Una tesi a conclusione di un master in "Traumatic Disaster Management". Riflessioni a seguito di un tirocinio svolto in Bosnia Erzegovina. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Daniela Rossini Oliva
''La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa anche in circostanze apparentemente disperate è stupefacente e meriterebbe uno studio più approfondito'' (P.Levi in Se questo è un uomo. La tregua, 1958)
Questa frase di Primo Levi rappresenta molto bene gran parte dei contenuti che ho voluto raccogliere in questa tesi e che da sempre mi hanno incuriosito intellettualmente e ''scientificamente'' poiché anche io ritengo che meritino uno studio più approfondito.
Questa tesi nasce come lavoro finale di una esperienza di stage fatta a Sarajevo nell'ambito di un master universitario per medici e psicologi in emergenza esperti in ''Traumatic disaster management''.
La mia esperienza in Bosnia-Erzegovina è stata supportata da Ai.Bi (ONG Italiana), dove sono stata per circa un mese, principalmente a Sarajevo, ed e' soprattutto lì che sono maturate le riflessioni contenute nella tesi.
La situazione attuale in Bosnia viene descritta da Zuhra Brkic, giurista, così: "L'aggressione in questo paese ha causato danni psicologici a tutta la popolazione, 200.000 persone sono state uccise, due milioni sono fuggite dalle loro terre, nel Cantone di Tuzla si trovano 250.000 rifugiati e sfollati, molti di loro hanno subito torture, stupri ed altre violenze psicologiche e fisiche. Il trauma è globale ed è reso più profondo e doloroso dal fatto che non si stanno avendo delle risposte adeguate sulle responsabilità delle violazioni".
Pur non potendo pertanto considerare l'attuale situazione in Bosnia-Erzegovina come un contesto di emergenza in senso stretto, nè tantomeno di post emergenza, le condizioni psicologiche di buona parte delle persone che hanno vissuto gli anni dell'assedio sono tuttora devastanti e necessitano di una attenzione particolare in termini di intervento post trauma. Questa tesi vuole pertanto raccontare da un lato la mia esperienza di tirocinio vissuta lì, dall'altro le storie di tante persone che tuttora portano i ''segni'' dei traumi subiti in seguito alla guerra. Inolotre si è focalizzata l'attenzione sui diversi interventi messi in atto, ancora oggi, da diverse ONG ed associazioni locali (che ho avuto la fortuna di affiancare ed incontrare nel loro lavoro) che continuano a lavorare sul tema della salute mentale e direttamente su donne, ragazzi e altri sopravissuti all'assedio che continuano a soffrire di PTSD e di tanti altri sintomi connessi al trauma.
Nel parlare di tutto ciò ovviamente si è fatto riferimento sia ad alcuni elementi teorici oggetto della psicologia d'emergenza e delle catastrofi, sia a quanto teorizzato da Michele Giannantonio sulla psicotraumatologia (PTSD e altre categorie diagnostiche, teoretica e clinica dei disturbi post-traumatici), che ad altre teorie riguardanti l'intervento psicologico in emergenza e post emergenza.
Pertanto, dopo una prima parte introduttiva relativa ad alcune notizie storiche sulla BiH, si passa ad illustrare il quadro concettuale e metodologico che mi ha permesso di leggere e capire i fenomeni sociali e psicologi osservati (quello della psicologia d'emergenza e della psicologia dell'emergenza collettiva). A questo seguono alcune notizie generali su Ai.Bi e sulla mia esperienza di tirocinio, focalizzando soprattutto l'attenzione su due aspetti: le reazioni dei bambini ai traumi ed alcuni studi in merito, alcune considerazioni cliniche e metodologiche relative alla diagnosi e rognosi del PTSD.
Una presentazione particolare meritano alcuni concetti chiave della ''Psicologia dell'emergenza'' e della ''Psicologia dell'emergenza collettiva''.
La psicologia dell'emergenza è ''quello specifico ambito di studio e di applicazione che mira, in un contesto di emergenza, a preservare e rispristinare l'equilibrio psichico delle vittime, dei parenti e dei soccorritori, in seguito all'effetto destabilizzante di eventi catastrofici e traumatici in senso lato''. (M.Cusano, A.Napoli)
Finalità specifiche sono anche:
Facilitare la riparazione del tessuto sociale lacerato;
Promuovere il recupero dell'identità e della sicurezza collettiva;
Coadiuvare gli organismi pubblici e privati nella attivazione dei loro interventi.
Gli ambiti di cui più si occupa la psicologia di emergenza, quindi, sono:
-Le situazioni di emergenza e le emergenze psicologiche;
-I fenomeni psicologici caratteristici delle situazioni di emergenza;
-Le tecniche di intervento in situazioni di emergenza;
Per ''situazione di emergenza'', secondo la FEMA (Federal Emergency Management Agency) e l'Emergency Management Institute, si intende ''Un evento che minaccia, o effettivamente rischia, di danneggiare persone o cose''. L'attenzione posta alla variabile ''minaccia'' ci fa capire che i destinatari del supporto psicologico in situazioni di emergenza non sono solo coloro che hanno direttamente e concretamente subito l'evento traumatico, ma anche quanti ne hanno subito a vario titolo la minaccia, e quindi le possibili coseguenze a livello della loro integrità fisica e psichica. Da tale definizione, inoltre, deriva un altra importante osservazione utilissima e fondamentale per la mia esperienza in Bosnia e per capire lo stato di emergenza attuale che ancora è presente. Infatti l'emergenza può essere una condizione tale che nel coinvolgere persone e cose contemporaneamente diventa un evento ad effetto così ampio e diffuso che si connota anche come fenomeno sistemico sociale. Questo è quello che a mio avviso è accaduto in Bosnia-Erzegovina e che fa si che alcune emergenze determinano situazioni che condizionano il sistema sociale nel suo complesso, con inevitabili effetti sui singoli e sulla comunità. E' per questo che, a mio avviso, gran parte degli interventi psicologici oggi in atto in questo paese possono ancora essere considerati interventi di psicologia di emergenza e pertanto vanno pensati e programmati come tali.
Infine, ritengo, per l'esperienza fatta, che la situazione in cui si trova oggi la Bosnia-Erzegovina ci permette, stando alle definizioni, di considerarla una emergenza psicologica collettiva. Pertanto va attenzionata e ''trattata'' come tale facendo riferimento alla psicologia dell'emergenza collettiva. Quest'ultima ha come specifica finalità lo studio, la prevenzione ed il trattamento dei danni psichici che si determinano nel singolo e dei danni psico-sociali che si producono nella sua comunità, in seguito all'esperienza di un evento disastroso (sia esso di origine naturale o altra). Oggetto di attenzione e di studio della psicologia dell'emergenza collettiva sono, quindi, sia il singolo che la sua comunità di appartenenza, la cui esistenza viene destabilizzata dalla stessa circostanza psicotraumatica o dai fenomeni ad essa riferibili'' (A. Napoli). E' pertanto ad entrambi che occorre prestare attenzione quando si pensa agli interventi da attuare per aiutare chi colpito da trauma ''collettivo''. Concludo dicendo che da questo punto di vista ho visto molte associazioni in BiH operare rivolgendo la giusta attenzione a questi due livelli.
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