Non vogliono che alla forza di interposizione Onu partecipino anche soldati inviati dalla Turchia. E' la posizione della comunità armena del Libano. Ma anche ad Ankara in molti hanno dubbi. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Ninni Radicini*
14 settembre 2006
La partecipazione delle truppe turche alla forza di interposizione Onu dispiegata nel sud del Libano ha determinato la protesta della comunità armena che ha indetto varie manifestazioni e iniziative diplomatiche già da fine agosto, prima che Ankara ratificasse la partecipazione dei suoi soldati al contingente delle Nazioni Unite. Tra le manifestazioni più recenti quella svoltasi nel quartiere Bourdj Hammoud di Beirut, dove abitano molti cittadini di origine armena, che hanno chiesto all'Onu di riconsiderare la partecipazione della Turchia. "La Turchia è stata responsabile di crimini orrendi contro l'umanità; non può essere parte in un processo di pace fino a quando non avrà riconosciuto il massacro del popolo armeno", ha ricordato Jacques Choukhadarian, ex deputato e ministro libanese.
Il 5 settembre, il giorno prima della visita del segretario dell'Onu Kofi Annan, il parlamento turco ha approvato l'invio di mille soldati in Libano. Nonostante Akp - il partito islamico moderato del premier Ergodan - avesse i numeri per far passare la proposta del governo senza chiedere il sostegno di altre formazioni, il via libera è arrivato dopo un iter turbolento sia all'interno dell'assemblea, con il vice presidente che ha dovuto aggiornare due volte i lavori a causa degli alterchi tra i deputati, sia all'esterno, dove si era radunata una folla di manifestanti contrari.
Alla fine il "sì" è passato con 340 voti; 190 i "no". Le contrarietà sono arrivate sia dal Partito della madrepatria (centrodestra) sia dal Partito repubblicano del popolo (centrosinistra) e anche stavolta si è avuto un confronto tra la componente secolare e quella religiosa, che segnano la società turca in modo trasversale. La partecipazione della Turchia alla forza di peacekeeping Onu è stata fortemente voluta dall'esecutivo, che conta il tal modo di recuperare posizioni nei confronti della Ue, negli stessi giorni in cui da Bruxelles arrivavano notizie tutt'altro che entusiasmanti sugli sviluppi del negoziato di adesione.
E' anche un segnale di disponibilità verso Usa e Israele, con cui i rapporti, seppure sempre saldi, sono stati recentemente segnati da divergenze. Da circa due anni la Turchia chiede all'amministrazione statunitense l'autorizzazione per entrare con le sue truppe nel Nord dell'Iraq, dove ritiene abbiano trovato rifugio i militanti curdi del Pkk. Washington non è d'accordo sia perché il Kurdistan iracheno è l'area più "tranquilla" delle tre in cui è di fatto diviso l'Iraq, sia perché i curdi iracheni, attraverso i loro due principali partiti (Pdk e Upk) sono contrari. Con Israele, la Turchia ha negli anni '90 incrementato i rapporti, soprattutto in funzione antisiriana, ma l'arrivo al potere di Akp e le seguenti dichiarazioni in merito alla questione palestinese hanno determinato qualche frizione.
Oltre ai riflessi sui rapporti internazionali, la presenza delle truppe turche in Libano assume un suo aspetto più compiuto considerando altri parametri, in particolare di tipo storico e religioso. Per la Turchia, si tratta di un ritorno in territori che fino a circa un secolo fa facevano parte dell'impero ottomano. Una parte di coloro che in Turchia sono contrari fa riferimento al rischio insito nella presenza di militari di uno stato musulmano sunnita nel territorio di Hezbollah partito musulmano sciita.
La risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che ha dichiarato il cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah e ha imposto il ritiro delle truppe israeliane con il parallelo dispiegamento dell'esercito libanese nel Sud insieme alla forza di interposizione, ha permesso di interrompere un conflitto che stava pericolosamente avviandosi verso una condizione di stallo. In un contesto come quello mediorientale è necessario procedere con molta cautela perché ogni passo troppo deciso potrebbe avere effetti difficilmente gestibili.
Il 29 agosto tre deputati armeni del parlamento libanese (Jean Aghasapian, Hagop Gasartchian, Yeghik Tchertcherian, Serge Tursargisian), a nome della propria comunità, ringraziando il primo ministro Siniora per la gestione della crisi, hanno espresso la contrarietà alla inclusione delle forze turche nel contingente Onu. Stesso contenuto nella dichiarazione congiunta dei tre partiti politici armeni libanesi (Partito socialdemocratico Henchakian, Partito Dashnak (Federazione rivoluzionaria armena), Partito liberaldemocratico Ramgavar) e di Sua santità Aram I, Katholikos di Cilicia, che ha chiesto a Kofi Annan di opporsi alla presenza militare turca, descrivendola come "moralmente inaccettabile".
Le proteste si sono estese. Negli Usa, dove la comunità greca ha espresso la sua solidarietà, la chiesa evangelica, quella cattolica e quella apostolica armena, hanno chiesto al presidente Bush di opporsi alla presenza dei militari turchi in Libano. La comunità armena ha sottolineato che "il ricordo dei massacri, del Genocidio, le aggressioni e le torture compiute dalla Turchia sono profondamente scritte nella memoria del popolo libanese, armeno, greco, cipriota, curdo e arabo. Lungi dall'essere un credibile portatore di pace, la Turchia potrebbe solo complicare la missione di pace portata avanti in Libano e nella regione".
* Ninni Radicini collabora con "Orizzonti Nuovi" (www.orizzontinuovi.org), quindicinale di informazione e analisi di Italia dei Valori. Altri articoli sono stati pubblicati in "Mondo Greco" (www.mondogreco.net) e "Akhtamar on line" (www.comunitaarmena.it). E' autore della newsletter Kritik (kritik.135.it).
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