Redazione 22 agosto 2023
Minore migrante © Fishman64 Shutterstock

Il Tribunale di Roma ha riconosciuto l’illegittimità del respingimento di un minorenne afgano e richiedente asilo dal porto di Brindisi in Grecia. Ha ordinato alle autorità di consentire il suo ingresso in Italia, eventualmente attraverso il rilascio un visto per motivi umanitari. Un risultato raggiunto grazie a realtà della società civile

Fonte: ASGI

Il Tribunale di Roma, dopo avere riconosciuto l’illegittimità del respingimento di un cittadino afghano minorenne e richiedente asilo dal porto di Brindisi in Grecia, ha ordinato alle autorità amministrative di consentire l’ingresso in Italia del ricorrente, eventualmente attraverso il rilascio un visto di ingresso in Italia per motivi umanitari, e provvedere alla registrazione della domanda di protezione internazionale.

Censura delle riammissioni informali e violazioni dei diritti

Alcuni aspetti che emergono dalla decisione vanno sottolineati: innanzitutto il Tribunale censura la prassi delle riammissioni informali sulla base di accordi intergovernativi (nel caso di specie tra Italia e Grecia, ma potrebbero essere anche quelli con la Slovenia o la Francia) e le modalità attuative degli stessi, la cui responsabilità deve comunque essere imputata allo Stato.

Si rammenta che, non essendo ratificati dal Parlamento ai sensi dell’art. 80 della Costituzione Italiana, tali accordi bilaterali non possono “introdurre modifiche o derogare alle leggi italiane o alle norme di derivazione europea o internazionale vigenti nell’ordinamento italiano. Contrariamente, la prassi delle riammissioni informali attuata in base a tale accordo viola diverse norme di legge”.

Difatti “il riaccompagnamento alla frontiera determina una inevitabile e profonda incisione della sfera giuridica e della libertà della persona interessata, restrizione chiaramente avvenuta nel caso di specie, in cui il ricorrente è stato fermato, trattenuto dentro una cabina del traghetto, trasferito in altro luogo e consegnato alla custodia degli agenti di un Paese straniero, senza possibilità di sottrarsi alla procedura. A nulla rileva che fisicamente il trattenimento sul traghetto non sia stato posto in essere dalle autorità di frontiera (bensì dal personale di bordo), come rileva l’Amministrazione, posto che quanto ivi accaduto e, successivamente, quanto accaduto una volta rientrato in Grecia (dove il ricorrente ha esposto di essere stato trattenuto in una cella al porto di Igoumenitsa) è evidente conseguenza dell’operato delle autorità di frontiera italiane ha messo in luce alcuni aspetti normativi di particolare interesse che hanno svolto un ruolo determinante nel processo decisionale”.

Ciò, infatti, è contrario all’art. 13 della Costituzione, alle leggi sul procedimento amministrativo ed agli artt. 10, c. 2 bis e 13, c. 5 bis del d.lgs. 286/1998. Inoltre “l’assenza di un provvedimento impugnabile finisce per privare la persona sottoposta a riammissione dei propri diritti alla difesa e ad un ricorso effettivo, in violazione dell’art. 24 della Costituzione Italiana, dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”.

Responsabilità per violazioni delle condizioni di accoglienza

Ancora, pur consapevole delle tremende condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Grecia, la Giudice afferma anche che “La responsabilità per le relative violazioni si configura inoltre anche nell’ipotesi in cui lo Stato membro sia a conoscenza (o possa ragionevolmente esserlo) che il rischio reale e attuale di condotte lesive dell’integrità e dignità della persona si concretizzi non nel primo Paese in cui la persona è respinta (tappa intermedia), bensì in un altro successivo luogo definitivo” facendo così risaltare i pericoli dei “respingimenti a catena”.

Mancata verifica delle condizioni del richiedente asilo

Il Tribunale sottolinea altresì come lo Stato italiano non abbia “verificato la condizione specifica del ricorrente (come peraltro si evince nella stessa documentazione prodotta da parte resistente, in cui risulta spuntata la mancata verifica nel sistema Eurodac e l’assenza di riferimento ad altro strumento) e non ha dunque accertato le conseguenze che questi avrebbe subito a seguito della riammissione, dovendo rilevarsi che esso ha attuato la riammissione pur avendo conoscenza (o almeno trovandosi nella condizione di avere conoscenza) della posizione peculiare del ricorrente e altresì delle violazioni e carenze sistemiche alle quali sarebbe stato esposto in Grecia, fatti che, anche alla luce delle numerose fonti richiamate in atti, possono dirsi notorie, almeno agli operatori nel settore”.

Emerge, altresì, l’ampio spirito di collaborazione tra le organizzazioni ASGI, No Name Kitchen , Lungo La Rotta Balcanica , Equal Rights Beyond Borders che ha permesso di conseguire questo importante risultato.

ASGI ritiene fondamentale che le istituzioni italiane emanino specifiche direttive rivolte agli organi della Pubblica Amministrazione ed alla Polizia di Frontiera affinché le prassi delle riammissioni  informali a tutte le frontiere italiane cessino immediatamente.

Rilevanza della sentenza

Ciò che rende rilevante questa decisione è anche il fatto che riguarda una riammissione dalla frontiera marittima, evidenziando quanto continua ad accadere ai porti adriatici - le riammissioni di richiedenti asilo e minori soli - in continuità con le prassi per le quali l’Italia è già stata condannata nel 2014 dalla CEDU (Sentenza Sharifi), come Asgi e il Network dei Porti Adriatici denunciano da anni. La decisione del Tribunale di Roma, così quanto emerso anche da una recente indagine di Lighthouse Reports , confermano pertanto la necessità di mantenere aperta la procedura di supervisione sull’attuazione della sentenza Sharifi.

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