L'importanza della regione del Mar Caspio per la sicurezza energetica europea è ormai riconosciuta ma non esiste una strategia politica unitaria e prevale un approccio pragmatico
Baku e Ashgabat sembrano seriamente intenzionate a implementare il progetto di costruzione di un gasdotto sottomarino Transcaspico di cui si discute dal 1991.
Affinché il Caucaso possa giocare un ruolo di primo piano quale area energetica alternativa alle pipeline russe è necessario che vada a buon fine il costoso progetto gasiero Nabucco. L'integrazione sinergica di Nabucco e Transcaspico segnerebbe la nascita di un nuovo polo energetico.
Nei giorni in cui si consuma l'ennesima disputa politico-energetica tra Mosca e Kiev, sotto gli occhi di un'Europa preoccupata che i conflitti tra l'orso russo e l'Ucraina di Tymoshenko possano compromettere le forniture di metano al Vecchio Continente, a Baku, Azerbaigian una delegazione della UE guarda con interesse allo storico incontro tra la diplomazia azera e quella turkmena.
"La sicurezza energetica è uno dei punti principali della nostra agenda politica" - dichiara Dimitrij Rupel, ministro degli Esteri della Slovenia, paese che detiene la presidenza in questo semestre.
Le fa eco la Commissaria per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner sottolineando come gli accordi tra UE, Azerbaigian, Turkmenistan e Kazakhstan stiano procedendo nella direzione auspicata.
Dichiarazioni da cui traspare un ottimismo forse eccessivo e che testimonierebbero una chiara strategia energetica da parte della UE. In realtà la ricerca di energy providers alternativi rispetto alla Russia è iniziata piuttosto tardi, per tutta una serie di ragioni. Non ultima la viscosità decisionale di una UE imbrigliata in estenuanti politiche di mediazione tra i diversi stati membri. Una ricomposizione di conflitti/interessi/equilibri complicata sia dalle relazioni multilaterali che ogni stato membro intrattiene con Gazprom, sia dalla forza dell'asse Roma-Parigi-Berlino da sempre vicino a Mosca.
La tesi sposata da Mark Hester, editore del giornale inglese "Oil and Energy Trends" è che si sia corsi al riparo a giochi pressoché fatti, spaventati dall'eventualità che la Russia - analogamente a quanto avvenuto con Ucraina, Georgia e Bielorussia - possa in un prossimo futuro usare l'arma energetica come strumento politico anche in Europa Centrale.
La lettura in chiave macroeconomica è che la UE, sempre solerte a sanzionare ogni minima violazione alle leggi del libero mercato in Italia, Francia e Germania, abbia finalmente aperto gli occhi sull'enorme monopolio energetico russo e sugli effetti distorsivi, in termini di allocazione delle risorse, che questo sta creando.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, con molta probabilità, le dichiarazioni del Presidente russo in Qatar del febbraio 2007.
Vladimir Putin in visita diplomatica nell'emirato arabo, terzo produttore mondiale di gas, dichiarò infatti interessante la proposta di un OPEC del gas, ossia di un cartello simile a quello esistente in ambito petrolifero.
Un mese più tardi, in occasione del forum di Doha del GECF (Gas Exporting Countries Forum), per non spaventare troppo i suoi partner europei, corresse il tiro e tramite il ministro Khristenko si rifiutò di firmare un cartello sui prezzi. La UE tirò un sospiro di sollievo.
L'alleanza Baku-Ashgabat
Alla luce dello scenario descritto, l'incontro di Baku del febbraio scorso assume una portata assai rilevante, a prescindere dalle conseguenze che determinerà. Ovvero la probabile nascita di gasdotti e oleodotti alternativi che, riportando un po' di sana competizione nel settore energetico, producano importanti esternalità positive in termini economici anche per l'area caucasica.
Il meeting del 4 febbraio scorso nella capitale azera tra Turkmenistan e Azerbaigian ha una valenza storica perché segna la fine della politica di isolamento del Turkmenistan e l'inizio di una nuova stagione. La strategia multivettoriale, inaugurata dal nuovo presidente turkmeno Berdymukhammedov, prevede non più un dialogo privilegiato con Mosca ma rapporti di cooperazione economica anche con Cina e Europa.
L'anello fondamentale a livello geopolitico per agganciare l'Europa è proprio l'Azerbaigian.
Dimenticate le diatribe del recente passato, oggi Baku e Ashgabat sembrano seriamente intenzionate a implementare il progetto di costruzione di un gasdotto sottomarino Transcaspico di cui si discute dal 1991.
Le ragioni che spingono a un cauto ottimismo sono proprio le iniziative intraprese dal governo turkmeno. Se in passato le autorità turkmene avevano sempre rifiutato un audit internazionale, che stabilisse l'entità effettiva delle riserve di gas, oggi - a riprova del cambio di politica - il Ministero dell'Energia di Ashgabat ha annunciato che si provvederà al più presto a tale audit.
Un passo in avanti sostanziale, all'insegna della trasparenza e dell'affidabilità, che ha stupito positivamente anche Nurmuhammet Hamanov, ex ambasciatore turkmeno in Turchia, oggi leader in esilio del partito repubblicano d'opposizione.
Ai microfoni di Radio Free Europe Hamanov ha dichiarato che il dialogo con l'Azerbaigian e l'apertura a nuovi partner porterà finalmente alla realizzazione delle pipelines transcaspiche.
Il clima addolcito non ha colto di sorpresa neppure gli Stati Uniti che, attraverso il rapporto privilegiato con la Georgia di Michail Saakashvili, cercano di allargare la loro sfera d'influenza in un'area storicamente appannaggio di Mosca.
La visita diplomatica dei giorni scorsi di Steven Mann, incaricato di questioni energetiche per conto della Casa Bianca, testimonia l'importanza strategica della posta in gioco.
La simpatia con cui sia Baku sia Ashgabat guardano agli Stati Uniti è stata prontamente stigmatizzata dall'Iran, altro importante player dell'area caspica.
Nabucco e Transcaspico
Affinché il Caucaso possa giocare un ruolo di primo piano quale area energetica alternativa alle pipeline russe è necessario che vada a buon fine il costoso progetto gasiero Nabucco. L'integrazione sinergica di Nabucco e Transcaspico segnerebbe la nascita di un nuovo polo energetico.
Ed è per questo motivo che Baku chiede a Bruxelles di accelerare i lavori sul Nabucco.
Il ministro dell'energia azero Natiq Aliyev sostiene che dal momento che i giacimenti di Shah Deniz sono entrati in produzione non c'è più alcun motivo per rinviare l'inizio del progetto. In effetti, nonostante i flussi di gas da Egitto, Iraq curdo, Turkmenistan e Iran siano ancora oggetto di controversie, l'attuale produzione dell'Azerbaigian - 25-30 miliardi di metri cubi annui - basterebbe da sola, quanto meno in una fase iniziale a coprire la capacità richiesta.
Se da un lato Baku, timorosa per le contromosse di Mosca spinge sull'acceleratore, sul versante opposto la UE, probabilmente preoccupata di non irritare il Cremlino, temporeggia.
Mentre francesi e tedeschi sembrano interessati a partecipare al progetto Nabucco, che a pieno regime nel 2020 potrebbe fornire gas azero in Europa dalla Turchia all'Austria attraversando Romania, Bulgaria e Ungheria, altri paesi della UE hanno preferito il progetto russo South Stream.
È il caso dell'Italia che con il patto del giugno scorso tra ENI e Gazprom ha inferto un duro colpo al Nabucco.
Molti analisti sottolineano che con l'adesione a South Stream di Bulgaria e Serbia, il Nabucco potrebbe definitivamente arenarsi.
Determinante ancora una volta sarà il ruolo del Turkmenistan.
Qualora Ashgabat decidesse di rifornire l'Europa di gas attraverso la Russia e non via Baku, l'implementazione del Nabucco incontrerebbe serie difficoltà.
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