Un paper dove si va oltre la critica alle politiche degli aiuti umanitari per dedicare spazio agli esempi positivi di cooperazione sostenibile su piccola scala, come quello della cooperazione Trento-Prijedor. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Prijedor, inverno 2010. Nell’ufficio dell’Agenzia della Democrazia Locale si susseguono alcune delle persone che tra il 2001 e il 2009 hanno partecipato ai progetti “Diventa imprenditore” e “Giovani agricoltori”, finanziati dalla Provincia Autonoma di Trento. Sono venuti a raccontare le loro storie a qualche anno dalla conclusione dei progetti che li hanno visti protagonisti. Ci sono un ex direttore di banca che dopo la guerra ha fatto della passione per i funghi un lavoro, una giovane studentessa universitaria che con i suoi campi di fragole mantiene tutta la famiglia, una sarta che ha aperto un piccolo laboratorio nel centro della città. Sono storie di speranza, di determinazione, di intraprendenza: la voglia di rimboccarsi le maniche non manca, e l’occasione giusta è arrivata da Trento.
I progetti, realizzati in collaborazione con le autorità locali, puntavano a rivitalizzare l’area di Prijedor creando posti di lavoro e piccoli business compatibili con le necessità del territorio. L’aiuto di Trento non si è concretizzato solo in termini finanziari, ma anche formativi: tutte i partecipanti hanno frequentato un corso di preparazione, alcuni hanno svolto un periodo di stage in Trentino, sono stati seguiti nella stesura di un business plan, nella fase di avvio dell’attività, e in alcuni casi anche ad attività avviata. Il mio periodo di ricerca sul campo si prefigge di analizzare l’impatto che questi progetti hanno avuto sulla vita dei loro partecipanti: la cooperazione tra Trento e Prijedor è infatti il tema della mia tesi di laurea specialistica, la ricerca sul campo è finanziata dall’Università di Bologna.
A Prijedor sono arrivata chiedendomi se davvero la cooperazione allo sviluppo potesse contribuire ad alleviare la povertà. Si può ancora credere nella cooperazione dopo aver assistito allo spreco di aiuti umanitari nell’ex Jugoslavia, a progetti implementati adottando modelli preconfezionati che poco hanno a che fare i bisogni locali?
Questo paper, sintesi della mia tesi di laurea, si propone di andare oltre la critica agli aiuti umanitari per dedicare spazio agli esempi positivi di cooperazione sostenibile su piccola scala, come quello della cooperazione Trento-Prijedor.
Le città sono coinvolte fin dal 1997 in un rapporto di cooperazione che segue i principi dell’approccio comunitario, basato sullo scambio reciproco di buone pratiche e conoscenza (vedi il libro di Cereghini e Nardelli “Darsi il tempo”). Questa innovativa strategia d’aiuto si propone di promuovere lo sviluppo locale senza danneggiare le comunità riceventi e sprecare grandi somme in progetti insostenibili, favorendo orizzontalità e reciprocità e superando pertanto la dicotomia “donatori attivi-beneficiari passivi”.
Il paper fornisce una valutazione empirica dell’applicazione di questo approccio, analizzando nello specifico due progetti e mettendone il luce sia gli aspetti positivi che le criticità. I limiti contro cui si sono scontrati i partecipanti sono infatti legati più alla carenze del territorio che alla modalità di cooperazione adottata. In molti casi, i problemi incontrati sono stati di natura strutturale: la mancanza di sbocchi sul mercato, ma soprattutto il complicato assetto istituzionale del paese che scoraggia qualsiasi tipo di attività imprenditoriale. Nonostante questo, la relazione tra Trento e Prijedor rimane un esempio positivo di cooperazione, in un contesto in cui gli aiuti internazionali hanno stretto la Bosnia Erzegovina in una morsa di dipendenza che, a 20 anni dalla fine della guerra, ancora la attaglia.
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