L'indipendenza del Kosovo, il suo percorso verso la sovranità, l'opposizione della Serbia la comunità internazionale divisa. Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
17 febbraio 2008, il Kosovo dichiara la propria indipendenza unilateralmente: nasce il settimo Stato dalle ceneri della Yugoslavia e i Balcani tornano a dividere il mondo.
Si tratta di un evento percepito a livello internazionale come inevitabile e radicalizza le posizioni: in particolare la Russia e la Cina si schierano con la Serbia in difesa del diritto internazionale; mentre la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia appoggiano l’indipendenza di questa provincia.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si ritrova bloccato nella stessa contrapposizione di dieci anni prima, alla vigilia dei bombardamenti della NATO in questa zona dei Balcani.
Un’altra “vittima illustre” dell’indipendenza kosovara è l’Unione Europea, che non riesce a presentare una posizione comune sul riconoscimento del nuovo Stato e perciò lascia, ai singoli paesi membri, la decisione da prendere in merito.
Nonostante la ripetizione, da parte di diversi Capi di Stato e di Governo, della formula: “il Kosovo è un caso unico e non costituisce un precedente nelle relazioni internazionali”, è diffusa la convinzione dell’esatto contrario.
Ma questa nuova entità territoriale può essere considerata uno Stato indipendente e sovrano, come definita nella sua dichiarazione unilaterale d’indipendenza?
Certamente rappresenta un unicum sullo scenario politico-internazionale, in quanto:
- ha origine in seguito all’intervento della comunità internazionale e dopo il fallimento di diversi negoziati;
- nasce sulla base di una dichiarazione d’indipendenza anomala, in quanto si accettano le disposizioni del Piano Ahtisaari che, sostanzialmente, ne delimitano la sovranità e inoltre si richiede che le missioni internazionali UNMIK e KFOR rimangano nel paese come stabilito dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite;
- vive in una posizione internazionale ambigua: malgrado il riconoscimento giunto da vari Stati, non fa parte di nessuna organizzazione internazionale;
- si presenta come realtà statale vacillante e poco affidabile: a livello politico, l’esercizio della sovranità è limitato; a livello economico presenta una forte dipendenza dagli aiuti internazionali; a livello giuridico, di ordine e di pubblica sicurezza, il controllo del territorio è farraginoso, favorisce lucrosi traffici illeciti e dipende da una forza militare multinazionale.
L’evoluzione da provincia a Stato indipendente è stata palesemente pilotata dalla comunità internazionale:
- a partire da un attacco ad un paese sovrano, effettuato da un’organizzazione di difesa regionale, per la mancata sottoscrizione di un accordo, che prevedeva l’occupazione militare di tutto il territorio nazionale;
- procedendo con l’istituzione di una missione delle Nazioni Unite, che coadiuvata da una forza militare multinazionale, si impone come sovrano territoriale, malgrado la risoluzione, da cui trae origine, dichiara, più volte, che la sovranità e l’integrità territoriale devono essere salvaguardate;
- infine, dopo circa dieci anni di protettorato internazionale, si giunge alla dichiarazione unilaterale di indipendenza che, oltre ad essere contestata sul piano del diritto internazionale, risveglia, in tutto il mondo, il timore di altre secessioni.
Anche se, tassello dopo tassello, il Kosovo si sta costruendo una facciata da presentare al mondo con l’obiettivo di ottenere il maggior numero di riconoscimenti bilaterali, per consolidare la sua presenza a livello internazionale, per accedere ad organizzazioni ed instaurare accordi, la sua credibilità risulta essere ancora precaria.
Uno Stato non può basarsi su opere di ingegneria politica e finanziamenti massicci: la sua debolezza è vincolata internazionalmente dai riconoscimenti e internamente dalla sovranità limitata.
Non esiste la società multietnica e democratica tanto declamata sulla carta; non esistono istituzioni efficienti e trasparenti; non esistono pace, sicurezza e stabilità; non esiste un’economia locale legale; non esiste un efficace controllo del territorio: prima si individua la causa di tutti i problemi nell’amministrazione internazionale, poi si fa riferimento all’incertezza del suo status, infine ci si illude che con l’indipendenza tutto si risolva.
A livello internazionale si definisce Stato, quell’organizzazione che esercita, effettivamente ed in modo indipendente, il proprio potere su una comunità territoriale: è palese che, su entrambe le modalità, il Kosovo risulta mancante.
A livello interno le enclavi serbe sono esenti dall’amministrazione di Pristina; le istituzioni kosovare sono limitate o comunque controllate nell’esercizio delle loro funzioni da diversi organismi della comunità internazionale; l’ordine pubblico e la sicurezza sono garantiti dalla forza multinazionale della KFOR; inoltre non risulta esserci una vera economia legale.
Assumendo una posizione volutamente imparziale, questo scritto tenta di indagare e di capire l’evoluzione politica che ha interessato il Kosovo:
- nel primo capitolo, si presenta una breve cornice storica degli Stati della Yugoslavia per individuare le origini della questione kosovara;
- nel secondo capitolo, si analizza detta questione e le varie proposte di soluzione da parte della comunità internazionale;
- nel terzo capitolo, si esamina il ruolo, sempre più preponderante, di alcune organizzazioni internazionali;
- nell’ultimo capitolo, si propone di ridimensionare il problema della stabilità e della convivenza tra diverse minoranze e gruppi etnici, presenti nei Balcani, iniziando dalla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina in un’ottica, unicamente europea.
Liberandosi dallo storico cliché che dipinge i Balcani come una zona eternamente conflittuale, l’Unione Europea potrebbe farsi promotrice di dialogo e collaborazione fra gli Stati di quest’area.
In particolare, sfruttando la sua presenza in Kosovo con EULEX e l’accordo ASA, firmato con la Serbia, potrebbe tentare di coinvolgere i due Stati in progetti di cooperazione, che sfruttando il circolo virtuoso dello spillover, potrebbero garantire l’instaurazione di un territorio transnazionale, quale strumento di convivenza per le minoranze e i gruppi etnici presenti e inoltre favorire una reale stabilizzazione di questa parte di Europa.
Tutti i paesi dell’ex-Yugoslavia puntano ad entrare nell’Unione Europea e l’UE ha come obiettivo primario pacificare e integrare i Balcani; il futuro dell’Europa, come il suo passato, si gioca ancora in questa parte del mondo.
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