Il Cremlino applica la legge sull'estremismo per costringere al silenzio il Comitato Madri di Beslan. Sotto processo i parenti delle vittime dell'assedio della scuola
Sono trascorsi più di tre anni da quando terroristi ceceni sequestrarono un migliaio di persone nella scuola N.1 di Beslan. L'azione si concluse dopo l'intervento delle forze speciali, con la morte di oltre 330 ostaggi per la gran parte bambini.
Beslan non ha ancora ottenuto giustizia e risposte adeguate su ciò che accadde, anzi, proprio le donne che persero i loro bambini e si organizzarono nel "comitato Madri di Beslan" sono oggi accusate di "estremismo" per aver lanciato delle accuse a Vladimir Putin.
Le accuse mosse alle madri di Beslan rientrano nelle modifiche applicate alla legge sull'estremismo del 2006 che amplia la definizione di estremismo fino ad includere le "calunnie a funzionari pubblici" e "umiliazione dell'orgoglio nazionale". La legge è retroattiva ed è stata usata per investigare giornalisti, attivisti di diritti umani e figure dell'opposizione. In base a tale legge, chiunque pubblichi testi considerati estremisti può essere incarcerato fino a di tre anni.
Le madri di Beslan sostengono che l'eccessivo uso della forza da parte dei reparti speciali russi durante l'assalto alla scuola, abbia contribuito all'esito tragico e alle numerose morti di ostaggi innocenti rendendo la gestione di quell'azione militare, uno dei momenti più bui della storia della Russia. La "Voce di Beslan", organizzazione che intende investigare sui fatti accaduti nella scuola n.1, ha chiesto un'indagine internazionale sull'attacco terroristico e ha invitato l'Unione Europea e il Parlamento europeo a rendersi promotori di tale indagine e a richiedere alle leadership la pubblicazione delle fotografie satellitari scattate durante l'assedio. Ai giornalisti internazionali è stata inoltre chiesta collaborazione nella raccolta di materiali utili a far chiarezza sui fatti.
Per i tragici fatti accaduti a Beslan, nessun alto funzionario è stato messo sotto processo. Un'inchiesta condotta dal parlamento russo ha concluso che la responsabilità delle morti era dei militanti. Agli unici tre poliziotti russi incriminati fu garantita l'amnistia il 30 maggio scorso. I tre agenti erano stati accusati di negligenza, per non aver fatto quello che era nelle loro possibilità per evitare la tragedia.
I testimoni sopravvissuti al sequestro e i parenti delle vittime sostengono però che l'operazione per liberare gli ostaggi sia stata condotta in modo confuso e che gli errori commessi dalle forze di sicurezza siano stati coperti dal governo e dalla magistratura.
Emma Tagaeva, Presidente della "Voce di Beslan", ha descritto il procedimento penale contro il Comitato Madri di Beslan, come "un ordine di Mosca" e strumento di vendetta per la lotta a favore della giustizia compiuta dal gruppo. In una lettera inviata a Putin, la signora Tagaeva chiede di fermare il procedimento e scrive: "Noi la riteniamo colpevole della morte dei nostri figli ma può questa dichiarazione essere considerata una manifestazione di estremismo? Rende onore agli organi della legge accusare le vittime di una terribile tragedia di estremismo?"
L'organizzazione per i diritti umani del "Gruppo di Helsinki" a Mosca, attraverso la portavoce Lyudmila Alekseeva ha dichiarato "Tutto questo accade perché "Voce di Beslan" sta compiendo ogni sforzo affinché l'inchiesta relativa alla morte di tanti bambini ed adulti non sia insabbiata. Ecco perché i potenti dello stato, il sistema giudiziario e le amministrazioni vengono impiegati per combattere queste sfortunate donne che hanno perso i loro figli".
Altro motivo di inquietudine nasce dal fatto che l'accusa al Comitato Madri di Beslan viene dall'ufficio del Procuratore di Inguscezia. Ella Kesayeva copresidente del movimento "Voce di Beslan" è preoccupata per il fatto che e la risposta alla lettera aperta indirizzata a Putin, provenga da autorità della magistratura inguscia, laddove la lettera non si rivolgeva all'Ufficio del Procuratore di Inguscezia, né faceva alcun riferimento a tale regione".
Questo processo rischia quindi di aggravare le tensioni tra Ossezia del Nord ed Inguscezia quando è ancora vibrante il ricordo del conflitto interetnico del 1992 che causò la morte di circa 200 persone e decine di migliaia di profughi furono costretti a lasciare la loro terra.
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