La condizionalità è considerata "il" veicolo della democratizzazione e dello state-building perché Paesi in transizione si adeguino alle norme della comunità internazionale. La seconda parte di un'analisi sull'aiuto estero ai Balcani
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Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Gli studiosi l'hanno di volta in volta elogiata come "il subcontesto più recente, e in via di rapida espansione, per l'esercizio dell'influenza internazionale" (Schmitter) o "la strategia centrale delle organizzazioni internazionali per indurre Stati non membri a conformarsi alle regole fondamentali dell'essere Stato" (Schimmelfennih, Engert e Knobel).
La condizionalità è stata molto applicata nell'intervento internazionale nei Balcani ed è in generale il principale contesto di collaborazione tra la regione e la comunità internazionale. Sicuramente è stato un principio guida nell'assistenza dell'UE al sud est Europa; per giunta, anche il coinvolgimento degli Stati Uniti nella regione ha spesso assunto il carattere di un intenso condizionamento.
Quello che l'Occidente considera come il più grande successo della sua politica di condizionalità nei Balcani è l'estradizione all'Aja dell'ex presidente serbo Slobodan Milosevic nel 2002. Quell'anno gli aiuti stranieri alla Serbia arrivarono a 2,5 miliardi di dollari, con il più grande incremento singolo nell'allocazione di aiuti mai visto nella regione. Nel 2001 il Paese ottenne infatti circa 1,5 miliardi di dollari. Taluni media occidentali commentarono che Milosevic era stato venduto in cambio degli aiuti. La maggior parte di questi consistevano tuttavia in cancellazione del debito. La Serbia fino alla caduta di Milosevic, nell'ottobre 2000, era sottoposta ad un embargo degli aiuti. Immediatamente dopo la svolta democratica gli aiuti iniziarono ad affluire e continuarono ad essere legati al monitoraggio periodico sui progressi democratici del Paese (ad esempio nella cooperazione con l'Aja).
Tradizionalmente la condizionalità è intesa come la possibilità da parte dei Paesi donatori di porre delle condizioni perché sia riconosciuta un'assistenza economica e allo sviluppo. Trae origine dalle politiche di prestiti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, che legavano i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo al raggiungimento di alcuni obiettivi in ambito economico e finanziario; le condizioni che dovevano essere soddisfatte erano, in questi casi, di ordine socio-economico e finanziario. In parte, queste forme di condizionamento erano e tuttora sono assai diverse da quelle utilizzate nelle relazioni tra la UE o gli USA e i Balcani. La condizionalità delle istituzioni finanziarie internazionali veniva condotta discretamente, in via confidenziale, per non offendere i Paesi in oggetto.
La gestione della condizionalità da parte di UE ed USA verso i Balcani ha assunto invece una forma che è andata ben oltre una persuasione diplomatica a porte chiuse ed ha coinvolto in grande misura anche le opinioni pubbliche ed i media locali. L'altra novità essenziale rispetto alla condizionalità classica, in cui i Paesi dovevano ottemperare a certe condizioni economiche, è che ora essa viene utilizzata per legare risposte politiche ad obiettivi politici e non più esclusivamente macroeconomici.
Benché la si definisca comunemente "condizionalità democratica", essa non è né particolarmente democratica in quanto meccanismo, né è stata esclusivamente usata per il raggiungimento di obiettivi che riguardino la promozione della democrazia. La condizionalità è stata ampiamente usata dalla comunità internazionale nei Balcani per far sì che i governi della regione si conformassero a degli standard, dalla protezione dei diritti umani al rispetto delle minoranze, all'estradizione dei criminali di guerra o, in taluni casi, all'approvazione o al respingimento di certe opzioni politiche. L'ottemperare a tali condizioni era richiesto affinché sanzioni venissero revocate o non imposte, affinché aiuti esteri venissero assegnati, o perché non fosse fermato il processo di integrazione internazionale di un Paese, o in alcuni casi perfino la fornitura del gasolio da riscaldamento.
Una critica che viene mossa alla condizionalità riguarda la pratica dei doppi standard, con particolare riferimento all'integrazione nell'UE: in concreto infatti ai Paesi non membri sono richiesti standard più alti di quelli degli Stati membri. Un esempio spesso citato al riguardo sono le politiche sui diritti delle minoranze, e il fatto che l'UE richiede ai Paesi candidati di stabilire per la protezione delle minoranze standard più alti di quelli esistenti nell'UE stessa. Sulla stessa falsariga è il comportamento degli Stati Uniti, che insieme all'UE hanno fortemente condizionato il supporto ai Balcani all'estradizione dei criminali di guerra al Tribunale penale internazionale, ma si sono anche strenuamente opposti all'idea di una Corte penale internazionale.
La condizionalità potrebbe suonare bene in teoria ma nella realtà può risultare ingiusta in diversi modi, benché la percezione della sua equità possa variare lungo lo spartiacque tra chi la applica e chi ne è fatto oggetto.
Nel maggio 2002 il Primo ministro britannico Tony Blair suggerì che la condizionalità venisse utilizzata verso quei Paesi, inclusi quelli dell'ex Jugoslavia, che non riuscivano efficacemente a prevenire il flusso migratorio verso l'UE. L'idea era che la Gran Bretagna avrebbe tagliato gli aiuti se questi Paesi non fossero riusciti ad usare il pugno di ferro con gli emigranti clandestini che attraversavano le loro frontiere (The Guardian, 20 maggio 2002). Il Regno Unito chiese e ottenne il supporto della Spagna per porre la proposta in cima all'agenda del summit dell'UE svoltosi nel giugno 2002 a Siviglia, e renderla così una linea politica dell'UE. Al summit, tuttavia, la proposta fu mitigata di fronte all'opposizione di alcuni Paesi membri. Il Primo ministro svedese Goran Persson definì 'stupida' la proposta, e il ministro britannico Claire Short, la bollò come 'moralmente ripugnante'.
Sulla diversità di vedute espresso dai vari donatori riguardo al principio di condizionalità, un interessante caso studio viene dalla Serbia nel 1999. Nell'autunno di quell'anno l'opposizione serba chiedeva agli USA di allentare le sanzioni economiche sulla Jugoslavia (che possono essere viste come una dura forma di condizionalità negativa ex-ante) con la motivazione che alcune di esse, come l'embargo sul gasolio da riscaldamento, ricadevano molto pesantemente sui comuni cittadini, mentre in effetti aiutavano Milosevic a rimanere al potere, dato che egli poteva incolpare l'Occidente della difficile situazione del Paese. Mentre molti Paesi dell'UE concordarono con questo punto di vista, la posizione degli USA fu che con l'opposizione serba disunita a causa delle rivalità personali, l'unica cosa che poteva far crollare Milosevic era una "rivolta popolare di massa causata dalla gravi privazioni di quell' inverno" (The Washington Post, 26 ottobre 1999). Nella visione degli Stati Uniti, revocare le sanzioni avrebbe potuto mandare a Milosevic il messaggio sbagliato.
Il ragionamento di Bruxelles era differente. Cercando di dare ascolto e di dare una risposta alle richieste dell'opposizione serba, l'UE decise di agire in modo opposto rispetto agli USA e di inviare forniture di gasolio per riscaldamento per alleviare le privazioni dei cittadini, ma solo alle municipalità serbe governate dai partiti di opposizione. Così nacque il progetto chiamato "Energia per la democrazia". La carota, come è implicito nel nome del progetto, era data come premio per l'impegno nello spirito della democrazia. Allo stesso tempo, ciò doveva allettare le altre municipalità in Serbia a schierarsi contro il presidente.
Ci sono opinioni divergenti sull'efficacia di questo progetto. Secondo chi forniva gli aiuti, cioè la Commissione Europea, esso fu un esempio di chiaro successo. Secondo alcuni punti di vista locali, provenienti in particolare dalle municipalità escluse, esso fece sì che la popolazione vedesse l'aiuto estero come molto politico ed inumano. Ciò che è problematico in questo caso è che un premio di classico carattere umanitario era associato a scelte politiche, il tutto nel nome della democrazia. La domanda che sorge è: un tale tipo di intervento, che distribuisce essenzialmente degli aiuti umanitari, è democratico?
Alcuni risultati significativi nel percorso di democratizzazione sono stati raggiunti anche attraverso il potere condizionante della comunità internazionale, soprattutto in relazione alla nuova politica dell'UE di legare le condizionalità alla prospettiva di integrazione dei Balcani nelle istituzioni europee attraverso il Processo di Associazione e Stabilizzazione. Tuttavia, la condizionalità nei Balcani rimane per certi aspetti problematica ed il suo impiego è stato viziato da errori sia di natura etica, sia di valutazione, sia di procedura. Problemi come l'imposizione di doppi standard, incoerenze e parzialità, usi estensivi e spregiudicati hanno fatto sì che la condizionalità apparisse come un quadro non sempre lineare per l'intervento internazionale nel sud-est Europa.
Risto Karajkov è dottorando in Sviluppo economico presso l'Università di Bologna. "L'aiuto estero ai Balcani" è il tema della sua tesi di dottorato.
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