dopo, tutto quello che da questi profumi è scomparso, le storie di quelli che la guerra ha perso qua e là, a Zagabria come a Berlino e Toronto. Ricomposti in unità collettiva, in un destino comune, attraverso la secchezza o l'umorismo anche crudele di chi racconta dopo la tragedia.
Due libri in uno: il primo, un mosaico di racconti filtrati attraverso gli occhi di un bambino, sfocia direttamente nel secondo, un tormentoso incastro di una ventina di storie di emigrati bosniaci alla deriva, fatto non più "della stoffa dei sogni" ma dalla crudeltà della guerra, di ogni guerra, e dei suoi "esiti".
La narrazione si svolge in un vorticoso cambio di registri stilistici. Solo apparentemente semplice, questo raccontare ora spiritoso ora doloroso si avvicina in misura sempre maggiore al miglior Ivo Andrić. Come ha scritto Claudio Magris, "nel mondo di Jergović non può certo esserci felicità, eppure paradossalmente la si sente, si sente come essa potrebbe essere vicina, il che rende ancor più feroce la sua impossibilità".
Miljenko Jergović è una delle voci più singolari della nuova letteratura europea: poeta, romanziere, drammaturgo, è nato a Sarajevo nel 1966 e qui ha compiuto i suoi studi, fino al precoce debutto poetico nel 1988. Poi arriva la guerra, l'assedio, la fuga dalla città, la scelta di Zagabria - dal '94 - per vivere e lavorare, la nostalgia che spesso, oggi che può, lo riporta a casa. Queste vicende sono i temi ricorrenti dell'opera che lo rese famoso, che divenne simbolo dell'assedio e del massacro, Le Malboro di Sarajevo. Ad essa seguirono I Karivan, poi Mama Leone (Premio Grinzane Cavour, Sezione narrativa straniera, 2003). Una prova più temeraria è quella affrontata in Hauzmajstor Sulc (Premio Napoli 2005, Sezione poesia internazionale), un poema corale, una sorta di Spoon River balcanica, una voce che raccoglie le tante voci e storie celebrate nella sua città-mito. Con Buick Riviera siamo invece al di là dell'Atlantico, nell'Oregon: anche qui si possono ritrovare esuli nuovi o vecchi dell'"altro mondo", di quella Bosnia lontana.
Mama Leone
di Miljenko Jergović
anno di pubblicazione: 2002
casa editrice:Libri Scheiwiller