Foto: Operazione Colomba

Fabrizio Bettini è un volontario dell'Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace. Insieme a Gianpiero Cofano è stato in Georgia per monitorare la situazione dei profughi. Nostra intervista

27/10/2008 -  Roberta Bertoldi

Perché Operazione Colomba in Georgia? Quali gli ambiti dei suoi interventi?

La Comunità Papa Giovanni XXIII di cui l'Operazione Colomba è un'emanazione, è in Georgia già da un anno, precisamente a Batumi. Attraverso il lavoro di 4 volontari, cerca di creare una presenza, una casa famiglia per vivere l'aspetto sociale delle problematiche della Georgia. Operazione Colomba è un corpo civile di pace che ha tra i suoi obiettivi la condivisione della vita a fianco delle vittime dei conflitti e quindi dopo il conflitto di agosto stiamo cercando di organizzare la nostra presenza nelle zone colpite. Infine Operazione Colomba ha avuto un'attenzione nei confronti del Caucaso fin dal 2001 quando si è interessata alle conseguenze del conflitto ceceno.

Ora stiamo valutando anche la possibilità di una futura presenza nell'area di volontari per essere vicini alle persone dentro i campi profughi e seguirle fino ad un eventuale rientro nelle loro case. Oppure fare presenza nelle zone in cui la gente ha paura. Vorremmo organizzare anche un nostro intervento in Ossezia del Sud, sia a fianco della popolazione ossetina sia a fianco delle poche persone georgiane che sono rimaste, o di coloro che vogliono rientrare.

Quali sono le difficoltà maggiori?

Al momento i problemi sono dovuti alla difficoltà di avere un numero necessario di volontari. A ciò si aggiungono gli ostacoli burocratici. Essendo l'Ossezia del Sud una zona controllata e con un'impronta fortemente russa c'è, e immaginiamo ci sarà, un grande problema con la burocrazia. La nostra esperienza nel Caucaso del nord nel 2001 si è arenata non solo per motivi di sicurezza, ma proprio per i problemi burocratici che ci impedivano di muoverci liberamente nel territorio.

In questo viaggio dove siete stati?

Abbiamo cercato di vedere i vari aspetti del conflitto di agosto e tramite un contatto con la Caritas locale, abbiamo visitato alcuni campi profughi a Tbilisi.

Come funziona l'assistenza ai profughi?

Abbiamo constatato tre livelli di assistenza: da una condizione buona dove le persone sono accolte in un centro ben organizzato, con stanze ben sistemate e una mensa funzionante per passare ad un'accomodazione in un ex asilo con mensa meno organizzata e stanze comuni, fino ad un ex ospedale militare adibito a centro di accoglienza per i profughi e dove manca la corrente elettrica in tutto lo stabile, la gente deve organizzarsi gli spazi e la gestione cibo è improvvisata.
La mia impressione è che il circo umanitario sia arrivato in Georgia insieme a molti soldi ma la gestione di queste risorse non sia trasparente.
Un'organizzazione ci diceva "lo stato georgiano ci chiede di ristrutturare le scuole o i locali dove sono ospitati i profughi ma se noi ristrutturiamo questi edifici poi non abbiamo denaro a sufficienza per ricostruire le case delle persone, e quindi facciamo solo un regalo allo stato georgiano".

Foto: Operazione Colomba

Per i profughi esiste una forte incognita sul futuro . Non sanno immaginare che cosa li aspetti, non sanno dove e come andranno a finire. Aumenta così il sentimento di rassegnazione. I profughi con cui abbiamo parlato desiderano tornare a casa. "Noi non vogliamo un'altra casa vogliamo tornare a casa nostra" ci hanno detto e alla domanda "ma voi sperate che il governo vi farà ritornare a casa vostra"? Loro rispondevano "speriamo in dio".

Tuttavia abbiamo osservato che si stanno costruendo dei villaggi dove la gente dovrebbe andare. Questo ci fa capire che qualcuno probabilmente ha già deciso che queste persone non torneranno più alle loro zone di origine.

La popolazione come vede questa guerra?

C'è un sentimento di rabbia nei confronti del Presidente . La gente è convinta che Saakashvili con questa guerra abbia rovinato la ripresa economica del paese. In generale non mi sembra ci sia molto consenso alla guerra anche se i georgiani ora vedono la loro nazione amputata e sentono la frustrazione per essere stati derubati di qualcosa. La sensazione che ho avuto è che ci fosse la consapevolezza che si sono fatti anche dei passi sbagliati con la guerra di agosto.

Vi siete recati nella buffer zone tra Georgia e Ossezia del Sud

Sì, siamo stati a Nikosi, villaggio georgiano nella buffer zone abitato ora prevalentemente da persone anziane. Le case sono sistematicamente danneggiate. Alcuni anziani per la paura di trovarsi dinanzi delle persone armate, di notte si radunano in un'unica casa per dormire insieme. Le notti in cui noi siamo stati lì a dormire con questa gente, c'è stato effettivamente un gran sparare durante la notte. Si trattava di spari in aria. " Vogliono vedere se noi rispondiamo al fuoco, ci vogliono spaventare" diceva la gente.

Siete entrati anche in Abkhazia

Volevamo fare un'azione di monitoraggio anche in Abkhazia e siamo entrati senza particolari problemi. I problemi sono sorti quando abbiamo cercato di riattraversare il confine al ritorno. Alla frontiera siamo stati fermati dai militari russi che presiedono il confine e che ci hanno negato l'attraversamento del check point. Proprio in quei giorni erano in corso le manovre di ritiro delle truppe dalla zona di sicurezza. Di fatto i russi hanno così isolato l'Abkhazia vietando gli spostamenti a chiunque, sia in entrata che in uscita. Immaginiamo fossero una sorta di prove generali di rivendicazione e chiusura dei confini. Dopo un paio di giorni siamo riusciti a rientrare in Georgia.

Quali sono le condizioni della popolazione in Abkhazia?

Nel viaggio fino alla capitale Sukhumi abbiamo attraversato numerosi villaggi distrutti e abbandonati fin dalla precedente guerra del '93.
Anche a Sukhumi molti edifici danneggiati nella precedente guerra non sono ancora ricostruiti. Non c'è la capacità economica e molti uomini abili al lavoro e con competenze, sono emigrati da anni in Russia.
L'Abkhazia è una regione estremamente povera. Povera di popolazione innanzitutto perché vi abitano ora circa 250mila persone. Mi è sembrato un territorio senza futuro.


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