Centinaia di civili sono stati uccisi durante la guerra della Russia in Cecenia. Con uno stato sordo alle proteste contro le atrocità, l'unica speranza rimasta per i familiari delle vittime è la Corte europea dei diritti umani
Di James Meek per The Guardian , 12 giugno 2006. Titolo originale "The long road to justice"
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Gaia Baracetti
Il 5 febbraio 2000, a metà pomeriggio, mentre fuori si sentiva il rumore di stivali che calpestavano la neve, di urla e di colpi sparsi di arma da fuoco che provenivano da diverse direzioni, Malika Labazanova era rannicchiata sul pavimento della sua casa al numero 20 di via Tsimlyansky, a Grozny. Un giovane in tuta mimetica teneva la bocca di un fucile automatico pressata contro la sua testa. Erano tutti e due cittadini dello stesso paese, la Russia, ma lui rappresentava il governo, e lei no.
L'uomo era abbastanza giovane da poter essere suo figlio, notò Malika; pensò che molto probabilmente l'avrebbe uccisa. Assieme ai suoi compagni aveva già massacrato molti dei residenti di quel quartiere, il distretto Novy Aldy, e saccheggiato i loro averi. Molti di loro, come la Labazanova, che aveva cinquant'anni al tempo, erano di mezza età, o più vecchi. Lei stessa aveva visto i nuovi cadaveri. Consegnò gli orecchini d'oro che sua madre le aveva comprato quando aveva sedici anni.
"Mi aggrappai alle sue gambe e lo implorai di non uccidermi", mi ha raccontato a Grozny. "Diceva: 'Se non ti uccido, uccideranno me.' Alzò il fucile in aria e sparò al soffitto. Mi aggrappai di nuovo a lui e lo ringraziai, e lui disse: 'Taci, morta.'"
Labazanova fu risparmiata; suo fratello e sua cognata, nella casa vicino, furono uccisi e il loro edificio bruciato. Un altro parente, un uomo di settant'anni, fu assassinato davanti alla sua porta. Labazanova e il marito furono costretti a seppellire i cadaveri dei parenti nel proprio cortile.
Labazanova si ricorda lo sguardo dell'uomo in tenuta mimetica militare invernale che guidò la divisione di truppe del governo russo attraverso il portone di casa sua. Non aveva trent'anni. "I suoi occhi erano trasparenti, come vetro. Senza vita. Disse: 'Abbiamo ricevuto ordini di uccidere tutti'."
Un rapporto dell'organizzazione per i diritti umani Memorial, basato su testimonianze oculari, elenca le 56 vittime del massacro di Novy Aldy per nome, età, e indirizzo. Le uccisioni si verificarono dopo che la resistenza armata contro l'esercito russo si era fermata, e che i combattenti ceceni si erano ritirati dall'area.
L'atrocità di Novy Aldy, rimasta impunita, fa parte di una serie ininterrotta di crimini sotto varie forme commessi in Cecenia dalle autorità russe, ed è di quelle che provocano un effimero senso di sdegno e impotenza nei cuori degli europei occidentali più attenti e liberali. Come Guantanamo, la Palestina e il Tibet, la Cecenia ha quell'aura di posto lontano dove un governo insicuro e pesantemente armato alza le spalle davanti agli impotenti belati di protesta degli europei.
La Cecenia però è diversa. Non è più possibile per l'Europa occidentale scuotere il capo e girarsi dall'altra parte. Una decisione presa 10 anni fa serra la Russia, e con essa la Cecenia, in uno stretto abbraccio giuridico con il resto del continente. Dal 1996, quando la Russia aderì a una struttura chiamata il Consiglio d'Europa, ogni cittadino russo, inclusi quelli che vivono in Cecenia, ha lo stesso diritto di un abitante di Bournemouth di fare ricorso contro l'ingiustizia ufficiale, al di sopra del proprio governo nazionale, direttamente alla Corte europea dei diritti umani a Strasburgo.
Il nome di questa ordinata, ricca città francese che quasi nessun ceceno ha mai visto riecheggia tra le rovine di Grozny da quando i bombardamenti russi sono finiti, nel 2000. Un gran numero di ceceni ormai vede in Strasburgo la propria unica speranza di giustizia.
Tredici delle vittime di Novy Aldy avevano sessant'anni o più. Sette ne avevano più di settanta. Uno era un bambino di un anno. Sei erano donne, una era incinta di nove mesi. I testimoni descrivono saccheggi sistematici da parte delle truppe russe. Il rapporto di Memorial, disponibile da oltre cinque anni, include facsimili di documenti del governo russo che confermano che c'è stata "una strage di massa di civili innocenti" da parte di truppe russe, e identificano le unità responsabili - distaccamenti della polizia antisommossa delle città settentrionali di Ryazan e San Pietroburgo. Ci sono filmati girati dopo il massacro. Nonostante questa abbondanza di prove, e un mare di altre indagini da parte di giornalisti stranieri e russi e di organizzazioni di difesa dei diritti umani, nessuna indagine ufficiale sul crimine è mai stata completata; nessuno è stato arrestato; nessuno è stato messo sotto inchiesta.
"Se Strasburgo chiude gli occhi, non ci sarà più nessuno a cui credere", ha detto Labazanova.
Dopo un'attesa di cinque anni, Labazanova ha saputo in dicembre che la Corte europea avrebbe preso una decisione sulla sua denuncia, e su quella di altre vittime, del massacro di Novy Aldy e della mancanza di un'indagine da parte della autorità russe. Ci sono altre dozzine di casi ceceni che si stanno facendo strada nella corte. L'anno scorso, la Corte ha annunciato i suoi primi verdetti in alcuni casi riguardanti sei ceceni: in ogni singolo caso, a favore dei ceceni e contro il governo russo.
"La gente dice che a Strasburgo non ci sono gli stessi stretti rapporti tra autorità e giudici che si vedono in Russia", spiega Dokka Itslayev, un attivista per i diritti umani che lavora nella città di Urus-Martan, a sud di Grozny, e assiste le persone che hanno intenzione di fare ricorso alla Corte europea. "Per così tanto tempo, non c'era una singola organizzazione a cui fare ricorso che avrebbe giudicato il problema in maniera imparziale, e quando la gente di qui ha capito che un meccanismo simile esisteva, penso che ci sia stato un gran desiderio di utilizzarlo. Se all'inizio era difficile convincere la gente a sporgere denuncia, ora non riesco a stare dietro a tutta la gente che si fa avanti."
Yusup Musayev, 65 anni, ha perso sette familiari e due vicini, massacrati per strada, il giorno del massacro di Novy Aldy. Tre giorni dopo, racconta, ha visto le truppe russe, che comprendevano alcuni tra gli assassini, apparire su un camion pesante e svuotare casa sua da ogni cosa di valore. Il suo caso, assieme a quello di Labazanova, è uno di quelli che la corte di Strasburgo ha ammesso.
Ho trovato Musayev a casa sua in Via Voronezh con suo fratello Ibragim, il cui figlio, Suleiman, è stato ucciso nel massacro. Con così tante abitazioni distrutte o danneggiate a Grozny, i Musayev sono fortunati ad avere una grande casa tradizionale cecena, costruita attorno a un cortile parzialmente coperto, dietro un alto, solido cancello di metallo. Una casa così è fatta per essere abitata da numerose e grandi famiglie imparentate, ma dà una sensazione di vuoto ora, con due soli pensionati che vanno avanti e indietro tra le sue mura.
Davanti a un tè coi biscotti abbiamo parlato della curiosa situazione: una corte sovraccarica di lavoro in Alsazia, Francia, che non ha inquirenti propri e che di rado chiama qualcuno a testimoniare di persona, è diventata, in mancanza d'altro, l'ultima remota speranza di stabilire le responsabilità di uno dei peggiori massacri di civili in Europa dalla fine del conflitto in ex Jugoslavia.
"Ancora non abbiamo speranze particolari", confessa Musayev. "Vediamo cosa succede dopo che Strasburgo annuncia il verdetto."
Ibragim Musayev invece ha fame di speranza. "Crediamo che questa corte farà qualcosa per la giustizia. Perché qui non c'è speranza", dice. "A che tribunale russo possiamo rivolgerci?" Allo stesso tempo, sa che la speranza è pericolosa. "Non ci credo veramente", ammette. "Non credo che la Corte europea abbia il potere di costringere la Russia a piegarsi."
Questo è il dilemma della prova russa, della prova che dimostrerà se esistono o meno dei "valori europei". La dichiarazione di colpevolezza a Strasburgo del governo russo offre all'Europa occidentale due possibilità: la vittoria o la vergogna. Se, con rimproveri pazienti e pressioni giuridiche, i governi dell'Europa occidentale costringeranno la Russia ad accettare i verdetti della Corte europea e ad attuare delle riforme alle sue brutali forze dell'ordine, alle sue prigioni malsane e alle sue corrotte autorità locali, dimostreranno che esiste un modo europeo di cambiare i governi non democratici - un modo che non implica né chiudere un occhio sulla tortura e sull'assassinio di stato, né trattare un paese colpevole come uno stato paria a portata di bombe. Ma se la Russia non risponde a Strasburgo con una riapertura delle indagini sulle atrocità, e se i governi dell'Europa occidentale non prendono provvedimenti, il fango ceceno insudicerà l'idea di "valori europei" quanto Guantanamo e Abu Ghraib hanno insudiciato le rivendicazioni di "leadership morale" dell'America.
Il destino dei sei ceceni e ingusci che hanno già vinto la loro causa a Strasburgo non è incoraggiante. La Corte europea ha emesso una sentenza, dura e inequivocabile, contro il governo russo nel febbraio del 2005. Da quella volta, Mosca ha versato alle sei vittime il compenso richiesto, qualche decina di migliaia di euro. Ma non ha dato segno di voler adempiere alle richieste più importanti di Strasburgo: darsi seriamente da fare per trovare i colpevoli, e per garantire che simili crimini non verranno commessi di nuovo.
Magomed Khashiyev era uno di quelli che sembravano i vincitori a Strasburgo un anno fa. Aveva perso due figli, una sorella e un fratello quando le truppe russe si erano lanciate in una violenza sfrenata nel distretto Staropromislovsky di Grozny nel 2000, poco prima del massacro di Novy Aldy. Human Rights Watch calcola che nel massacro di Staropromislovsky i militari abbiano ucciso 50 civili.
Mosca ha pagato a Khashiyev i 14.000 euro di compenso richiesti, ma è stata la più superficiale delle vittorie. Sono andato a trovarlo a casa sua in Inguscezia, e l'ho trovato scoraggiato e ansioso. "La Corte europea ha aiutato un po' dal punto di vista morale. Ma i colpevoli non verranno trovati. Ho perso tutto. Ho perso la speranza di avere giustizia."
Per Khashiyev, il massacro della sua famiglia è parte di una lunga storia di tragedie che avrebbe annientato uomini meno forti. Era nato da poco quando Stalin ordinò che tutto il suo popolo - ogni uomo, donna e bambino inguscio o ceceno - fosse deportato in Asia Centrale. Quando Khashiyev e la sua famiglia tornarono dopo la morte di Stalin, la loro terra era stata consegnata a un altro gruppo etnico, che aveva rapporti migliori con Stalin, ed era impossibile ottenerne la restituzione.
Khashiyev si trasferì a Grozny. Fuggì durante la ribellione contro la Russia nel 1994-96; quando ritornò, trovò la propria casa distrutta. Fuggì ancora quando l'esercito russo invase di nuovo la Cecenia nel 1999; al ritorno, trovò i cadaveri dei suoi familiari e parenti riversi nelle strade. Mi mostra la foto che ha scattato al figlio Rizvan come l'ha trovato: ancora in ciabatte, le mani leggermente alzate, come se stesse gentilmente allontanando qualcuno che cercava di svegliarlo, il suo corpo legato al pavimento da una colla di ghiaccio insanguinato.
E non è finita qui. Negli anni in cui Khashiyev aspettava una decisione da Strasburgo, i suoi parenti scoprirono che nessuno li voleva assumere. Il suo ricorso alla Corte europea, dal momento che le autorità russe non avevano eseguito nessuna indagine sul massacro, aveva segnato la famiglia come politicamente sospetta. Khamzat, il figlio di Khashiyev che era sopravvissuto, riuscì solo a trovare un lavoro per costruire una nuova grossa caserma per le truppe russe sulle colline sopra la casa di suo padre. Un giorno, Khamzat si è messo a litigare con un ufficiale russo dello stesso gruppo etnico che aveva presso la terra della sua famiglia negli anni '40, che gli ha sparato e l'ha ucciso.
Nessun verdetto della Corte europea avrebbe potuto rimediare a questa vita di ingiustizie subite, ma ci sarebbero potuti essere sforzi maggiori verso un'indagine efficace su quello che era successo. Indagine di cui ancora non c'è traccia.
"È questa la questione cruciale ora", spiega Phil Leach, uno degli avvocati britannici che lavorano con i colleghi russi del Memorial per aiutare i cittadini russi a portare i propri casi a Strasburgo. "Ok, abbiamo avuto le prime sentenze sulla Cecenia. In che modo farà rispettare queste decisioni il Consiglio d'Europa? Come reagirà?"
L'organizzazione che Leach aiuta a gestire a Londra, la European Human Rights Advocacy Centre, deriva da una collaborazione precedente tra avvocati stranieri e britannici per aiutare le vittime e i carnefici di un altro di questi conflitti europei crudeli, sanguinosi e poco noti: quello tra lo stato turco e i curdi. Coloro che credono che la Corte europea possa aiutare la Russia a cambiare portano ad esempio il modo in cui le sentenze di Strasburgo hanno spinto la Turchia a rispettare di più i diritti umani e a cambiare atteggiamento nei confronti della minoranza curda negli anni '90.
Tuttavia, a differenza della Turchia la Russia non sta cercando di aderire all'Unione Europea. In mancanza di questa carota, il Consiglio d'Europa (che include tutti i paesi della UE e tutti gli altri paesi europei tranne la Bielorussia) è costretto a dipendere dai bastoni che i suoi membri più potenti, cioè la Germania, la Gran Bretagna e la Francia, sono disposti a impugnare.
"Per quanto un governo riesca a ritardare la sentenza della Corte europea, che io sappia nessun governo si è mai rifiutato di eseguirla", sostiene Terry Lewis, l'ex politico laburista che è ora il segretario generale del Consiglio d'Europa. Ma ammette che i suoi funzionari stanno facendo fatica a convincere il governo russo a mostrare esattamente come ha messo in pratica la sentenza della Corte.
La Russia sostiene che l'indagine sul caso Khashiyev sia stata riaperta a gennaio, e che degli inquirenti locali la stiano portando avanti sotto la supervisione diretta di Mosca. Ma la Russia non ha ancora fornito informazioni sugli interrogatori di membri passati e presenti dell'esercito russo in relazione a Staropromislovsky, e i limiti posti dal governo russo sull'attività dei media rendono impossibile al Guardian intervistare i procuratori ceceni se non in presenza di sorveglianti russi.
Gli avvenimenti in Cecenia richiamano vagamente il movimento americano per i diritti civili nel sud degli Stati Uniti negli anni '60, anche se la Corte europea dei diritti umani è ben lontana dalla Corte suprema statunitense in poteri e responsabilità, o nel rispetto che riceve dagli eterogenei e divisi popoli d'Europa. Nella Russia settentrionale ci sono profondi pregiudizi contro i popoli del Caucaso settentrionale russo, la maggior parte dei quali è musulmana. È legalmente semplice ma impossibile in pratica per i ceceni o gli ingusci spostarsi liberamente per il resto della Russia: sono vittime di vessazioni e violenze costanti. Un operatore dei diritti umani attivo nella regione mi ha descritto la Cecenia come un "ghetto".
"Anche ai tempi sovietici, ero considerato 'nero' ovunque nell'Unione Sovietica, perché vengo dal Caucaso settentrionale. In America o in Inghilterra, sono 'bianco', e qui sono 'nero'," si lamenta Dokka Itslayev. "Se siamo cittadini della Russia, perché dobbiamo essere trattati così? Perché vuoi un territorio se non ti va bene la gente che ci vive?"
Un numero ridotto di russi del nord liberali e istruiti è d'accordo con i loro connazionali ceceni sul fatto che i casi portati a Strasburgo non servono solo a risarcire un gruppo di parenti delle vittime, ma anche a trasformare tutta la Russia in un posto più giusto. Katya Sokiryanskaya, che ha trent'anni ed è di San Pietroburgo, non aveva nessun legame con il Caucaso settentrionale prima di trasferirsi a Nazran, la capitale dell'Inguscezia, per lavorare per Memorial. Lì la Sokiryanskaya ha scoperto un quadro della situazione nella repubblica autonoma ben diverso dall'immagine distorta che appare nei media russi e, per la maggior parte, in quelli stranieri, dove ore di telecronaca e chilometri di carta sono dedicati alle atrocità commesse da piccoli gruppi di terroristi separatisti ceceni in posti come Beslan. Della mancata ricostruzione di Grozny, delle continue torture e sparizioni di civili ceceni e della totale impunità per i massacri e i saccheggi dell'ultima guerra non parla quasi nessuno.
"In TV, ci raccontano tutti i particolari delle azioni terroriste, Beslan e così via, ma non dicono niente dell'altra parte," dice Sokiryanskaya. "I russi si sono dimenticati delle deportazioni e di quello che è successo negli anni '90. Non sanno neanche che questa è una città distrutta. In realtà, mi sembra che la nostra popolazione sia isolata da se stessa. È come se la Cecenia fosse parte della Russia, e allo stesso tempo non lo fosse."
Sokiryanskaya ogni tanto insegna a un collegio in Grozny. "I miei studenti si sentono completamente isolati dal resto del mondo", racconta. "Mi dicono che sono la prima russa che vedono senza armi e tuta mimetica."
La possibilità che Strasburgo e, per estensione, la famiglia di nazioni europee relativamente libere e democratiche abbandonino le vittime dello stato russo è alta. Khussein Medov, il cui fratello ventiquattrenne Adam è sparito il 15 giugno 2004 e non è più ricomparso, ha detto che la sua esperienza con le autorità russe lo lascia sconcertato di fronte al livello di fiducia dimostrato dagli stranieri nei confronti della Russia.
"Quello che mi sorprende è come altri paesi appoggino questo", dice. "Qua la legge non è assolutamente rispettata. Vivo qui ogni giorno e sono sorpreso ogni sera quando torno a casa. Non capisco come gli uomini d'affari stranieri possano venire qui a investire. Cosa si aspettano?"
A Zalina, la moglie di Adam Medov, un inquirente locale ha detto che se lui avesse portato avanti una seria indagine, sarebbe sparito a sua volta. Dopo una serie di minacce di morte, Zalina è fuggita dalla Russia; il caso Medov è ora sotto esame a Strasburgo. "La Corte europea è la nostra ultima speranza che, se è ancora vivo, lo getteranno allo scoperto," dice Khussein Medov. "Quello che sta succedendo adesso è ancora peggio di quello che successe nel 1937. La gente non torna a casa. Dove sono spariti? Come? Non era così sotto Stalin. Almeno a quel tempo sapevi che se li portavano via era per fucilarli. Adesso, non sappiamo assolutamente niente."
Leggi la seconda parte dell'articolo
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