Una tesi di laurea dedicata alla situazione dei migranti nella zona nord-ovest della Bosnia Erzegovina e alle violazioni dei diritti che subiscono sul territorio e durante il "game", cioè il passaggio del confine con la Croazia. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
The game: il gioco.
Questa è la parola usata dalle persone in transito sulla rotta balcanica occidentale per descrivere il tentativo di attraversare le frontiere verso i Paesi europei. Tentativo che porta con sé enormi speranze per il futuro nonostante le innumerevoli violenze subite tra boschi minati, fiumi ghiacciati e montagne impervie. A partire dal 2018, Bihać, piccola cittadina situata a qualche chilometro dal confine croato, si trova nel mezzo di un flusso interminabile di persone provenienti prevalentemente da Afghanistan, Pakistan, Iran e Siria.
Nonostante la rotta balcanica sia tutt’ora considerata chiusa, in Bosnia Erzegovina, soltanto negli ultimi due anni, sono transitati circa 54 mila migranti, richiedenti asilo e rifugiati. La maggioranza delle persone affronta il viaggio in maniera irregolare per la mancanza di alternative legalmente percorribili, pagando ingenti somme di denaro ed affidandosi ai cosiddetti smugglers, i trafficanti di uomini.
A Bihać numerosi gruppi di migranti che occupano visibilmente ogni angolo della cittadina sono privati di qualunque rispetto e dignità: sedersi ad un bar per sorseggiare un caffè è ormai diventato inaccessibile, così come poter entrare liberamente in un supermercato a fare la spesa. La maggior parte delle persone con cui si ha modo di parlare, residenti nel campo di ricezione temporaneo (TRC) “Bira” e nel campo non-ufficiale “Vučjak”, si ritrovano bloccate nel Cantone Una-Sana ormai da mesi. In questi due campi risiedono principalmente uomini adulti che, a differenza di famiglie e minori, godono di meno aiuti.
La situazione nei campi di Bira e Vučjak nell’autunno 2019, seguiva questo sistematico schema: la struttura ufficiale e gestita da IOM, il Bira, era perennemente sovraffollato così che i nuovi arrivati erano costretti a rimanere in attesa li fuori per giorni, per poi essere spesso condotti a Vučjak forzatamente dalla Polizia bosniaca.
Vučjak, un campo che nasceva su un’ex-discarica a 3 Km dal confine croato, prendeva vita a metà giugno per decisione della municipalità locale. Le persone lì residenti non avevano accesso ad acqua corrente, servizi sanitari ed elettricità. Nonostante questo, molti uomini prediligevano il cosiddetto Jungle camp che permetteva di occupare il proprio tempo libero organizzandosi in modo indipendente, preferendo quindi tale inferno al buio ed “istituzionalizzato” Bira.
I numerosi pushbacks illegali che vengono perpetuati dalla polizia croata nei boschi tra Bosnia e Croazia, hanno fatto sì che la cittadina e tutta l’area di Bihać si sia trasformata in una tappa obbligata per migliaia di transitanti, impossibilitati a procedere nel viaggio. Gli intervistati riferiscono di aver tentato il game numerose volte senza alcun successo e di aver quasi sempre subito violenze, privazioni di vestiti, di telefoni e oggetti personali.
Vučjak veniva ufficialmente smantellato il 10 dicembre 2019 dopo mesi di continue violazioni dei più fondamentali diritti umani, ma la sua chiusura non ha condotto alla risoluzione del problema. E’ perciò necessario che l’Unione Europea sia in grado di fornire un nuovo modus operandi, che risulti efficace e sicuro sia per le persone migranti che per tutti i cittadini europei. Fino a quel momento, le rotte dei trafficanti di esseri umani continueranno ad adattarsi alle restrizioni ed ai cambiamenti in atto, evolvendosi e lucrando sulla pelle di persone che hanno già subito numerose violenze e soprusi.
La tesi completa
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