I ricordi di giovani studentesse delle classi terze del liceo artistico Orsoline di Milano, del viaggio di istruzione avvenuto in Bosnia Erzegovina su organizzazione di Confluenze a Sudest e ViaggiMiraggi. Riceviamo e volentieri pubblichiamo la prima parte
Fonte: Confluenze a Sudest
Una gita non solo di viaggi e paesaggi ma anche di incontri. Le nostre giornate in Bosnia Erzegovina sono state costellate da incontri quotidiani molto interessanti anche perchè diversi fra loro e inseriti nei diversi contesti in cui siamo stati.
Il primo è stato a Jajce, ci ha accolto un piccolo gruppo di giovani, non solo bosniaci (e già questo ci ha colpito) ma anche cittadini di altri paesi che lì stavano facendo un’esperienza di volontariato e conoscenza.
Il gruppo gestisce un centro giovanile che organizza iniziative e si batte contro la segregazione su base etno-nazionale che ancora esiste, nonostante la legge la proibisca, in alcune scuole della Bosnia Erzegovina. L’incontro è stato molto interessante perchè i ragazzi, dopo una breve presentazione, hanno condiviso con noi un’attività laboratoriale che ci ha fatti confrontare con loro proprio sul rapporto fra scuola e libertà.
Il secondo, doppio incontro, lo abbiamo avuto in una galleria d’arte a Sarajevo.
Ad accoglierci c’era una ragazza italiana che vive a Sarajevo e alcuni anni fa ha fondato un’organizzazione locale impegnata ad indagare il rapporto tra arte, memoria e conflitti.
Proprio lei ci ha organizzato una delle cose più emozionanti del viaggio: l’incontro con un’artista bosniaca che, dopo essersi presentata e averci raccontato un po’ il suo lavoro, ci ha fatto realmente partecipare a una sua performance artistica dedicata al genocidio di Srebrenica, performance che lei aveva già portato a Venezia, New York e in tante altre città del mondo.
Abbiamo vissuto il rito del caffè bosniaco intanto che ci raccontava di questo monumento alla memoria fatto di tazzine di caffè che ogni volta fa e disfa con le persone, in memoria delle persone.
Viaggiando verso Mostar abbiamo ascoltato, scalze e velate le parole di una giovane mussulmana nella piccola e bellissima tekija di Blagaj.
A Mostar, insieme al ponte, ci ha atteso l’ultima delle persone, l’ultimo degli incontri e racconti prima del ritorno. Un giornalista ci ha raccontato con quanta fatica, impegno e passione ha cercato e cerca di ricucire i fili delle due comunità divise dalla guerra e ancora ferite. Lo fa insieme ad altri con incontri, iniziative, concerti senza stancarsi anche se traspariva dalle sue parole, insieme alla speranza una evidente nota di tristezza.
Viaggiare così fa la differenza.
Studentesse di classi terze del liceo artistico Orsoline di Milano
La docente di fotografia, al momento della partenza, ha chiesto loro di fare alcune foto e una volta tornate a casa corredarle di testi per spiegare cosa le aveva spinte a quel particolare scatto. Riportiamo qui il reportage di Elisa
Gradiška, 1 aprile
Questa è stata la prima foto scattata in Bosnia Erzegovina: ci eravamo fermati per una pausa appena dopo il confine e ho visto questo supermarket, l’ho trovato molto diverso rispetto a quelli a cui sono abituata, soprattutto i colori. Non avevo aspettative su questo paese, non sapevo proprio cosa aspettarmi, forse è per questo che ho avuto una strana sensazione durante il viaggio. Non conoscevo quel paese, non avevo mai visto delle foto della Bosnia e per questo mi sono sentita persa.
Jajce, 2 aprile
Questi disegni rappresentano molti dei politici comunisti, sono tutti rappresentati dietro ad un leggio, intenti a parlare. Sono stati realizzati in occasione di loro discorsi al tempo della Seconda guerra mondiale, a quei tempi era vietato fotografarli e quindi qualcuno ha realizzato questi disegni. Non ho potuto non tenere questa foto perché sono dei disegni fatti con estrema precisione, soprattutto i volti.
Jajce, 2 aprile
Ho scattato questa foto nel museo in cui è nato il comunismo, come anche la foto precedente, queste carte sono state disegnate a mano e le figure raffigurate sopra sono molto diverse da come siamo abituati noi. La regina e il fante hanno abiti come i carcerati, inoltre il fante porta in braccio un corpo morto: come se fosse il suo cavallo morto. Il re è rappresentato da uno scheletro con una clessidra in mano, come se fosse la morte che aspetta la fine del tuo tempo.
Sarajevo, 3 aprile
Mi ha colpito molto la convivenza ravvicinata della guerra con la ricostruzione, questo fenomeno è caratteristico di questa città ma qui mi è sembrato ancora più potente: per questo ho deciso di tenere questa foto.
Sarajevo, 3 aprile
In una città che ancora è pervasa dalla tristezza e dagli orrori della guerra si può comunque trovare del colore, sia tra le bancarelle, come ad esempio queste bellissime lampade e servizi da caffè, ma anche tra le persone. La proprietaria di questo negozio infatti, anche attraverso una lingua non propria di nessuna delle due, è riuscita ad accogliermi con grandissimo calore e con il cuore aperto.
Mostar, 4 aprile
Sono rimasta colpita dal racconto di Eugenio, raccontato durante uno dei nostri tragitti in autobus: molti dei rifugiati della guerra, che erano scappati dalla Bosnia, tornati in patria avevano iniziato a ricostruire le case. I lavori si protraevano spesso per diversi anni: questo “non finito da ricostruzione” l’ho notato in molte case e in tutto il nostro viaggio. Inoltre mi capitava spesso di vedere case senza il parapetto del balcone, situazione ancora più insolita; così quando ho visto questa casa che racchiudeva tutte e due queste caratteristiche di cui sono rimasta colpita non ho potuto non scattare una foto.
Mostar, 4 aprile
In Bosnia ho visto molti cimiteri: erano diversi da come sono abituata io, erano tutti bianchi e veramente grandi, segno dei tanti caduti della guerra ancora giovane. Ogni giorno io e i miei compagni abbiamo notato che, appena ci guardavamo attorno, vedevamo almeno un cimitero. Ho deciso di tenere almeno questa foto per ricordarmi della ricorrenza giornaliera dei cimiteri in Bosnia.