Corruzione e stupri nelle missioni Onu in Bosnia Erzegovina. I peacekeeper dell'Onu diversi dagli eserciti che si combattevano? Secondo questa tesi di laurea no. Riceviamo e pubblichiamo
È di certo risaputo quale sia la mentalità delle forze militari: maschilismo, corruzione e stupro hanno da sempre accompagnato il passaggio delle milizie in ogni guerra. L’associazione tra caschi blu e pacificazione invece, viene ritenuta quasi spontanea: questa tesi vuole porre dei forti dubbi su queste credenze mentre vuole sottolineare la completa omologazione degli agenti delle Nazioni Unite con tutti gli altri eserciti nazionali.
Per dimostrarlo, ho scelto la Bosnia e i fatti jugoslavi come mio campo di battaglia prendendo in considerazione non solo i casi di corruzione, stupro, spaccio e traffico di persone di cui si sono macchiati i peacekeepers durante il conflitto tra il 1992 ed il 1995, ma anche alcuni casi avvenuti successivamente al trattato di Dayton.
Per entrare nel vivo della mia ricerca ho avuto la possibilità d’intervistare l’ex generale delle forze armate bosniache Jovan Divjak ed il poeta Senadin Musabegovic a Sarajevo, mentre una volta in Italia ho intervistato il giornalista Paolo Rumiz e la giornalista bosniaca Azra Nuhefendić.
Nel primo capitolo ho raccontato i fatti avvenuti nelle altre missioni ONU, in Cambogia ed in Africa, per poi tornare in Bosnia nel periodo post bellico e raccontare di come i rapporti degli agenti internazionali s’intrecciassero con quelli della Mafia balcanica e con la corruzione dilagante nella polizia locale. Invece di adempiere ai loro doveri, gli agenti delle Nazioni Unite non solo visitavano ed usufruivano dei servizi sessuali che le donne erano costrette a dare, ma compravano i loro passaporti e le donne stesse dai trafficanti per poi utilizzarle come schiave del sesso nei loro appartamenti o stuprarle una volta loro proprietari. Nonostante la gravità degli avvenimenti ed i numerosi casi, gli agenti internazionali non subirono un benché minima conseguenza: vennero rimpatriati e le tracce delle accuse cancellate.
Nel secondo capitolo, mi sono invece concentrata sui casi di corruzione e stupro durante la guerra nei Balcani: i peacekeepers chiedevano prestazioni sessuali in cambio di benzina, cibo e sigarette. Le ragazze venivano fatte passare attraverso il filo spinato delle caserme e costrette a vestirsi in maniera provocante, il tutto per il soddisfacimento dei piaceri sessuali degli eroi internazionali. Per quanto riguarda invece la compravendita di beni ad esempio, il generale Divjak mi raccontò di come i caschi blu Ucraini comprassero delle auto per 3.000 Deutschmark e le rivendessero all’estero facendole passare proprio per la ex-Jugoslavia.
Infine nel terzo capitolo, mi sono concentrata su un caso singolo, quello che ha riguardato l’ex Generale Canadese Lewis Mackenzie (a capo della missione ONU a Sarajevo tra il febbraio e l’ottobre del 1992), accusato di aver stuprato quattro ragazze bosniache provenienti dal campo di stupro istituito dai serbi a Vogošća, pochi chilometri a nord di Sarajevo. Numerosissime testimonianze di sopravvissuti e degli stessi serbi documentano di aver visto non solo il generale stesso ma anche altri militari internazionali festeggiare fino a notte fonda ed usufruire sessualmente delle donne detenute.
Anche in questo caso non vi fu un processo ed i fatti vennero archiviati il più velocemente possibile. L’atteggiamento delle Nazioni unite è quindi il vero colpevole della corruzione e della violenza perpetuati dai militari e civili internazionali: l’insabbiamento ed il silenzio sono e rimangono le uniche azioni intraprese dall’ONU, azioni che continueranno a trasformare i pacificatori in carnefici.
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