La Bosnia Erzegovina è uno dei paesi europei più ricchi di risorse idriche. Il progetto di costruire una serie di centrali idroelettriche, in modo particolare nella Republika Srpska, rischia però di comprometterne il delicato equilibrio ambientale. Reportage
“Nel 2004, il governo della Republika Srpska ha dato in appalto la costruzione di due dighe sul fiume Vrbas, a pochi chilometri da Banja Luka. Abbiamo iniziato a protestare, creando una coalizione contro il progetto. Da allora sono passati 8 anni e, anche grazie alla nostra mobilitazione, le dighe non sono ancora state costruite.”
Miodrag Dakić, del Centro per l'Ambiente di Banja Luka , ricorda l'avvio di una delle battaglie civiche di maggior successo nella recente storia della Bosnia Erzegovina. La vittoria degli ambientalisti, però, potrebbe presto venire messa in discussione.
La Republika Srpska, RS, una delle due entità che in base agli accordi di Dayton compongono la Bosnia Erzegovina, è da ormai 10 anni, con poche interruzioni, governata da Milorad Dodik, attuale presidente e leader del partito SNSD. In questi anni la RS ha trasferito la proprietà dei principali gioielli di famiglia rispettivamente alla Serbia (Telekom Srpske), a gruppi privati russi (Zarubezhneft, che ha acquisito la Rafinerija Nafte di Brod e Yuzhuralzoloto, che detiene le miniere di Sase, a Srebrenica) o globali (Arcelor Mittal, proprietario delle miniere di Liubija e Omarska, a Prijedor).
L'affare dell'energia – in particolare la concessione di tratti di fiume per la costruzione di dighe - sembra essere la strategia più recente per attrarre finanziamenti dall'estero. La storia delle dighe date in appalto sul fiume Vrbas, però, mostra che non tutto avviene in maniera trasparente.
“La gara d'appalto era stata vinta da una ditta serba, la Građevinar d.o.o di Kraljevo, in consorzio con altre ditte minori, nessuna delle quali aveva alcuna esperienza nella costruzione di dighe”, ricorda Dakić. “Subito dopo essersi aggiudicata l'appalto, la Građevinar ha venduto il 95% dei diritti di concessione a una ditta slovena, la Viaduct di Portorož. Gli sloveni a loro volta hanno trasferito il 79% dei diritti acquisiti alla Messerschmitt BB, una grande azienda tedesca, che oggi detiene la maggioranza dell'appalto”.
I diritti di sfruttamento dell'acqua sono già stati rivenduti più volte, ma non è ancora stato posato un solo mattone. “Il consorzio guidato dalla tedesca Messerschmitt – continua Dakić - ha ora creato una ditta locale che dovrebbe realizzare il progetto, la HES Vrbas . Hanno la concessione per 30 anni, prorogabili a 50.”
Secondo l'ambientalista, la costruzione di queste dighe rappresenterebbe un affare per il concessionario, ma un disastro per la comunità locale. “Un intero paese, Krupa na Vrbasu, rischia di scomparire. Poi ci sono i problemi legati al cambiamento del microclima e al peggioramento della qualità dell'acqua della Vrbas, che viene utilizzata dalla città di Banja Luka per il consumo. L'area che ospiterebbe le due dighe, inoltre, è quella con il massimo rischio sismico in tutta la Bosnia Erzegovina.”
Banja Luka è stata distrutta da un terremoto nel 1969. Gli ambientalisti sostengono che un uso sostenibile del fiume, che prima di entrare in città scorre tra canyon spettacolari, sarebbe da preferire alla rischiosa costruzione di centrali elettriche. Recentemente, la Vrbas ha ospitato sia i campionati del mondo di rafting che gli europei di kayak, due circostanze che hanno galvanizzato il fronte anti-dighe. Il governo della RS però ha firmato un contratto, e l'attuale situazione di stallo potrebbe presto cambiare.
“Da un lato il nostro governo è impegnato con il concessionario, che vuole avviare i lavori. Dall'altro ha dovuto affrontare un'imprevista opposizione, che si è ormai consolidata. È chiaro che stanno cercando una via d'uscita. Forse offriranno al concessionario altri progetti, convincendolo ad abbandonare la Vrbas per altri fiumi”.
Banja Luka ha oltre 200.000 abitanti, e vanta una forte presenza di studenti universitari e di organizzazioni della società civile. La “rivoluzione del Parco” , nata spontaneamente nei mesi scorsi per opporsi ad un progetto di speculazione immobiliare, la distruzione del parco di Picin, ha confermato lo stato vitale, da un punto di vista politico e sociale, della città. Altre aree della RS, tuttavia, potrebbero essere meno reattive a progetti che presentano rischi per l'ambiente. Ad esempio, la Bosnia orientale.
La marcia sulla Drina
L'Italia ha concluso un accordo con la RS per la costruzione di tre dighe sul medio corso del fiume Drina. L'intesa, firmata il 7 giugno 2011 a Roma da Milorad Dodik e dall'ex premier italiano Silvio Berlusconi, prevede investimenti italiani per circa 830 milioni di euro nel progetto “Srednja Drina”.
Il progetto coinvolge anche la Serbia. Il 25 ottobre 2011, infatti, la Seci Energia, del gruppo Maccaferri, ha firmato con Elektroprivreda Srbije (Eps), la maggiore compagnia elettrica serba, un accordo per la costituzione di una joint venture finalizzata alla realizzazione di dieci centrali idroelettriche sul fiume Ibar. La nuova società mista, Ibarske Hidroelektrane d.o.o., sarà controllata da Seci Energia (51%), mentre Eps ne manterrà il 49%.
L’energia prodotta dalle centrali sull'Ibar, insieme a quella prodotta dalle centrali sulla Drina, sarà incanalata verso il Montenegro e poi convogliata in Italia attraverso un cavo sottomarino. Il cavo, del costo di 860 milioni di euro, dovrebbe essere realizzato entro il 2015 dalla società italiana Terna.
L'Italia ha un forte bisogno di aumentare la quota di rinnovabile presente nel proprio portafoglio energetico. La direttiva europea 20-20-20 dispone infatti che i paesi UE riducano del 20% le emissioni di carbone entro il 2020. Entro la stessa data, l'efficienza energetica dovrà aumentare del 20% come pure la percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili.
All'interno di questo quadro, i diversi paesi dell'Unione hanno fissato i propri obiettivi nazionali. Roma ha già dichiarato che non potrà raggiungere questo obiettivo senza acquistare energia rinnovabile dall'estero. La Bosnia Erzegovina e la Serbia, con le dighe su Drina e Ibar, aiuteranno dunque l'Italia a raggiungere i suoi obiettivi.
Anche i Paesi dei Balcani, però, prima o poi entreranno a far parte dell'Unione, e la Comunità Energetica del Sud Est Europa, di cui Serbia e Bosnia fanno parte, ha già deciso di accogliere la direttiva europea sulle rinnovabili. Nel trasferire energia pulita all'Italia, quindi, Belgrado e Banja Luka si allontaneranno dalle quote che devono a loro volta raggiungere per uscire dalla forte dipendenza che hanno nei confronti del carbone.
La rete CEE Bankwatch, un'organizzazione indipendente che si occupa di monitorare i movimenti finanziari nella regione, nel suo rapporto 2012 (Un Partenariato Ineguale ) ha sottolineato altre questioni critiche relative al progetto italo-serbo-bosniaco.
L'accordo tra Serbia e Italia, infatti, sarebbe stato raggiunto senza alcuna gara d'appalto, e Bankwatch parla esplicitamente di un rischio corruzione. L'organizzazione rileva anche che il partner italiano, Seci Energia, non appare avere alcuna esperienza nella costruzione di centrali idroelettriche.
Anche l'organizzazione non governativa MANS , di Podgorica, ha sollevato perplessità sulla vicenda. L'accordo concluso tra Italia e Montenegro per la costruzione del cavo sottomarino Tivat-Pescara, che servirà per trasferire in Italia l'energia prodotta dalle centrali, non sarebbe stato condotto nell'interesse pubblico, e MANS ha chiesto alla magistratura montenegrina l'apertura di un'indagine.
Bankwatch ha espresso contrarietà al progetto anche per il suo impatto ambientale.
Prima di raggiungere la costa, l'energia proveniente dalle centrali sulla Drina e sull'Ibar dovrà attraversare tutto il Montenegro, da Pljevlja a Lastva, solcando il territorio di due parchi nazionali, il Lovćen e il Durmitor, e una riserva naturale protetta dalla convenzione Natura 2000. Bankwatch definisce inoltre “strana” la scelta di Pljevlja come punto di partenza della linea di trasmissione, perché l'unica centrale a carbone del Montenegro si trova proprio lì. Una volta costruita l'infrastruttura, il rischio è quindi che ci transiti anche energia “sporca”, dato che cavi sottomarini e linee di trasmissione non fanno differenza.
Nessuna notizia
L'investimento previsto per le tre dighe che dovrebbero sorgere sulla Drina (Dubrava, Tegare e Rogačica) è di oltre 800 milioni di euro. L'aspetto più curioso però è che nessuno, a livello locale, ne sa nulla.
Secondo il sindaco di Bratunac Nedeljko Mlađenović, interpellato da Osservatorio a margine di una conferenza sullo stato della Drina organizzata a Višegrad da Oxfam Italia, “le attività finora intraprese non hanno visto alcun coinvolgimento della comunità locale. Non sappiamo dove sono state progettate le dighe, quanto grandi saranno, se e quante persone dovranno essere evacuate.” Il sindaco, che non è "pregiudizialmente contrario alle dighe”, ricorda però che “anche durante il socialismo erano stati fatti progetti, che prevedevano l'inondazione dei nostri comuni da Bratunac fino a Ljubovlja. Certamente i miei cittadini non sarebbero d'accordo con ipotesi di questo tipo.”
Anche il neo sindaco di Višegrad, Slaviša Mišković, non ha informazioni sui progetti che, a breve, potrebbero avere un forte impatto sul territorio del comune. In questo momento l'amministrazione della cittadina è impegnata nel portare a termine i lavori di Andrićgrad, il controverso progetto del regista Emir Kusturica, finanziato dal governo della RS, che prevede la costruzione di una sorta di città/set cinematografico dedicato a Ivo Andrić a pochi metri dal celeberrimo ponte.
Mišković, tuttavia, dichiara ad Osservatorio di essere favorevole alla costruzione di dighe, anche di dimensioni molto grandi, dato che “la Drina ha un grande potenziale e deve essere sfruttata più di quanto non lo sia ora”.
I rappresentanti delle associazioni ambientaliste della regione, tuttavia, sono di diverso avviso. Muhamed Suljić, dell'associazione turistico ecologica “Tea”, di Bratunac, ha dichiarato ad Osservatorio che quella delle dighe è “una questione molto delicata, con possibili conseguenze negative sulla biodiversità”, e che “i cittadini su entrambe le sponde del fiume devono essere coinvolti in queste decisioni”. Sulla Drina esistono già diverse dighe e, secondo Suljić, “si rischia la distruzione del poco della Drina che è rimasto davvero un fiume, perdendo uno dei gioielli d'Europa per gli interessi di pochi.”
Anche i pescatori sono preoccupati. “Si parla di 2 centrali, ma in realtà non abbiamo informazioni”, dice Radislav Jovanović, dell'associazione di pescatori “Drina”, di Bratunac. “Non sappiamo neppure se si tratta di centrali che creeranno un invaso oppure no. Ovviamente nel primo caso siamo contrari, hanno effetti devastanti sulla fauna ittica”.
Germania-Italia 4 a 3
Dopo aver concluso l'accordo con l'Italia per la costruzione delle tre dighe sulla Drina, il governo della Republika Srpska ha dato in concessione ad una multinazionale tedesca, la RWE, la costruzione di altre quattro dighe sullo stesso fiume, più a monte, nel quadro del progetto Gornja Drina.
Il contratto, firmato nel settembre dello scorso anno, vale 460 milioni di euro e prevede la creazione di una società controllata dai tedeschi per il 60% e per il 40% dalla RS. Le quattro dighe sorgeranno nei dintorni di Foča. Anche in questo caso, l'accordo è stato fatto senza alcun coinvolgimento della comunità locale.
Il popolare sindaco di Foča, Zdravko Krsmanović, presidente della Euroregione Drina , si era espresso in modo nettamente contrario alla costruzione delle dighe. La sua posizione, molto probabilmente, gli è costata il posto. Alle elezioni di ottobre, infatti, è stato sconfitto da un'inedita alleanza tra i due acerrimi nemici dello scenario politico della RS, l'SNSD del presidente Dodik e il Partito Democratico Serbo, SDS.
Krsmanović aveva criticato il processo “non trasparente” attraverso cui era stato concluso l'accordo tra governo e RWE, e il fatto che nessuno nel territorio del comune ne era stato informato. La mancanza di trasparenza, secondo quanto dichiarato da Krsmanović al settimanale montenegrino Monitor, “ci porta a ritenere che ci sia qualcosa di irregolare”.
La diga più grande, con uno sbarramento alto 70 metri, sarebbe Buk Bijela, a 9 km da Foča. Si tratterebbe di una versione minore di quella che prevedeva l'allagamento del canyon della Tara (il fiume che unendosi con la Piva genera la Drina) contro la quale si erano espressi sia il parlamento montenegrino che l'Unesco.
Una seconda diga, Sutjeska, sorgerebbe all'ingresso di Foča, mentre le altre due (Foča e Paunci), saranno a valle. I lavori dovrebbero iniziare nel settembre 2014.
La battaglia della Neretva
Il colore delle acque della Neretva, quando la neve si scioglie, è una gradazione di verde che sfida la tavola cromatica. Dei cinque maggiori fiumi del Paese, è l'unico ad appartenere al bacino adriatico. Lungo 230 km, circa metà del suo corso, dalla città di Konjic fino al mare, è assegnato a una serie di dighe costruite in periodo jugoslavo. Solo il corso superiore è ancora un fiume, che ospita alcuni tra i canyon più importanti della Bosnia Erzegovina dal punto di vista della biodiversità e della quantità di specie endemiche.
L'associazione Zeleni Neretva , di Konjic, è nata subito dopo la guerra, sulla scia di un'importante mobilitazione contro la costruzione di una diga alle porte della città. Uno degli animatori di quella battaglia ecologista è stato Kasim Džaić, un ingegnere, insieme al noto documentarista Dino Kasalo, autore di reportage naturalistici sulla regione selvaggia che circonda il corso superiore del fiume. La compagnia elettrica della Federazione di Bosnia Erzegovina aveva infine dichiarato di non voler più costruire, e Džaić, insieme ad altri, aveva dato un forte impulso al turismo d'avventura, in particolare al rafting, che oggi attira nella zona migliaia di turisti.
Secondo Asad Herić, un biologo che fa parte dell'associazione, le dighe costruite dalla Jugoslavia socialista hanno modificato il clima in maniera irreversibile. “Qui [a Konjic] un tempo si coltivava la vite, nel fiume si potevano trovare le anguille, ora non più.” Secondo Herić, che recentemente ha realizzato una mostra dal titolo “Le cose sommerse”, dedicata alla ferrovia austroungarica, ai cimiteri islamici e a tutti gli edifici che oggi si trovano sotto la superficie del grande lago creato dalla diga di Jablanica, il rischio maggiore che corre la Neretva oggi è nel suo corso superiore, che attraversa sia la Federazione che la Republika Srpska. La RS, infatti, intende costruire una diga proprio in questa parte del fiume, a Ulog. “Purtroppo - sostiene Herić - nessuno si oppone con decisione alla diga di Ulog, i cui effetti negativi si avvertiranno soprattutto in Federazione, e la comunità locale di Konjic, contraria al progetto, è lasciata sostanzialmente da sola.”
Mentre la Drina ha attirato l'interesse delle multinazionali italiane e tedesche, in questo caso saranno i cinesi a costruire. In base all'accordo firmato a Pechino il 4 settembre scorso, infatti, la diga di Ulog verrà costruita da un consorzio formato da Sinohydro Corporation , Dongfang Electric e Banca cinese per lo Sviluppo sulla base del progetto sviluppato dal concessionario, il gruppo EFT
Underground
Da Konjic al mare, invece, non è più possibile costruire nulla. Il governo della Republika Srpska, insieme al governo croato, ha però stabilito di intervenire sulle acque sotterranee, di cui l'Erzegovina è ricchissima.
Il 3 ottobre scorso la compagnia elettrica della Republika Srpska, Elektroprivreda RS, e quella della Croazia, Elektroprivreda RH, hanno firmato a Trebinje un primo memorandum d'intesa per la costruzione della centrale elettrica Dubrovnik 2. Il progetto si iscrive nel quadro del programma denominato Gornji Horizonti, che intende modificare il corso delle acque sotterranee della regione, in particolare dei fiumi Trebišnjica e Neretva, con conseguenze, secondo il WWF deleterie, soprattutto per il delta della Neretva.
Questa regione soffre già un fenomeno di salinizzazione dato che le dighe, impedendo lo scorrimento a valle dei sedimenti, hanno inciso il letto del fiume favorendo la risalita dell'acqua dal mare. Il progetto Gornji Horizonti sottrarrebbe ulteriore acqua alla fertile regione della foce della Neretva, determinando secondo gli ambientalisti la fine della produzione agricola e la desertificazione della riserva di Hutovo Blato.
“L'area interessata dal progetto Gornji Horizonti, l'Erzegovina orientale – ha spiegato ad Osservatorio Zoran Mateljak, coordinatore del Programma Mediterraneo del WWF in Bosnia Erzegovina – è una regione carsica, ma ricchissima di acqua. Ci sono enormi riserve sotterranee che i pianificatori, già nel periodo jugoslavo, hanno cercato di portare in superficie creando il lago artificiale di Bileća. Attraverso Gornji Horizonti si intende ora creare un nuovo punto di accumulazione delle acque sotterranee a Nevesinsko Polje, dirigerle con un sistema di tunnel e canali al lago di Bileća, poi ostruire un altro canale sotterraneo e creare una nuova diga a Davarsko Polje, dirigendo ulteriore acqua al lago artificiale. Da qui l'acqua sarebbe convogliata verso Dubrovnik e sottratta al delta della Neretva, dove confluirebbe naturalmente. Il WWF ha prodotto diversi studi su quest'area, e abbiamo presentato le nostre osservazioni al governo della RS, che però le ha respinte, continuando a fornire licenze per lo sfruttamento ambientale.”
Una, Sana
Martin Brod è un paesino di cento anime nel cantone Una Sana, nella Federazione di Bosnia Erzegovina. Qui la vita scorre come un secolo fa. Il fiume Una attraversa le case dando vita a circa 140 cascate, piccole e grandi. Gli abitanti di Martin Brod vivono con l'acqua, e sfruttano la forza del fiume per i loro mulini e alcune lavatrici naturali , vera e propria attrazione turistica. Secondo Miro, un uomo di oltre 80 anni la cui famiglia vive qui “da sempre”, Martin Brod è un luogo ideale in cui vivere. Il fiume dona al villaggio tutto ciò di cui gli abitanti necessitano, creando un ambiente salutare. “I dottori – sostiene Miro sorseggiando un bicchiere di acquavite – non mi hanno mai visto, e io non ho mai visto le loro medicine.”
Qui, dove secondo la leggenda si sono amati Marta e Martin prima di scomparire nel fiume, è stato avviato da alcuni anni un progetto di turismo rurale, sostenuto dall'organizzazione italiana Ipsia Acli e da ICEI. Martin Brod si trova all'interno del Parco Nazionale della Una , che annovera tra le sue bellezze anche l'impressionante cascata di Štrbački Buk. Il travertino dà al fiume un colore smeraldo, proprio come nei laghi di Plitvice, in Croazia, a pochi chilometri da qui. Ma la vera ricchezza di questo angolo della Bosnia è proprio l'acqua della Una che, come ci spiega il direttore del Parco, Amarildo Mulić, è bevibile in ogni punto, direttamente dal fiume.
Anche in questo paradiso naturale, ancora poco conosciuto, esisteva il progetto di costruzione di una diga. Lo sbarramento avrebbe dovuto sorgere proprio all'interno del territorio del Parco, sul fiume Unac, affluente dell'Una. “Con l'istituzione del Parco, nel 2008 – ci spiega il direttore Mulić – il progetto è stato bloccato. Ma non bisogna mai abbassare la guardia.”
La Bosnia Erzegovina, oggi, è come l'Alaska ai tempi della corsa all'oro. L'oro di oggi, però, è l'oro blu. Qui ce n'è moltissimo. I grandi gruppi privati europei e internazionali se ne contendono la proprietà. Il modo in cui sarà gestito, da un punto di vista ambientale e sociale, contribuirà a determinare la ricchezza, o la povertà, di questo meraviglioso paese.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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