L'Europa e la rotta balcanica [Dicembre 2015]
A un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, in Europa si innalzano nuovi muri per fermare rifugiati e migranti. La risposta alla crisi umanitaria in corso nei Balcani, e alla sfida del terrorismo, non può coincidere con la rinuncia ai nostri valori di solidarietà, uguaglianza e libertà di movimento.
Dopo il crollo del Muro di Berlino, simbolo tanto della divisione del continente che di una visione del mondo ideologicamente e culturalmente arretrata, lentamente si è messo in moto il processo di riunificazione europea che, dopo l'apice dell'allargamento e l’ingresso di dieci nuovi stati nel 2004, si è poi progressivamente indebolito, nonostante nuove adesioni.
Oggi, secondo il filosofo francese Étienne Balibar, stiamo assistendo ad un nuovo processo di allargamento, non su base geografica ma demografica. Le guerre in Africa e Medio Oriente stanno infatti spingendo verso l'Europa centinaia di migliaia di rifugiati, che chiedono asilo ai sensi delle convenzioni internazionali. Il modo in cui l'Europa sarà in grado di rispondere a questa nuova sfida ne determinerà in larga parte il futuro in quanto progetto politico.
La rotta balcanica, che a partire dalla Turchia attraversa Grecia, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Croazia e Slovenia, è in questo momento il percorso più utilizzato da migranti e rifugiati diretti verso la Germania e i paesi nordici, più importante numericamente di quella del Mediterraneo che vede protagonista l'Italia.
Giunta solo quest'estate all'attenzione dei media internazionali, in realtà la rotta balcanica non rappresenta una novità. Per tutti gli anni 2000 infatti sono stati in migliaia a percorrere i Balcani alla ricerca di un futuro migliore. E il primo muro anti-immigrazione della regione fu costruito dalla Grecia già nel 2011, creando una barriera ai flussi migratori al confine turco. All'Evros, il fiume che segna il confine tra Grecia e Turchia, e che ha inghiottito per anni le vite e le speranze di centinaia di migranti, avevamo dedicato un lungo reportage-inchiesta già nel 2010 quando il nostro corrispondente Paolo Martino aveva seguito la strada del profugo afgano Mussa Khan.
La guerra in Siria ha portato la Turchia a diventare, nel 2014, il principale paese d’accoglienza di profughi al mondo. Circa due milioni di persone, di cui solo il 10% residente nei campi, hanno pesato sull’economia, la politica e la società turca. Nel corso del 2015, la situazione ha iniziato a cambiare. Un crescente numero di siriani ha preso la rotta balcanica per raggiungere l'Europa del nord. Diverse le ragioni: la precaria situazione in Turchia, la diminuzione delle risorse internazionali destinate ai campi profughi, il persistere del conflitto siriano e la perdita di speranza sull’eventualità di un imminente ritorno e forse anche un incoraggiamento della stessa Turchia lasciata da sola a fronteggiare l’afflusso di persone. (... continua a leggere)
Autore: OBC (Position paper presentato al convegno "Transeuropa: reti di società civile")
Lingua: italiano