Tutto in vendita
"Stavamo meglio prima". E' questo il commento che sento ormai molto spesso quando vado dai miei parenti in Croazia e in Bosnia Erzegovina. Prima c'era maggior assistenza sociale, sanitaria, scolastica. Prima anche chi non aveva grandi risorse poteva studiare all'università, fare carriera, crescere e lasciare qualcosa ai figli. Certo, non c'era l'indipendenza delle piccole patrie. C'era un partito unico. Ma il comunismo jugoslavo è sempre stato diverso da quello degli altri paesi dell'ex cortina di ferro e i suoi "sudditi" li faceva stare bene. Oltre a tenerli uniti e in pace. Chiaro che non erano tutte rose e fiori, ma era sicuramente meglio di quello che è successo con la guerra interetnica e dopo dieci anni di massacri e ruberie. Prima c'era almeno una specie di pudore dei soldi. Adesso non più. Adesso "l'imperativo categorico", come direbbe "er capoccione nostro", è arricchirsi. Soldi, soldi e ancora soldi. Questo è il pensiero della gente comune e anche degli Stati. Tutto comincia e finisce con quello. Normale, direte voi. Sarà, ma prima non era così. Adesso invece va bene tutto. E i gioielli di famiglia vengono sacrificati sull'altare del dio mercato. E non si parla solo della flotta del Montenegro. Ma anche delle industrie alimentari in Croazia, delle acque minerali in Bosnia Erzegovina e Serbia, degli hotel in Dalmazia e Montenegro. Arrivano i soldi. Evviva. Tutto si compra e si vende. Compresa la storia degli slavi del sud. Ma il prezzo è giusto?