Riforma della Legge 49 sulla cooperazione. Gianguido Palumbo, stimolato dall'articolo di Michele Nardelli pubblicato il 24 gennaio da BalcaniCooperazione, risponde con alcune riflessioni. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Scrive: Gianguido Palumbo*
E' indubbio merito della viceministra alla Cooperazione Internazionale, Patrizia Sentinelli, essere riuscita con passione e intelligenza ad elaborare in soli 6 mesi con una procedura basata su un Tavolo di consultazione nazionale, un progetto di nuova legge e per giunta farlo approvare dal Consiglio dei ministri di Caserta lo scorso 12 gennaio. Progetto di legge che raccoglie realisticamente il meglio possibile di idee e proposte interne ad una coalizione politica molto variegata: non poteva essere diversamente e il progetto non sarebbe stato approvato così facilmente e velocemente dal Consiglio dei ministri. Non è certo una legge "ideale" e del tutto coerente con alcuni criteri cui alcuni di noi, operatori italiani, crediamo già da anni. Ma non era affatto scontato potere presentare in parlamento già all'inizio del 2007 un progetto di nuova legge sulla oooperazione internazionale, e ciò invece è avvenuto, in modo democratico e trasparente, con un tempismo veramente eccezionale per il nostro paese. E' merito della viceministra ma anche oggettivamente di un governo pur contraddittorio che riesce a volte a dimostrare buone capacità di valutazione e decisione.
Eppure una legge, e questa legge tantomeno, non risolvono il dibattito e le possibili sperimentazioni sul campo, le spinte ideali, gli impegni politici, sociali, le elaborazioni teoriche di un paese. Vi sarà un nuovo livello di confronto e un nuovo strumento per operare sia in Italia, sia in Europa, assieme agli altri paesi dell'Unione, vecchi e nuovi, che nel mondo.
Per contribuire al dibattito mi riallaccio all'articolo di Michele Nardelli, dal titolo "Cooperazione: relazioni, non aiuti" pubblicato su BalcaniCooperazione lo scorso 24 gennaio.
Sono pienamente d'accordo con tutta la prima parte della sua riflessione critica: oggi la oooperazione internazionale va considerata oggettivamente come una necessità basata su nuove politiche internazionali, di politica estera, che superino lo schema inadeguato di paesi ricchi e sviluppati che dovrebbero aiutare i paesi poveri e "arretrati" o "sottosviluppati" o "in via di sviluppo".
Partendo da questa coscienza e convinzione credo si tratti di estendere la riflessione propositiva oltre la contrapposizione fra cooperazione internazionale centralista, governativa, statuale, e cooperazione territoriale fra comunità, decentrata, basata sulle diplomazie dei popoli e non degli apparati statali, su progetti dal basso e non dall'alto, sull' "autosviluppo".
Si dovrebbe partire da una valutazione: in tutto il mondo contemporaneo sono "maturate" negli ultimi decenni, due tipi di Crisi strutturali: la Crisi dello sviluppo (con relative crisi ambientali, economiche, sociali, e politiche e militari), che coinvolge tutti i paesi più ricchi, occidentali e nordici o meno (il Giappone è in Asia!), e la Crisi del non sviluppo (con relative crisi economico sociali, politiche, militari) che coinvolge molti paesi più poveri (non tutti) e soprattutto l'Africa. Le due Crisi sono certamente interdipendenti e stanno provocando reazioni analitiche e progettuali e politiche concrete, di diverso tipo: dal neoliberismo spinto che ritiene la cooperazione allo sviluppo ormai inutile e sostituibile con la sola espansione del mercato globale, al rilancio dei limiti dello sviluppo con la teoria aggiornata della decrescita come unica reazione radicale, e vie intermedie che si sforzano di aggiornare la concezione di nuovi modelli di sviluppo, sostenibile socialmente ed ecologicamente.
Crisi che, comunque la si pensi, richiederebbero di essere affrontate attraverso una politica di reciproco riconoscimento e condivisione per elaborare assieme, alle diverse scale di potere e responsabilità, passaggi di cooperazione internazionale integrata.
Parallelamente va considerato il nuovo panorama internazionale, ben diverso solamente da quello di appena pochi anni fa, non decenni, con aspetti positivi e negativi: da una parte la nuova America Latina, il ruolo di India e Cina, l'Unione europea sempre più estesa, le nuove maggioranze politiche in Usa in vista di elezioni presidenziali del 2008 foriere si spera di un cambio di gestione, e dall'altra le crisi gravi del rapporto con il mondo islamico, del Medio oriente e dell'area mesopotamica, la Russia carica di incognite e gravi contraddizioni, i Balcani ancora fuori dall'Europa e in una fase molto delicata e pericolosa di avvicinamento, l'Africa subsahariana e centrale ancora drammaticamente protagonista di grandi povertà, guerre e conflitti territoriali.
Sicuramente tale quadro internazionale in forte movimento in soli 5 anni, positivo e negativo, con un ulteriore aumento dell'interdipendenza economica e politica, ma anche culturale, non può vedere la Cooperazione Internazionale ancora considerata come un cerotto usato e in parte inutile che cerca di nascondere malattie gravi da curare in altro modo. Può e deve essere riconcepita tutta all'interno di nuove politiche internazionali basate su riforme possibili delle Nazioni Unite, delle influenti strutture come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, il WTO per il Commercio, e delle politiche europee e nazionali che mettano in qualche relazione virtuosa politiche economiche, commerciali, sociali, culturali e cooperazione Internazionale ai diversi livelli e scale, in diverse tipologie, in diversi settori e trasversalità.
Molto concretamente ciò dovrebbe significare che una nuova legge nazionale, nuovi indirizzi europei, nuove leggi o aggiornamenti di leggi regionali in Italia, così come nuove delibere e programmazioni annuali di province e comuni, ma anche nuovi progetti di associazioni, ONG, sindacati, università, ed altri attori, dovrebbero contenere dei criteri e delle azioni derivate dal principio di condivisione delle Crisi ed elaborazione comune di nuove soluzioni che valorizzino il meglio delle società (paesi, comunità, culture) entrate in relazione, e non di "donazione di beni e servizi" e/o di "esportazione di modelli di sviluppo e di governo", "pacchetti predefiniti di interventi", "pura espansione dei mercati", come invece continua ad avvenire nella maggioranza dei casi, al di là delle parole, dei preamboli e delle dichiarazioni ufficiali.
Si tratta di co-operare condividendo difficoltà pur diverse ma esistenti in entrambi gli attori della cooperazione, analizzando le specificità negative e positive di ognuno, valorizzando le potenzialità e definendo progetti che alla fine dovrebbero avere ricadute tendenzialmente positive sia nel paese-comunità più povero economicamente sia in quello più ricco per il valore aggiunto di creatività, di ridefinizione di parametri, di sperimentazione di prassi ad hoc. E ciò può riguardare e coinvolgere sia progetti complessi e più impegnativi economicamente con relativi livelli istituzionali nazionali e internazionali, sia progetti più circoscritti territorialmente e meno impegnativi economicamente. Non è facile ma in alcuni casi avviene, è avvenuto, e si può fare, pur parzialmente e contraddittoriamente.
Non v'è dubbio che tale ridefinizione operativa della cooperazione internazionale sia più "facile" che avvenga a scale ridotte, locali, con la partecipazione di istituzioni, comunità, cittadini, associazioni, imprese che possano influire direttamente e abbastanza tempestivamente e democraticamente sui processi progettuali, su quelli esecutivi e di verifica.
Ma ciò non deve portare alla rinuncia di modificazioni delle politiche e dei programmi complessi, nazionali ed internazionali, creando una sorta di ideologia della esclusività locale e delle piccola scala come unica possibile strada per migliorare questo strano mondo.
* Consulente in Cooperazione Internazionale, dal 1992 attivo in progetti di solidarietà e cooperazione in tutti i Balcani, ha scritto due libri di racconti e fotografie dedicati a Sarajevo e a Belgrado: "Andrej a Belgrado (Roma 2002 Ediesse ed.) con prefazione di Sergio Cofferati e "Amina di Sarajevo" (Roma 2005 Ediesse ed.) con prefazione di Predrag Matvejevic
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