Un'immagine tratta dal film Grbavica, di Jasmila Zbanic, che tratta del tema della violenza sulle donne in Bosnia Erzegovina

Come hanno trattato i quotidiani italiani la questione dello stupro durante la guerra in Bosnia Erzegovina? Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

22/05/2012 -  Aruna Cutrignelli

Con questa tesi ho voluto denunciare l'utilizzo del corpo della donna in tempo di guerra e la disinformazione a riguardo. L’analisi dello stupro in tempo di guerra parte dall’ipotesi che questo fenomeno sia sempre esistito, come questo crimine venga considerato un “danno collaterale” e come ciò abbia contribuito alla nascita di una pratica sistematica.

Ritenevo interessante analizzare, seppur brevemente la giurisprudenza riguardo lo stupro in guerra, partendo dal processo di Norimberga dove nessun imputato fu condannato per stupro, fino al 2001 quando il Tribunale Penale Internazionale per l'Ex Yugoslavia dove per la prima volta l'aggressione sessuale venne investigata per la persecuzione di tortura e asservimento come crimini contro l'umanità.

Mi sono soffermata sulla definizione di stupro etnico: le donne vengono violentate non solo perché donne, ma anche perché collegate ad un'etnia, un'ideologia politica o una religione.

Ho esposto più dettagliatamente il caso bosniaco.

Nel conflitto serbo-bosniaco, l'utilizzo dello stupro è stato sistematico, rientrando in una strategia ben predefinita. Sottolineando, in questo caso, la particolarità dell'intento serbo di imporre una gravidanza coatta alle donne musulmane violentate, il loro scopo era quello di “creare” una nazione solo di serbi e attraverso la gravidanza forzata queste donne avrebbero partorito bambini serbi, in quanto nella mentalità degli assedianti era l'uomo a trasmettere l'etnia.

Tutto questo per arrivare alla conclusione della mia tesi, con l’analisi degli articoli di giornale nelle testate giornalistiche italiane, riguardo il tema dello stupro nel conflitto in Bosnia.

È stato dimostrato come giornalisti e reporter di tutto il mondo hanno dovuto fronteggiare un compito arduo, quello del mantenimento dell’obiettività professionale di fronte alla difficile ricerca di notizie attendibili.

Il fatto poi che l’informazione di guerra è essenzialmente orientata e parziale sembrerebbe a priori rendere scontato e prevedibile l’esito della domanda principale della ricerca, relativa alla stampa italiana in rapporto al conflitto iugoslavo. Come ulteriore conferma di ciò è stata proposta un’analisi minuziosa e monitorata, che è stata utile nel rendere visibile i metodi di selezione, di presentazione e, talvolta, di manipolazione delle notizie di modo da diffondere saperi preorientati.

Va anche considerato che in molti casi, è stato il giudizio moralistico a prevalere sull’informazione, spesso politica, e sulla conoscenza storica, determinando una sorta di squilibrio nella scrittura. Si è costruito così un crescendo di notizie enfatiche , talvolta ripetitive, che spesso non sono state in grado di offrire il quadro complessivo della situazione: facendo leva principalmente sulle emozioni piuttosto che sulle conoscenze, i giornali di frequente hanno esposto i drammi delle popolazioni coinvolte alla compassione collettiva, senza proporre, nella maggior parte dei casi, una spiegazione contestualizzata a dovere.

La maggior parte dei giornalisti, salvo poche eccezioni, ha proposto essenzialmente storie individuali e fatti di vita quotidiana che si sono rivelati grandi strumenti di manipolazione dell’informazione e degli eventi storici: l’articolo ad effetto ha infatti avuto la capacità di far immedesimare il lettore in storie specifiche, provocando in lui svariati sentimenti, quali lo sdegno e la commozione. I singoli casi sono diventati così emblematici rappresentati di un intero universo di cui si traccia però solo un vago, indefinito perimetro.

Il dramma degli stupri nei Paesi di guerra ha suscitato un’attenzione troppo debole rispetto a quella richiesta e soprattutto non costante, con conseguenze destabilizzanti.


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