Dopo l’abolizione del finanziamento pubblico diretto alla politica nel 2013, in Italia si puntava ad aumentare le donazioni di privati. I numeri mostrano un quadro diverso: pochi i fondi di “grossi donatori”, tanti quelli di rappresentanti eletti. L’assenza di finanziamento pubblico diretto dell'Italia rimane, in Europa, un'anomalia
In Italia il finanziamento pubblico diretto ai partiti è stato abolito dal governo Letta nel 2013. Al contempo, la riforma ha tentato di agevolare forme di finanziamento privato o pubblico indiretto a favore della politica, attraverso detrazioni fiscali per i donatori e la possibilità per i cittadini di destinare ai partiti politici lo 0,2% delle proprie tasse (2 per mille). La riforma ha previsto anche un limite piuttosto alto per le donazioni dei privati, fissato a 100.000 euro annuali, a fronte di tetti più bassi previsti dalla legislazione vigente in altri paesi europei come quello di 50.000€ in Spagna e 7.500€ in Francia. Non esistono divieti riguardo l’identità del donatore: parlamentare o membro del governo, persona fisica, società o professionista, associazione o fondazione, partito o movimento politico (anche locale), o gruppo parlamentare. Sono invece bandite le donazioni ai partiti provenienti dall’estero (sia da soggetti pubblici che privati), mentre sono permesse ad associazioni o fondazioni politiche, fatto salvo che quest’ultime non le rigirino nelle casse dei partiti.
La riforma del 2013 ha provocato un significativo mutamento della situazione finanziaria dei partiti, non solo impoverendoli notevolmente (come spiega bene questo articolo di Openpolis) ma anche ridisegnando la mappa dei donatori.
Fino al 31 gennaio 2019 era possibile evitare di dichiarare (su richiesta del soggetto erogante) le donazioni inferiori a 5.000 euro, ma l’entrata in vigore della legge cosiddetta “Spazzacorrotti” (legge n. 3 del 2019) ha imposto l’obbligo di rendicontazione per tutti i contributi al di sopra dei 500 euro. L’intento era quello di fornire strumenti più trasparenti per tracciare la provenienza dei finanziamenti alla politica, ma se dal punto di vista quantitativo i dati sono più approfonditi, rimane complicato districarsi tra il labirinto di fondazioni, associazioni e altri soggetti che ricevono donazioni e fanno riferimento ai partiti.
Chi finanzia i partiti italiani
Analizzando i dati contenuti all’interno del PDF di oltre 800 pagine reso disponibile dalla Camera dei Deputati e ricollegando ai partiti le donazioni effettuate in seguito al 31 gennaio (data di entrata in vigore della norma) e aggiornate a novembre 2019, emerge un quadro certo parziale ma comunque indicativo per quanto riguarda la situazione economica della politica italiana. I dati forniti dal Parlamento, infatti, non includono le donazioni ricevute dalle sedi locali dei partiti così come gli introiti ricevuti da altre forme di finanziamento alla politica come il 2x1000 o i tesseramenti (vedi il box in fondo all’articolo per un approfondimento sui dettagli metodologici e i limiti strutturali dell’analisi).
Al netto della parzialità dei dati, si può osservare come la Lega di Matteo Salvini sia la forza più ricca, con oltre otto milioni di euro raccolti nell’arco di dieci mesi. Segue da molto vicino il Movimento 5 Stelle, con più di sette milioni e mezzo. Più staccato il Partito Democratico, che avrebbe incassato molto meno della metà rispetto ai primi due (2.527.310€) anche se, va ricordato, i dati pubblicati dalla camera non includono le donazioni a quasi nessuna delle sedi locali del PD. Forza Italia e Fratelli d’Italia avrebbero percepito rispettivamente 1.680.203€ e 1.095.898€, mentre tutti gli altri partiti, nel complesso, 1.953.673€.
Ancora più interessante del dato assoluto, però, è notare da chi provengono queste donazioni. Il Movimento 5 Stelle ha ricevuto quasi sette milioni di euro dai propri parlamentari, la Lega circa cinque milioni, il PD più di due milioni, Forza Italia oltre un milione e Fratelli d’Italia circa settecentomila euro. Anche le donazioni provenienti da persone fisiche (la seconda fonte di provenienza dei finanziamenti per volume) arrivano in realtà spesso da sindaci, amministratori locali, politici attivi a livello europeo o personalità strettamente legate ai partiti (ad esempio, Paolo Berlusconi ha donato a Forza Italia 100.000€, Antonio Tajani più di 40.000€). Si tratta però di un dato difficilmente quantificabile, poiché risulta praticamente impossibile risalire all’identità di ogni singolo donatore. Particolare è il caso della Lega, che sembra avere una base molto ampia di piccoli donatori privati da cui ha raccolto quasi tre milioni di euro: difficile dire se il partito di Matteo Salvini ha davvero grande successo tra “cittadini comuni” o se i suoi numerosi amministratori locali ed europarlamentari siano particolarmente generosi.
Attualmente, il 72,2% dei fondi che entrano nelle casse dei partiti italiani deriva dalle contribuzioni dei parlamentari, il 22,9% da persone fisiche e solo il 4,9% proviene da società private.
Non è però del tutto irrilevante, soprattutto nel caso dei piccoli partiti (30 tra associazioni e formazioni minori), la quota di donazioni proveniente da persone fisiche (spesso gli stessi fondatori o soggetti a loro direttamente collegati) e società private. Ad esempio, il “Comitato Change” di Giovanni Toti (embrione del neonato “Cambiamo!”) ha raccolto 211.200€, di cui 200.000 solo da aziende. “Siamo Europei”, dell’ex ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, ha ricevuto 397.243€ da persone fisiche e 167.348€ da persone giuridiche su un totale di 564,591€ raccolti.
La grande maggioranza dei finanziamenti destinati alla politica italiana, dunque, deriva dalla politica stessa. Un meccanismo che già esisteva prima del 2013, ma che dopo la riforma è diventato principale fonte di sostentamento dei partiti - garantendone la sopravvivenza - e rappresenta ormai una forma di autofinanziamento tramite trasferimento di parte delle indennità pubbliche (rimaste piuttosto consistenti poiché non intaccate dalla riforma). Al contempo, sembrano aver sortito effetto praticamente nullo le agevolazioni al finanziamento privato di cui sopra, e la riforma ha reso la politica più vulnerabile e soggetta a forme di finanziamento esterne o illegali, che spesso facilitano l’innesco di dinamiche corruttive o lobbistiche.
Il finanziamento privato alla politica in altri paesi europei
Volgendo lo sguardo verso altri paesi dell’Unione europea, emerge subito la caratteristica che rende anomalo il caso italiano: l’assenza di finanziamento pubblico diretti ai partiti. Spagna e Francia, ad esempio, sono rimasti fedeli a forme di finanziamento pubblico sia diretto, come ad esempio l’allocazione di fondi pubblici su base proporzionale ai partiti eletti nelle sedi di rappresentanza e il rimborso dei costi di campagna elettorale. Al contempo, le regole riguardanti i finanziamenti provenienti da soggetti privati sono ben più stringenti rispetto a quelle italiane.
Le norme francesi vietano tout court le elargizioni in denaro al mondo della politica da parte di aziende, mentre per tutti gli altri donatori vige un tetto massimo di 7.500 euro annuali. Solamente in caso di elezioni è prevista un’estensione del limite alle donazioni su base annua per un massimo di 4.600 euro aggiuntivi. Anche in Spagna non è possibile alcuna donazione da parte di persone giuridiche o associazioni private (per quanto riguarda i singoli candidati, tuttavia, non esiste alcun divieto) e il limite per gli altri soggetti è di 50.000 euro annui più 10.000 in caso di elezioni, per un totale massimo di 60.000 euro.
Quale l’impatto in Italia con limiti di questo tipo?
Limitando a 50.000 euro, in linea con il modello spagnolo, il massimale delle donazioni raccolte dai partiti italiani nel periodo compreso tra febbraio e novembre 2019 (durante il quale non si sono tenute elezioni) e vietando i contributi di società private, Movimento 5 Stelle, Lega e Partito Democratico conserverebbero la quasi totalità dei propri introiti. Tra i partiti più rilevanti, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono quelli che ricevono il maggior numero di donazioni provenienti da soggetti privati o superiori a 50.000 euro, ma comunque dovrebbero rinunciare a meno di un quinto delle proprie risorse. In generale, la situazione economica dei maggiori partiti italiani cambierebbe solo marginalmente. Diverso il risultato nel caso di alcune piccole formazioni politiche, che sarebbero più colpite dall’ipotetica riforma poiché spesso aiutate - come spiegato in precedenza - da poche e consistenti donazioni.
Se invece si applicassero le norme francesi – vietando le donazioni da aziende e ponendo un tetto di 7.500 euro a tutte le altre – lo scenario cambierebbe per tutti radicalmente e il volume dei finanziamenti più o meno dimezzato, a causa del crollo delle donazioni provenienti dai parlamentari.
Considerati questi dati, sarebbe con tutta probabilità necessario introdurre un’eccezione per i rappresentati eletti: secondo i dati pubblicati dalla Camera, sono proprio loro la gran maggior parte dei “grandi donatori” in Italia. Consentendo le donazioni dei parlamentari, l’impatto di una norma sul modello francese sarebbe comunque limitato per i grossi partiti, ed effettivamente problematico solo per alcune forze politiche nuove o relativamente piccole.
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I DATI
La nuova legge in vigore a partire da febbraio 2019 obbliga partiti e organizzazioni politiche a rendere pubbliche mensilmente tutte le donazioni ricevute superiori ai 500 euro su base annuale. Un apposito organo delle Camera ha l’obbligo di rendere pubblici i dati così comunicati.
La nostra analisi si basa su questi dati, pubblicati dall’unica fonte centralizzata ufficiale. Sebbene i dati siano comunque indicativi di alcune dinamiche, ci teniamo ad evidenziare le carenze che in parte rischiano di inficiare l’analisi, o comunque di mostrare dati diversi da quelli emersi altrove.
- I dati si riferiscono solo al periodo febbraio-novembre 2019, e quindi non includono informazioni relative a donazioni effettuate nel primo mese dell’anno (prima dell’entrata in vigore dei nuovi requisiti) o quelle effettuate nel mese di dicembre
- I dati si riferiscono solo ai dati diffusi dalla Camera: singole organizzazioni politiche sia nazionali sia locali hanno diffuso i relativi dati sul proprio sito, senza che questi siano entrati a far parte del dataset centrale (per questo motivo non compaiono ad esempio le donazioni ai Comitati di Azione Civile e di Italia Viva che invece appaiono nelle analisi di OpenPolis).
- Nei grafici, abbiamo aggregato organizzazioni politiche che evidentemente afferiscono ad un’unica forza politica nazionale: ad esempio, i dati delle sedi locali della Lega sono aggregati a quelli della Lega; l’Associazione Rousseau e altre entità direttamente legate al Movimento 5 stelle sono aggregate in unico M5S nazionale (motivo per cui nella nostra analisi appaiono significative donazioni a M5S, mentre quasi non ve ne sono secondo i dati diffusi da Transparency).
- Mentre per alcuni partiti sono presenti gran parte delle organizzazioni locali, per altri non ve ne è quasi nessuna (ad esempio, l’unica sede locale del Partito Democratico inclusa è quella di Verona): non è chiaro se questo avvenga perché altre sedi non sono tenute a diffondere i dati, perché questi non vengono comunicati, o perché per altri motivi questi non vengono diffusi dalla Camera.
- I dati diffusi dalla Camera includono per alcuni partiti anche piccole donazioni inferiori ai 500 euro, mentre per altri questi dati non sono diffusi affatto, neppure in forma aggregata. I totali degli introiti potrebbero essere quindi molto diversi per organizzazioni politiche che ricevono tante donazioni di piccola entità.
- Nel caso della proiezione finale in cui si applicano le leggi spagnole e francesi al caso italiano, il risultato non può che contenere un margine di errore: i limiti previsti dalle norme spagnola e francese sono stati applicati al totale delle donazioni ricevute dai principali partiti italiani a livello nazionale, senza considerare che la stessa persona avrebbe potuto donare anche livello locale o a una fondazione/associazione collegata al partito stesso (e così è stato in diversi casi). Inoltre, la poca accuratezza riscontrata nei dati contenuti all’interno del pdf fornito dalla Camera, in cui lo stesso donatore è riportato con nomi leggermente diversi a causa di refusi o errori, fa sì che vi possa essere un leggero scostamento dai dati reali automatizzando il processo di analisi - per rimediare a questo servirebbe trascrivere tutte le 842 pagine del pdf, un lavoro che dovrebbe competere a chi, questi dati, li diffonde.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
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