La futura adesione all'UE della Croazia, la ricostruzione di rapporti fiduciari lungo vecchi e nuovi confini, l'importanza dei partenariati territoriali. Intervista a Giorgio Rossetti, presidente del Centro 'Dialoghi Europei'
Il Centro Studi economici e sociali 'Dialoghi Europei', con sede a Trieste, ha promosso a marzo il convegno "La Croazia verso l'UE. Il ruolo dell'Italia, le prospettive per il Friuli Venezia Giulia" che ha visto tra i relatori: Vittorio Prodi, Furio Radin, Gianni Farina, Maurizio Tremul, Damir Grubiša, Ugo Poli e Franco Jacop.
Come è nato il Centro Studi Dialoghi Europei?
Il centro è sorto nel maggio del 1995, perché era importante che una città come Trieste si occupasse di Balcani. E' nato per iniziativa di un gruppo di persone con competenze in ambito europeo e di volontariato. In questi 13 anni di attività, abbiamo sollevato temi di natura politica legati all'Europa e alla zona che speriamo diventi l'Euroregione. Abbiamo portato qui i primi dibattiti sui corridoi transnazionali, sull'economia nelle aree di confine, e sugli strumenti finanziari che potevano interessarci ma che non venivano pienamente utilizzati.
I nostri interventi sono in certi casi diventati proposte di legge, anche se poi non hanno avuto seguito. In ogni caso, rivolgendo l'attenzione soprattutto all'area balcanica e al rapporto tra noi e i Balcani, abbiamo dato un contributo che risulta ancora di attualità.
La Croazia verso l'UE: partendo da quanto è stato discusso al convegno, qual è la situazione attuale?
Avevamo già affrontato il tema del percorso della Croazia verso l'Europa più volte, ma in questo caso la novità era che, una settimana prima del convegno, c'era stato l'incontro tra Sanader e Barroso per fare il punto sul processo di adesione.
E a Zagabria era appena stata risolta la questione della zona ittica nell'Adriatico. Significativamente, con un voto a rischio: su 153 parlamentari, infatti, hanno votato a favore la maggioranza più uno. Furio Radin, presidente dell'Unione Italiana e parlamentare della Comunità italiana al Sabor croato, è stato il fautore del 77esimo voto, quello decisivo per far approvare la scelta del governo e per consentire l'accesso degli stati dell'Unione Europea alla zona ittica.
È stato questo voto a sbloccare il processo di adesione, a tal punto che Barroso ha dichiarato: «si può accelerare l'esame dei dossier che restano» e «i dossier mancanti possono essere affrontati e risolti entro il 2009, dando la possibilità entro il 2010 ai parlamenti nazionali di ratificare il trattato che viene siglato dai singoli governi. Così che dal 1º gennaio 2011 si potrebbe avere l'adesione della Croazia all'UE come 28esima stella dell'Europa Unita».
Barroso ha aggiunto addirittura che se si fa presto si potrebbe concludere tutto quanto in modo da essere pronti anche per il 2010.
Lei pensa che questa scadenza sia realistica?
Nell'opinione dei partecipanti al convegno, e in particolare dei protagonisti croati, che hanno espresso più di qualche dubbio in merito, sarà difficile rispettare il calendario indicato da Barroso. L'hanno definita la classica carota per far correre l'asino. Ma ciò che posso dire per esperienza diretta è che, per tutti i paesi entrati a far parte dell'UE dal 1984 in poi, la prospettiva di adesione è stata lo strumento che più ha accelerato il processo di riforme.
L'esame dei dossier dipende molto dalla volontà politica: se c'è una leadership efficace, le cose si possono fare. È avvenuto negli altri paesi, può avvenire anche in Croazia. La partita è tutta da giocare. La questione dei processi ai criminali di guerra, è già stata risolta nel 2005 quando, nonostante tutte le reticenze che ci sono state in precedenza e l'amplia popolarità di cui gode ancora Ante Gotovina presso forti strati della società, il paese ha ottemperato alla richiesta di consegna.
In quanto alla cooperazione internazionale, la Croazia ha aderito alla zona di libero scambio che comprende i paesi dell'ex Jugoslavia, rinnovando il suo ruolo attivo in questo ambito. Il paese possiede inoltre un'economia di mercato abbastanza efficiente, anche se vi sono delle difficoltà in alcuni settori: per esempio in quello dell'industria cantieristica, che è altamente sovvenzionata.
Vi sono adesso soltanto 2 problemi di natura politica ancora aperti: la corruzione e la macchinosità della giustizia.
Il professor Grubiša, ha tenuto una relazione sul rapporto tra l'opinione pubblica croata e l'Unione Europea. Che cosa è emerso?
Damir Grubiša è docente di Integrazione europea alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Zagabria, un corso costituitosi per la prima volta quest'anno in Croazia: nel suo intervento ha riportato che nell'arco di questi ultimi anni l'opinione pubblica croata ha avuto un atteggiamento ondivago sul processo di adesione, proprio per questioni come Gotovina e la zona ittica nel mar Adriatico, fino a manifestare tutta una serie di riserve.
C'è da dire che mentre nei paesi appartenuti al blocco sovietico l'aspirazione ad entrare era molto forte, gli stati della ex Jugoslavia hanno più resistenza, per via di un sentimento di identità nazionale appena ridefinita.
In Croazia il consenso pro-europeo risulta attualmente molto ridotto e in alcune componenti dello schieramento politico croato non c'è affatto convinzione riguardo all'UE: temono la perdita dell'autonomia economica da poco acquisita e interferenze negli interessi particolari, che internamente sono ancora molto consolidati, tanto che si decide al di là delle regole del mercato e delle leggi.
Dovesse esserci un referendum, non so come lo risolverebbero.
Sulla questione della zona ittica, per esempio, ci sono stati componenti della maggioranza di governo che non hanno votato. Tenendo conto delle pressioni della base elettorale, perfino i socialisti che sono all'opposizione si sono astenuti, mentre dovrebbero avere interesse a entrare nell'UE. E coloro che sono dichiaratamente antieuropei, di fronte all'esito del voto, hanno protestato: ecco, già adesso subiamo le imposizioni esterne.
Che interesse ha il Friuli Venezia Giulia ad accelerare il processo di adesione della Croazia e a favorire un clima europeo di integrazione?
I precedenti allargamenti dei confini europei, all'Austria nel 1995 e alla Slovenia nel 2004, benché fossero appuntamenti ampiamente annunciati e riguardassero il Friuli Venezia Giulia da vicino, ci hanno colto di sorpresa. Così che tutti ci siamo ritrovati a piangere e gli imprenditori a lamentarsi: adesso loro avranno più aiuti di noi. Stavolta però non dobbiamo farci cogliere impreparati.
Dal convegno è emerso che non solo da parte nostra c'è interesse affinché la Croazia entri in Europa, ma che ci sono strade che consentono di favorire il processo.
Non si può nascondere che l'interesse è prima di tutto economico: per la Croazia, l'Italia è al 1° o 2° posto sia per il commercio che per gli investimenti. Siamo stati i primi ad investire con le banche in quel paese, in più c'è tutto il traffico di frontiera che è sempre esistito.
Ma l'interesse è anche ambientale e culturale. La costa della Croazia è dirimpettaia della costa adriatica italiana: c'è il mare da salvaguardare, che è fondamentale ai fini del turismo, da una parte e dall'altra, e poi ci sono le vestigia culturali istrovenete da tutelare.
E naturalmente c'è la comunità italiana che vive in Istria da includere nell'integrazione. Si tratta di circa 30.000 persone, che vivono tra Croazia e Slovenia, e adesso sono divise dal confine europeo. E mentre l'Italia con la Slovenia entrata in Schengen ha trovato un'intesa pro bono pacis, che ha consentito entro pochi giorni di risolvere per lo meno il problema dei transfrontalieri, nei confronti della Croazia la Slovenia si sta mostrando rigidissima.
Sul confine con la Croazia, i doganieri sloveni prendono il documento, uno per uno, lo fotocopiano con lo scanner da ambo i lati, e per chi va avanti e indietro rilasciano un certificato che deve essere restituito rientrando! Ormai è risaputo che in uscita dalla Slovenia verso il territorio croato si formano continuamente interminabili e scoraggianti code di automobili.
Qual è la posizione di Trieste rispetto alle nuove prospettive geopolitiche?
Cadono le frontiere e l'economia locale dovrebbe essere attenta, invece per l'ingresso della Slovenia la reazione è stata: cadono le frontiere e gli sloveni ci faranno concorrenza. In realtà, gli sloveni, in questi 3 anni, hanno avuto 90.000 euro di contributi complessivi, a fronte dei 60 miliardi di lire (pari a oltre 3 milioni di euro) che noi a Trieste abbiamo ogni anno solo dal 'fondo Trieste': un fondo nazionale istituito nel 1954 per consentire a Trieste di rientrare nell'amministrazione italiana, e che manteniamo ancora oggi.
C'è una certa asfissia e occorre obbligare a pensare in grande. Trieste è la porta d'entrata da e verso i Balcani. E' un fatto naturale: siamo qua, e quindi passiamo la frontiera, li incontriamo, ci parliamo, il quotidiano locale dedica una pagina a cosa succede oltre confine. E si tratta di un'esigenza: la cultura della conoscenza, il rapportarsi delle persone.
Al di là dell'economia, infatti, ci vuole la costruzione di un senso comune di appartenenza, una visione unica da parte di terre che in passato sono state unite e che avevano trovato una convivenza fatta di armonia, in cui le lingue erano rispettate. Poi, il secolo breve ci ha contrapposto l'uno all'altro e ci sono ancora le ferite. Ma adesso dobbiamo recuperare quella dimensione, di reciproca fiducia e rispetto, cosa che non avviene ancora, perché purtroppo per loro noi siamo fascisti, e a Trieste c'è ancora chi dice fuori i s'ciavi!
Come si può superare questa ormai incongruente chiusura?
La strada è solo che nell'Unione Europea si crei un rapporto nuovo che unisca le culture di quest'area: perché gli sloveni sono autoctoni in Venezia Giulia, così come gli italiani sono autoctoni in parte delle coste istro-dalmate. Si tratta di ricomporre, e per ricomporre serve un rapporto fiduciario, che va ricostruito. Come? Le forme di cooperazione non bastano più: io sono per i partenariati, in cui gli enti locali imparano a conoscersi, dando ma anche ricevendo.
Come il tornaconto economico non può essere solo unilaterale, così noi dobbiamo anche offrire qualcosa per le comunità croate che si sono inserite a Trieste: mi riferisco ai nuovi immigrati, che vengono da noi per ragioni di lavoro, e che sono tantissimi, sia dalla Croazia che dalla Serbia. Senza di loro in questa città non ci sarebbero né lavori pubblici né assistenza agli anziani.
E se la Croazia dà risorse umane a Trieste, allora 'andiamo noi di là' prima che vengano loro di qua, organizzando corsi di lingua italiana e di formazione professionale, fornendo loro un contributo alla crescita e allo sviluppo e chiedendo in cambio una selezione dei lavoratori. In questo modo si stabiliranno rapporti di fiducia e potremo in seguito chiamare a Trieste i complessi folcloristici del posto, affinché loro si ritrovino e si identifichino, e noi impariamo a conoscerli. Perché ancora non li conosciamo.
Sarà ambizioso, ma tentiamo.
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