15 luglio 2011
di Christopher de Bellaigue
casa editrice: EDT
anno di pubblicazione: 2011
collana: La Biblioteca di Ulisse
pagine: 336
prezzo: 22,00 euro
Facendo base a Varto, una cittadina dell’Anatolia sud-orientale, lo scrittore e giornalista Christopher de Bellaigue riporta alla luce i fatti dolorosi e spesso misconosciuti legati al genocidio degli armeni e quelli, ancora meno noti, legati alla difficile convivenza tra le diverse etnie (curdi e aleviti) e lo stato turco in quell'angolo remoto del paese.
La terra ribelle di cui si tratta è proprio questa: il territorio turco al confine con Armenia e Iran testimone del dramma ma anche del desiderio di quelle minoranze di aver voce in capitolo e di non essere cancellate dalla storia.
Due momenti storici fanno da antefatto al racconto: il biennio 1895-96, quando 200.000 armeni furono sistematicamente massacrati; e il 1915, quando più di un milione di armeni (alcuni storici parlano di un milione e mezzo di vittime) morì durante deportazioni e atti di sterminio. Senza dimenticare il peso esercitato, nel presente, da una memoria storica dolorosa e ingombrante, difficile da armonizzare con l'atteggiamento quasi da dominatore adottato ancora oggi dal governo di Ankara.
De Bellaigue affronta il tema e ne ripercorre l’onda lunga attraverso una documentazione rigorosa, da reportage, ma anche con uno slancio autobiografico che a tratti fa assomigliare le pagine del suo libro a un giallo psicologico. Per dare voce ai dimenticati (compito che, come una dichiarazione d’intenti, ispira lo stesso sottotitolo dell'opera), l’autore compie incursioni in terra iraniana e si spinge fino in Germania, per ascoltare, annotare e riferire i racconti dei figli degli armeni e dei curdi che scelsero l’emigrazione.
Come racconta nel prologo, dal significativo titolo Lo specchio, De Bellaigue scrive anche per rimediare a una propria leggerezza (storiografica) giovanile. Dopo aver pubblicato un articolo sulla storia turca sulla New York Review of Books, egli ricevette pesanti critiche da parte di James Russell, autorevole professore di studi armeni di Harvard. L’accusa? Non essere sfuggito alla tentazione di leggere la storia con gli occhi dei vincitori, ovvero con le categorie del kemalismo, l’ideologia totalizzante che ancora oggi sostiene l’identità turca ispirata all’impostazione di Kemal Atatürk. Un’ideologia che, in definitiva, nega il genocidio del popolo armeno e porta a interpretare quei tragici eventi come un naturale processo storico, minimizzando il numero delle vittime.
La ricostruzione storica non è che uno degli elementi del libro. Ancora più stimolante è l’attenzione che l'autore rivolge al presente. Con Terra ribelle, in definitiva, si tocca nel vivo uno dei nodi più importanti dell’identità turca, un nodo che coinvolge tutti gli abitanti dell’Europa multietnica di questi anni. Il paese candidato all’ingresso nell’Unione, capace di incantare i viaggiatori con il fascino di Istanbul, l’ordinata efficienza di Ankara o i fiabeschi paesaggi della Cappadocia, possiede un lato oscuro e non risolto che merita di essere indagato.