Il Centro studi belga "Amici dell'Europa" ha organizzato a Bruxelles un incontro sul percorso di integrazione europeo dei Paesi balcanici. Interventi di Rehn, Tadic, Pack, Amato, Djukanovic, Pollo e molti altri. Applausi alla notizia dell'arresto di Gotovina. Nostro resoconto
Da Bruxelles, scrive Rosita Zilli
Era veramente fitto il parterre di personalità politiche che si è riunito a Bruxelles lo scorso 8 dicembre in occasione del quinto European Policy Summit intitolato "Portare i Balcani al passo con l'Europa", evento organizzato dalla think-tank belga "Friends of Europe". Tra i presenti, il Commissario europeo per l'allargamento Olli Rehn, il Primo ministro montenegrino Djukanovic, il Presidente serbo Tadic, alcuni membri della Commissione internazionale per i Balcani fra cui Giuliano Amato, l'europarlamentare Pack e diversi altri attori-chiave attualmente impegnati nel dibattito sul futuro europeo dei Balcani occidentali. Ed è stato un filo rosso di moderato ottimismo e convinzione verso la capacità di integrazione degli Stati appartenenti alla regione quello che ha accomunato gli interventi dei partecipanti: è stato per tutti una questione di quando questa integrazione avrà luogo, non più certo una questione di se. Una prospettiva concreta e condivisa dunque, e questo anche e soprattutto alla luce della notizia che, giunta a metà conferenza, annunciava la consegna all'Aja del criminale di guerra Ante Gotovina e che dava luogo ad un sentito applauso.
Rehn: mantenere le promesse
L'intervento di Rehn, primo della giornata, si è svolto nel segno di un bilanciato entusiasmo e non ha eluso la spinosa questione del processo di determinazione del futuro status del Kosovo. Sul punto, nodo cruciale sollevato anche nel quadro di altri interventi che sono seguiti, il Commissario ha espresso parole di impegno da parte di Bruxelles, dichiarando che tale processo potrà tradursi in uno scenario di stabilità per la regione soltanto "se saremo capaci di mantenere l'attrattività della prospettiva europea". Rehn ha poi sottolineato che l'Unione europea "deve incoraggiare il popolo della regione a guardare verso un futuro europeo, piuttosto che verso i nazionalismi del passato". Un monito importante, accompagnato da alcune indicazioni di cautela. È infatti sempre il Commissario ad affermare che "dobbiamo assicurare che le aspettative (dei paesi della regione, ndr) siano realistiche" e che "gli sforzi di coloro che si impegnano ad attuare le riforme possono facilmente essere frustrati da una serie di false speranze e di promesse infrante".
La volontà dell'UE di mantenere viva nei Balcani la prospettiva dell'Europa e che questo obiettivo "valga la pena di essere perseguito" rimane quindi un cardine della politica di Bruxelles, seppur nella consapevolezza che molti dei paesi appartenenti alla regione abbiano ancora un "lungo cammino dinnanzi a loro".
Tadic e il Kosovo
Sulle preoccupazioni espresse dal Commissario per l'allargamento in merito alla spinosa questione del Kosovo è stato interpellato direttamente il Presidente della Repubblica serba Tadic, che in merito ha ribadito la necessità di giungere rapidamente ad una soluzione di compromesso. Ma "in chiave europea", ha poi aggiunto, perché "una soluzione che tenga conto dei soli interessi nazionali rischia di compromettere la stabilità dell'intera regione". Un nodo, questo, che però Belgrado non intende sciogliere mediante l'indipendenza del Kosovo. Una posizione ferma quella di Tadic, accompagnata dalla volontà di puntualizzare che il suo Stato oggi non è più la Serbia autocratica di Milosevic, tesa a difendere i suoi presunti spazi vitali a tutti i costi, ma uno "Stato democratico, che si batte per la difesa dei diritti umani". Una contrarietà assoluta, quindi, ma fondata sulla "volontà di tener conto delle esigenze di entrambe le etnie" e di preservare quindi "la stabilità e la sicurezza dell'intera regione".
Quello della stabilizzazione dell'area, concetto trattato prevalentemente in chiave economica e con lo sguardo costantemente rivolto all'Europa, è stato un altro dei leitmotiv della conferenza. Significativo in questo senso è stato il contributo del Ministro degli Affari Esteri bosniaco Ivanic, il quale ha individuato negli accordi di libero scambio fra gli Stati della regione la via maestra alla creazione di un'area veramente aperta a se stessa ed al mondo. Una liberalizzazione che, a suo avviso, "sarebbe capace di attirare gli Investimenti Diretti Esteri", agognata quanto dubbia panacea dei mali delle economie in ricostruzione.
Amato, i giovani
La dimensione economica è stata poi ripresa anche da Giuliano Amato, nel cui intervento ha però trovato spazio anche la spesso negletta questione dell'educazione e della cultura. "Gli investimenti nella regione sono necessari e devono condurre ad un'integrazione economica totale della regione attraverso infrastrutture interregionali - ha affermato l'ex Presidente del Consiglio italiano - ma questi investimenti devono essere accompagnati da un deciso ed incisivo impegno verso l'educazione dei propri giovani. Investendo in cultura ed educazione - ha poi aggiunto - si darà vita ad un'area che non solo guarda all'Europa, ma che possa essere competitiva al suo interno e rappresentarne una forza innovatrice."
Parole importanti, del cui senso più pieno si è fatto portavoce il Ministro dell'Educazione e delle Scienze albanese Genc Pollo, che ha posto l'accento sulla necessità di incentivare, ad esempio, la mobilità studentesca. È infatti irragionevole parlare di integrazione quando, per citare un esempio, ben il 70% dei giovani di Serbia e Montenegro non hanno mai messo piede fuori dal proprio Paese o quando, come ha recentemente affermato la think tank americana "International Crisis Group", il regime di visti UE è di fatto di grave pregiudizio ai "progressi nel commercio, negli affari, nel settore dell'educazione, nel favorire società civili più aperte ed ha di conseguenza effetti negativi sulla stabilità della regione".
Quale centro?
Doris Pack, europarlamentare del partito popolare e presidente di delegazione per le relazioni con i Paesi dell'Europa sudorientale, ha espresso il suo impegno in questo senso ricordando l'apertura ai Paesi dell'area ai programmi europei di mobilità studentesca e di "long-life learning", strumenti di sicura importanza per dare finalmente concretezza ad una lunga serie di dichiarazioni programmatiche. Ma è sempre dalla voce dell'europarlamentare che giunge anche l'espressione di un'inquietudine dal tono introspettivo verso la stessa Unione europea: una preoccupazione, condivisa anche dal rappresentante della futura presidenza austriaca dell'Unione, Fasslabend, che riguarda la necessità per l'Europa di ritrovare innanzitutto il suo centro dopo l'ultimo allargamento. "Non abbiamo digerito i nuovi 10 Paesi - ha affermato la Pack - ed abbiamo bisogno di finalizzare il Trattato costituzionale".
I Balcani dunque sempre più indubbiamente al centro della politica estera di Bruxelles. Ma di una politica tesa a privilegiare un segmento d'intervento particolare, quello economico, a scapito di un approccio più olistico, fondato su un'integrazione dei pensieri e delle genti prima che dei commerci. Una lezione che l'Unione dell'ultimo allargamento sembra non avere ancora imparato. E che recidivamente si ostina a riproporre a se stessa.
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