Erano l'asse cartesiano della rivoluzione meccanizzata socialista. Ora le ferrovie bulgare versano in una grave crisi e chi vi lavora sta scendendo velocemente nella scala della società bulgara. Un reportage
Ferrovie in Bulgaria: alba o tramonto?
Otto cupole bianche si stagliano contro il cielo metallico di questo tardo autunno di Bulgaria . Otto padiglioni di telo, che sembrano voler alleggerire, o forse nascondere, la massa grigia, pachidermica e irrimediabilmente real-socialista della stazione centrale di Sofia.
E' qui che si ha la percezione immediata e grandangolare del travaglio che vivono le ferrovie bulgare, ossatura e metafora di un paese ancora indeciso tra presente, passato e un futuro tutto da inventare.
Nell'enorme sala d'attesa vecchi simboli, mani d'acciaio che si stringono, promessa d'eterna amicizia proletaria, riposano nell'ombra, mentre una miriade di negozietti luminosi si impadroniscono degli spazi smisurati: profumi, giornali, panini, armi addirittura. Da un angolo nascosto, intanto, arriva il mantra, ottuso e senza fine, delle estrazioni di una sala bingo.
Più in là un sottopassaggio, che la luce di novembre rende ancora più desolato, porta ai binari. Passa una locomotiva solitaria, un gruppo di passeggeri trascina le valigie verso un treno in attesa, chissà perché, lontanissimo sui binari.
Si prova una sensazione di leggera vertigine, la sensazione che si prova di fronte ad un porto insabbiato, un porto senza navi.
Una crisi profonda, un passato glorioso
Dimitar Dejanov ha passato tutta la vita a occuparsi di treni. Dopo molti anni passati sulle locomotive adesso si occupa dei viaggi turistici organizzati dalle BDŽ (Balgarski Daržavni Železnici), le ferrovie nazionali bulgare, su vecchi treni a vapore, appositamente ristrutturati. Si alza con fare lento, e da un cassetto del suo ufficio tira fuori un libro, quasi fosse un vecchio tesoro. L'ha scritto lui, s'intitola "Le ferrovie bulgare dal 1888 al 1975".
"Da allora", dice, passando le mani sulla copertina con aria pensosa, "non c'è stato molto da aggiungere. Nuove linee non sono state costruite, anzi, negli ultimi anni alcune sono state chiuse o addirittura smantellate, visto che le perdite avevano raggiunto livelli insostenibili. Con la fine del vecchio regime, è iniziato per le ferrovie bulgare un periodo di crisi, da cui ancora non riescono a riprendersi".
E basta dare un'occhiata a questi dati per rendersi conto di quanto questa crisi sia profonda: nel 1987 viaggiavano in treno quasi 110 milioni di passeggeri, dieci anni dopo si erano ridotti a 82, nel 2002, quando si è registrato il picco negativo, sono stati appena 33 milioni, ben al di sotto dei numeri registrati nei lontani anni cinquanta. Solo negli ultimi due anni la tendenza sembra essersi leggermente invertita.
Lo stesso vale per i treni merci: se alla fine degli anni ottanta si trasportavano su rotaia prodotti industriali, minerari e agricoli per circa 82 milioni di tonnellate, nel 2002 si era passati a soli 18,5 milioni. Ma è un intero sistema ad aver perso le coordinate, e ad essere ancora alla ricerca di un senso nuovo, di una direzione.
Il passato delle ferrovie bulgare s'intreccia indissolubilmente con quello dell'intero paese, e dei Balcani più in generale. Il primo agosto 1888, data di nascita delle BDŽ, coincide con l'apertura del tratto Vakarel-Sofia-Dimitrovgrad, ultimo ancora incompiuto sul percorso dell'Orient Espress, da Parigi a Istambul.
Le ferrovie bulgare si svilupparono in fretta, sottolineando il progressivo consolidarsi del rinato stato balcanico. Nel 1908, anno della dichiarazione di indipendenza, con la costruzione di nove linee ferroviarie erano già state raggiunte Varna e Burgas sul mar Nero, Ruse e Somovit sul Danubio, oltre ai confini con Grecia, Serbia e Turchia.
Ma i binari raccontano anche storie di sconfitta. I lavori sulla direttrice per Skopje e la Macedonia, sogno sempre vicino eppure irraggiungibile, furono interrotti dopo la disfatta nella seconda guerra balcanica e la linea, a cui mancano appena 65 lunghissimi chilometri, da quasi un secolo aspetta malinconicamente di essere terminata.
La classe operaia va in paradiso, ma non in treno
L'arrivo del regime comunista portò grandi risorse alle ferrovie, asse cartesiano della rivoluzione meccanizzata socialista, e ai ferrovieri, naturale avanguardia della classe operaia. Nel dopoguerra nuove linee furono create grazie all'entusiasmo ideologizzato dei giovani inquadrati nelle "brigade", e chi lavorava nelle ferrovie godeva di rispetto, prestigio e sicurezza economica.
"Oggi non è più così" racconta Ivajlo Ivanov, quarant'anni portati con sobrietà, vice presidente di S.Ž.B. (Sindikat na Železničarite v Balgarija), il sindacato che raccoglie 22mila dei 33mila addetti delle ferrovie, "e rispetto ad altre categorie i ferrovieri stanno scendendo velocemente nella scala sociale della società bulgara".
Ci incontriamo nella sede storica del sindacato, a due passi dalla stazione. Sulla facciata, sotto l'antico stemma orgoglioso, ali d'acciaio che sospingono la ruota di una motrice, c'è ora l'insegna, squallida e ammiccante, di un locale di spogliarello, ad aumentare il senso di spaesatezza e confusione.
"Ecco i numeri della crisi," continua Ivanov, srotolando una serie di fitti grafici. "Fino al 1997 i ferrovieri percepivano un salario del 30% superiore a quello medio nazionale, oggi lo stipendio arriva sì e no ai 300 leva (c.a. 150 euro), circa il 20% al di sotto della paga ricevuta mediamente in Bulgaria. Inoltre, negli ultimi anni abbiamo avuto forti ritardi nei pagamenti, problema condiviso con altri dipendenti pubblici, anche se adesso le cose vanno un po' meglio".
Ma i problemi economici assumono anche altre forme: molte professioni nell'universo delle ferrovie sono state declassate, come ad esempio i capostazione, passati dal secondo al terzo livello di retribuzione.
"Da molti anni lo stato non ha alcuna strategia sulle ferrovie" esclama un anziano ferroviere che ascolta, un po' discosto, la nostra conversazione, occhi limpidi e mani torniate da lunghi anni di lavoro.
"Da quando è arrivata la democrazia" continua, "chi comanda non ha ancora deciso se le ferrovie devono sopravvivere, o se bisogna smantellare tutto. Intanto il livello di qualificazione dei quadri scende e le infrastrutture invecchiano. Anche il sindacato si è diviso da quando è arrivata la democrazia, per colpa della politica", e sottolinea la parola democrazia con una curva amara della bocca.
"Vivere da ferroviere oggi è difficile" dice Ivanov prima di salutarmi, " e non tutti riescono ad arrivare alla fine del mese. Se c'è la volontà politica le ferrovie si possono salvare, ma se le cose continuano così non vedo un futuro facile", e con un gesto eloquente mi indica, tutti in fila su un vecchio scaffale, gli orari ferroviari degli ultimi vent'anni. Il volume patinato del 2004 è appena la metà rispetto a quello, grigio e severo, del 1989.
Mentre scendo le scale mi soffermo per un attimo a guardare un vecchio arazzo impolverato. Due cosmonauti sovietici mi sorridono dalla fredda penombra della parete, quasi venissero da un'altra era geologica.
L'era, vicinissima eppure perduta, in cui l'uomo e l'acciaio dovevano trasformare la terra e conquistare lo spazio.
Un presente amaro
Il treno interbalcanico "460" arriva nella stazione di Sofia con appena dieci minuti di ritardo. In otto ore ha risalito lentamente i 300 chilometri dell'antica valle dello Struma, costeggiando le cime già innevate del Pirin e della Rila, dopo aver lasciato Salonicco e i tepori autunnali del mare Egeo.
Nel primo mattino, immerso in una bruma densa e lattiginosa, il "460" assomiglia ad una visione onirica: pochi vagoni dall'aspetto trasandato, trainati da un massiccio blocco d'acciaio rosso dalla vaga forma di locomotiva. Sulle tendine sbiadite di velcro marrone lo stemma delle BDŽ, le ferrovie bulgare, a proteggere la privacy di passeggeri più immaginari che reali.
Il treno è silenzioso, chi sale viene quasi inghiottito dagli scompartimenti vuoti. Nel nostro una signora sulla quarantina, capelli biondo cenere e pochi bagagli, ci da un timido benvenuto con un cenno del capo.
Si parte. Le porte del treno rimangono aperte, e dal freddo pungente ci accorgiamo che il riscaldamento non funziona. In corridoio alcuni sportelli sbattono rumorosamente ad ogni irregolarità delle rotaie, mentre le luci al neon ronzano nel disperato tentativo di accendersi.
Una patina grigia, fatta di polvere e abbandono, sembra essersi posata su ogni cosa, come un velo impalpabile e sottile.
Ferrovie vecchie e costose
Secondo i dati ufficiali delle BDŽ, l'82% delle locomotive in funzione ha un'età superiore ai vent' anni. Una fetta consistente, il 29% ne ha più di trenta. A fare da contraltare a questi dati, un misero 5% ne ha meno di dieci.
Dalle stesse BDŽ è stato calcolato che per l'attuale volume di traffico, già molto ridotto, sarebbero necessarie 372 locomotive. Attualmente quelle utilizzabili sono 346, le altre 235 in possesso delle ferrovie sono ferme o in riparazione, per non parlare dei 717 vagoni fuori uso su un totale di 1383.
Le ferrovie bulgare sono vecchie e il materiale viaggiante non viene rinnovato da ormai troppo tempo. Sono ancora la vecchie "Škoda 44" prodotte in Cecoslovacchia e acquistate dai "fratelli socialisti" tra il 1975 e il 1980 a tirare la carretta, alcune delle quali rammodernate da poco nelle officine meccaniche di Končar, in Croazia.
"Naturalmente" racconta l'ingegner Kondakov, direttore del mensile "Železopaten Transport","il problema è che mancano i soldi, e quelli che ci sono spesso si perdono nella frattura creata tra la "BDŽ" che geste i treni, e la società "Železopatna Infrastruktura", che si occupa dell'infrastruttura a terra. Le due società sono nate nel 2002, quando le vecchie ferrovie sono state divise per permettere a operatori privati di entrare sul mercato. Recentemente due società private, la "Bulmarket" e la "B.Ž.Kompanija", a partecipazione rumena, hanno ottenuto la licenza per viaggiare, anche se per ora solo su linee secondarie".
La divisione ha portato però a una certa confusione nella divisione dei fondi statali, tanto che Oleg Petkov, fresco direttore delle BDŽ, nella sua prima conferenza stampa, tenuta a fine ottobre, ha proposto di rivedere questa sistemazione, tornando ad un legame più stretto, sotto forma di holding o consorzio.
Intanto nei primi nove mesi del 2005 le ferrovie hanno accusato perdite per 26,5 milioni di leva ( c.a.13 milioni di euro), un risultato peggiore di 8 milioni di leva rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
A questi dati possiamo affiancare le parole di Dimitar Gajdarov, giovane direttore della società "Železopatna Infrastruktura", che in una recente intervista si è potuto mestamente fregiare di "una perdita di soli 13 milioni di leva per il 2004, rispetto ai 35 milioni previsti, il miglior risultato finanziario degli ultimi anni".
Per poi aggiungere, "Lo stato ci finanzia nei limiti del suo budget, ma queste risorse sono del tutto insufficienti. Se per il 2005 abbiamo richiesto 100 milioni di leva per le spese minime di rinnovamento e manutenzione delle infrastrutture, i fondi approvati raggiungono appena i 24,3 milioni".
A passo di lumaca
Il treno "460" continua ad andatura ridotta il suo viaggio verso la pianura danubiana. Adesso la strada ferrata si infila nelle strette gole dell'Iskar, fiume che, quasi magicamente, è riuscito in milioni di anni a scavarsi il letto attraverso le montagne, in una lotta impari con i Balcani, guadagnandosi così il diritto di donare le sue limpide acque alla melma pacifica e bruna del Danubio.
In viaggio scopriamo che Adela, la nostra compagna di viaggio, è di Bucarest. Chiediamo come sono le ferrovie rumene. "Sono belle", dice "non come quelle bulgare, che fanno schifo. In Romania funzionano bene, come quelle italiane". Ma ci resta il dubbio di parole partigiane, anche perché Adela ammette candidamente di non essere mai stata in Italia.
Dal finestrino, intanto, vediamo boschi silenziosi e piccoli villaggi di case a pianta quadrata alternarsi a vertiginose rocce variopinte a picco sul fiume. A Bucarest mancano ancora circa 400 chilometri e almeno 9 ore di viaggio. L'intero tratto Salonicco-Sofia-Bucarest viene percorso in circa 20 ore, all'esasperante velocità media di 35/40 chilometri l'ora.
"I treni non vanno soprattutto a causa dell'infrastruttura che invecchia" racconta Hristo Ivanov, trentacinque anni, fisico asciutto e occhi profondi che tradiscono l'amore per il suo lavoro, quello di macchinista. "Le locomotive potrebbero andare più forte, ma per mantenere la sicurezza in queste condizioni i treni devono rallentare, così che oggi la velocità media è nettamente più bassa rispetto agli anni ottanta".
Se sul tratto Sofia-Plovdiv, il più moderno e trafficato, nel 1988 si viaggiava in media a 73,6 chilometri l'ora, oggi la velocità è scesa a 61,1 e il trend rimane negativo. E lo stesso vale per tutte le altre linee della rete.
A queste velocità il servizio è tutt'altro che ottimale, e subisce la concorrenza delle compagnie di trasporto su ruote, che in Bulgaria hanno diffusione capillare. Di solito gli autobus partono con maggiore frequenza, sono più puliti e in genere offrono un servizio più rapido, anche se leggermente più costoso.
"Negli ultimi anni la lobby delle quattro ruote ha avuto la meglio" sostiene l'ingegner Kondakov," e le ferrovie hanno perso terreno. Nell'ultimo piano di sviluppo del ministero dei trasporti, però, il treno ha riacquistato una posizione importante, anche perché alla lunga, in Bulgaria, il trasporto su rotaia rimane il più sostenibile, sia economicamente che dal punto di vista ecologico, e con l'ingresso nell' Unione Europea, questo si rivelerà un fattore determinante".
Le gole dell'Iskar si aprono, arriviamo a Mezdra e scendiamo dal treno. Il "460" riparte con uno scossone leggero, per un attimo sembra esitare, poi si allontana verso l'orizzonte basso e brumoso.
Quando arriverà a Bucarest la notte avrà già inghiottito il cielo dei Balcani.
Assalto al treno
"Io veramente preferisco guidare i treni merci" mi dice all'improvviso Hristo, mentre chiacchieriamo nel centro di Sofia, alla fredda luce di un pomeriggio tardo autunnale. Macchinista da sei anni, sguardo tranquillo, parla dei treni come se rivelasse un segreto prezioso su una cosa o una persona amata. "Sono meno sofisticati", continua, appassionandosi al suo stesso racconto, "e per dominarli bisogna sentirne le vibrazioni, il respiro, come se fossero cose animate e vive".
Le parole scorrono lente, davanti ad un caffè che fuma pigramente in bicchieri di plastica giallo vivo. "D'altronde" riprende Hristo, senza riuscire a nascondere un sorriso, "sui treni merci bisogna fare presto l'abitudine alla lentezza, alle lunghe attese su linee morte, ai treni passeggeri che ti sorpassano veloci."
"I treni merci però hanno anche i loro svantaggi", e la luce negli occhi per un attimo cambia colore. "Quando attraversiamo le "mahala" (quartieri degradati abitati da rom) veniamo assaltati da bande organizzate, che rubano i rottami di ferro che trasportiamo, per rivenderli a pochi soldi. Montano sui vagoni in corsa, anche quando viaggiamo ai quaranta all'ora. Spesso, poi, per rallentarci, bersagliano coi sassi le locomotive, o improvvisano barricate sui binari, col rischio di far deragliare il convoglio".
In un comunicato ufficiale di inizio aprile le BDŽ, le ferrovie di stato bulgare, esprimevano viva preoccupazione per i numerosi "attacchi contro il materiale viaggiante delle ferrovie, soprattutto da parte di rappresentanti della comunità rom, che cominciano ad assumere il carattere di terrore sistematico".
Nel primo trimestre 2005, tra Birimirtzi e Podujane, alla periferia di Sofia, il tratto più problematico, ci sono stati ventisei episodi di aggressione, su quello Hrabarsko-Pernik almeno diciannove. Su tutta la rete gli attacchi sarebbero stati 184, contro i 105 dello stesso periodo dell'anno precedente, a sottolineare un fenomeno in crescita.
"Rubano anche i componenti dell'infrastruttura", conclude amareggiato Hristo, "e chiamare la polizia non serve a niente, visto che alla fine riescono sempre a farla franca", e nelle sue parole si avverte un solco, una frattura profonda che oggi attraversa e divide la società bulgara.
Il futuro si chiama "Desirò"?
7 gennaio 2005. Finalmente, dopo tanti bocconi amari, per le ferrovie bulgare sembra essere arrivato il giorno della riscossa. Viene firmato in pompa magna l'accordo tra le BDŽ e i tedeschi della Siemens per l'acquisto di venticinque motrici diesel modello "Desirò", nuove di zecca. Si tratta di piccoli treni con 123 posti a sedere, ultramoderni, per le linee non elettrificate, quelle dove le perdite sono più pesanti. Costo dell'operazione, 67 milioni di euro.
Le prime "Desirò", accolte alla stazione di Sofia dall'allora premier Simeon Sakskoburggotski, entrano in servizio a fine aprile, e poco più di un mese più tardi viene firmato un ulteriore accordo, con cui Siemens e BDŽ creano un consorzio per la manutenzione delle motrici. Viene inoltre sottoscritta l'opzione d'acquisto di altre venticinque motrici, stavolta elettriche, da effettuare entro la fine del 2008, al costo di 117 milioni di euro.
Se l'acquisto delle nuove motrici, già adottate dalle ferrovie greca e rumena, rappresenta il più grande sforzo di modernizzazione delle ferrovie bulgare, questo non significa che manchino le critiche.
"Con gli stessi soldi si potevano comprare locomotrici più flessibili, in grado di trainare sia treni merci che passeggeri" sostiene Ivajlo Ivanov, del sindacato S.Ž.B., " e poi a che ci servono treni che vanno a 120 chilometri l'ora, se le linee non lo permettono?".
La sostanza dell'accordo è stata messa in dubbio anche dallo stesso Oleg Petkov, nuovo direttore delle BDŽ, appena insediato dal nuovo governo Stanišev, sostenendo che questo doveva essere rivisto da cima a fondo. Qualcuno mormora che la vecchia dirigenza abbia preteso per sé una fetta dei soldi investiti, e che adesso anche la nuova voglia la sua parte.
Il destino delle "Desirò" ancora non è chiaro. Per il momento però viaggiare su questi treni sembra essere rischioso soprattutto per i macchinisti. Da quando sono entrate in funzione, anonimi lanciatori di pietre hanno centrato le nuove motrici già quattro volte, l'ultima a fine novembre tra Simeonovgrad e Harmanli, non lontano dal confine turco.
L'ultima speranza viaggia sui "corridoi"
Nonostante gli sforzi, salvare le BDŽ sembra davvero un'impresa titanica. Anche la natura ha girato le spalle alla ferrovia, con le inondazioni che quest'estate hanno provocato danni per decine di milioni di leva. Lo stato non ha i mezzi per rispondere da solo alla crisi, e allora le speranze vengono dall'esterno.
Quando, negli anni novanta, a Creta ed a Helsinki furono stabiliti i tracciati dei "Corridoi di trasporto pan-europei", la Bulgaria si ritrovò al centro di un grande progetto di collegamento tra est ed ovest del continente, con ben cinque corridoi, su un totale di dieci, che si intersecano sul suo territorio.
Circa il 42% dei 4320 chilometri della rete ferroviaria bulgara si trova sui tracciati dei corridoi, comprese tutte le linee principali. Il tratto Gjueševo-Sofia-Varna-Burgas fa parte del corridoio n°8, che collega l'Adriatico al mar Nero, quelli Kulata-Sofia-Vidin, con il progettato secondo ponte sul Danubio, e Plovdiv-Svilengrad del corridoio n°4, mentre il tratto Sofia-Kalotina, verso la Serbia, funge da connessione col corridoio n°10.
Il problema è che non basta aver approvato i tracciati, bisogna anche realizzarli, e in fretta, perché le direttrici di traffico fanno gola a tutti, e la concorrenza è forte. "Al momento", conferma Todor Kondakov, di "Železopaten Transport", "l'unico progetto su cui si sta effettivamente lavorando è la modernizzazione del tratto Plovdiv-Svilengrad, grazie a un prestito della Banca Europea e ai fondi pre-adesione".
Nel frattempo, sostiene su "Geopolitika & Geostrategija" Dimitar Konstantinov, professore all'Università dei Trasporti di Sofia, il rischio è di venire accerchiati: dalla Romania a nord, che costruisce sulla direttrice Arad-Bucarest-Costanza e dalla Grecia, che col progetto "Via Ignazia", rischia di svuotare di significato il tanto agognato corridoio n°8 connettendo, a sud, Igoumenitsa con Istambul.
Secondo Iordan Mirčev, presidente della commissione trasporti del parlamento bulgaro, "bisogna agire entro i prossimi tre-cinque anni, e non più tardi del 2009, altrimenti sarà troppo tardi. Se non si prendono le misure necessarie nel 2010 il traffico su rotaia sarà ridotto in Bulgaria al 7% del volume complessivo".
Bisogna fare presto, e le ferrovie bulgare, così come il paese, forse riusciranno a farcela, a rinnovarsi e a cambiare, a non rimanere troppo indietro in un mondo che si è trasformato in fretta, e che continua a trasformarsi ancora più in fretta.
Eppure non è ancora passato il tempo di Hristo, dei suoi lenti viaggi su linee nascoste, quasi dimenticate, delle sue lunghe pause sognanti lungo le vecchie strade d'acciaio che attraversano la Bulgaria, in compagnia delle sue locomotive sbuffanti e vive.
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