Sono scrittori ed artisti provenienti dalla ex Jugoslavia. Una volta arrivati in Italia hanno iniziato a scrivere nella nostra lingua. Una tesi di laurea indaga su questa specifica ed interessante produzione letteraria, su quest'incontro tra realtà culturali diverse ed eterogenee
Di Barbara Ronca
L'ultimo conflitto balcanico ha spesso drammaticamente posto fine, negli anni Novanta del Novecento, alla convivenza nella regione di una moltitudine di gruppi etnici, religiosi e linguistici che per alcuni decenni aveva costituito un "miracolo" di tolleranza cui l'Europa tutta guardava con ammirazione.
Non solo in questo, naturalmente, risiede la sua tragicità: il conflitto si è infatti accompagnato ad una delle più recenti e disperate diaspore mondiali: quella dal mondo ex della Jugoslavia.
Molte sono state le riflessioni nate attorno a questo 'corto circuito' della nostra storia recente; ma come esso abbia influito, da un punto di vista strettamente culturale e letterario, sulla nostra identità di 'europei', è una questione ancora tutta da indagare.
In questa tesi si analizzano le opere letterarie di alcuni autori provenienti dalla ex-Jugoslavia, i quali, arrivati in Italia, hanno cominciato a scrivere nella nostra lingua, inserendosi quindi nel solco della nostra letteratura.
La loro produzione letteraria riveste una particolare importanza: prima di tutto perché, come ogni scrittore migrante, essi, vivendo in un paese diverso da quello in cui sono nati, e scrivendo in una lingua diversa da quella dell'infanzia, si pongono come punti di raccordo, e d'incontro, tra realtà culturali diverse ed eterogenee: il migrante vive in equilibrio tra i mondi, tra il paese di partenza e quello di arrivo, e li modifica e arricchisce entrambi, sia culturalmente che linguisticamente.
In secondo luogo, perché i migranti che hanno abbandonato la ex-Jugoslavia in fiamme non hanno operato una scelta, per quanto dolorosa o sofferta: hanno agito per necessità, fuggendo da un paese in cui non potevano più essere davvero se stessi, e in cui la loro identità, e la loro vita, non potevano più essere difese.
Per le migliaia di profughi dei Balcani, la migrazione ha assunto i caratteri di un esilio, perché la guerra li ha privati (oltre che del presente, del passato e della speranza per il futuro) di un paese a cui tornare, o verso cui, semplicemente, proiettare il desiderio del ritorno.
La scelta letteraria è diventata, per chi ha visto il proprio mondo e la propria identità culturale cancellati con violenza, una scelta di dissidenza, e quindi di resistenza.
Gli scrittori della diaspora balcanica sono il monito più forte contro chi, ancora oggi, difende particolarismi ed erige barriere, e la dimostrazione più convincente del potere salvifico della letteratura; che attraverso le opere di questi autori, offre a tutta l'Europa un'insperata possibilità.
Tentare di comprendere le vicende di questo brandello del nostro continente, ascoltare le voci di chi è giunto sulle nostre terre per testimoniare la Storia, significa riscoprire un nuovo modo di intendere l'Europa, e la cultura europea; significa aprirci alla consapevolezza che, come sostiene Paolo Rumiz, la regione balcanica non sia solo il ventre molle del nostro continente, o la sua polveriera; piuttosto, lo "specchio perfetto delle nostre divisioni, e al tempo stesso l'ultima isola della nostra complessità perduta".
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